POPULISMO? IL POPOLO VUOLE LA NARRAZIONE, NON LA VERITA’…

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DI ROSANNA SPADINI

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Populismo, questo sconosciuto!! A ognuno il suo populismo. Ingombra l’inconscio collettivo delle folle irrequiete, gratifica le loro sollecitazioni di benefici umanitari, illude le loro nostalgie democratiche, rassicura le loro ansie metropolitane. Insomma non lo si nega a nessuno, soprattutto nel tempo malsano e degradato dell’egemonia dei banksters, dove la democrazia appare sempre più agonizzante e i Parlamenti degli Stati europei si sono svuotati di potere politico rappresentativo.

Il populismo infatti ha assunto diverse facce nell’arco della storia, e mistificando i propri fini e i propri interessi, ha comunque seminato bufale a volontà, camuffando i veri intenti con i falsi ideali proposti e i discorsi retorici ad effetto. Screditato poi, dopo l’ipocrisia del passato fascista, il populismo sta riconquistando terreno presso l’opinione pubblica, disorientata dalla ridondanza di significati privi di alcun senso, mentre i partiti esistenti facilitano questo revisionismo, perché non avendo veri programmi si sono trasformati solo e unicamente in dispositivi elettorali per vincere le elezioni: il loro paradigma dovrebbe essere “overcoming” invece di “planning”.

Gli attuali partiti, di sinistra come di destra, apparati di potere e interesse, hanno sostituito le classi sociali con le categorie borghesi e popolari a-politiche e decontestualizzate: le “donne”, i “giovani”, gli “immigrati”, i “gay”, e via discorrendo. Ai diritti sociali, tutela del benessere moderno, si sono sostituiti i diritti universali ed estetici e l’opera di smantellamento dei miti fondanti della modernità ha prodotto la progressiva compressione del benessere.
Il populismo postmoderno propone accidentalmente i tratti di una narrazione sempre più inquieta e devastante, dove le solide, compatte e stabili narrazioni della modernità si sono frantumate contro il nonsense di un sistema sociale globalizzato, privo di un baricentro definito, e sfilatosi verso una remota periferia a-ideologica, corredata socialmente di favelas agitate e baracche fatiscenti.

Le classi popolari dunque, orfane del “populismo marxista”, rappresentato ora dai fantasmi postmoderni dei partiti della sinistra storica, hanno abbandonato ufficialmente i partiti mainstream e si sono rivolte in maggioranza alle forze populiste (Movimento 5 Stelle prima e Lega Nord poi). Di queste strategie illusionistiche si ciba Matteo Salvini, come di una pozione di mandragola soporifera, che poi riversa sulle masse adoranti, eccitando le loro frustrazioni e incoraggiando le più disparate istanze.

Ma al popolo postmoderno non interessa la “verità” dei fatti né il senso degli eventi, perché vuole ascoltare solo le narrazioni. Però non più le grandi narrazioni della modernità, sistemi filosofici emancipativi, quali Illuminismo, Idealismo, Marxismo, ma favole illusionistiche, emerse direttamente dal nuovo oscuro inconscio collettivo, deriva inquieta e potente del fallimento del sogno modernista. Del resto anche l’allegoria del “mito della caverna” spiega perfettamente come gli uomini vogliano essenzialmente dei racconti e non riconoscano il sapere: preferiscono guardare le ombre che scorrono sulla parete piuttosto che girarsi verso l’abbagliante luce del sole. (Platone, La Repubblica)

Ecco perché sotto il palco leghista del 28 febbraio a Roma, c’era quel popolo ignorato e dimenticato della middle-class globalizzata, che pendeva dalle labbra del suo “guru”. C’erano pescatori, allevatori, operai, commercianti, agricoltori, artigiani, tutte quelle categorie sociali che rappresentano il ceto produttivo dell’Italia. E il “ball boy” del sistema, voce narrante regredita, che mistifica una metamorfosi orfica rispetto alla Prima Lega, diffonde ossessivamente le nuove (e antiche) minacce metropolitane: migranti e clandestini che invadono il paese, offrendo manodopera a basso costo, ingrossando le file della microcriminalità e minando così la serenità sociale; grottesche crociate contro l’Islam, riallineatesi integralmente con l’ordine capitalistico occidentale, unica dimora dei diritti e della ratio; euro killer che massacra l’economia dell’Italia, divenuta il sud Europa (contrappasso dantesco).

Ma perché la stampa mainstream ha sbandierato ai quattro venti la manifestazione di Salvini, acclamandone il successo strepitoso (invece piuttosto improbabile date le modeste cifre dei partecipanti), e invece ha taciuto spudoratamente sulla manifestazione milanese contro il Jobs Act e il lavoro gratuito all’Expo, contro Lega, fascisti vari (Casapound) e governo Renzi, che ha visto scendere in piazza tra le 40 e 70 mila persone? Forse perché la Nuova Lega di Salvini non è poi così “nuova”, anzi è piuttosto esattamente funzionale al sistema ?

Già, perché il nuovo giornalismo “postmoderno” si caratterizza per la ridondanza dei significati, che oscurano il senso degli eventi. La “notizia” della postmodernità consiste nella negazione stessa dell’informazione, perché non mira a “informare” sulla “verità” dei fatti, ma li reinterpreta “deformandoli”, proprio per oscurarli completamente (Marco Travaglio, La scomparsa dei fatti). Un giornalismo che diffonde una rappresentazione virtuale, basata su schemi che non hanno più alcun senso reale, un giornalismo scorretto e disonesto, che non agisce al servizio del lettore, ma è sfacciatamente asservito al potere finanziario, vero e proprio regime euroatlantico autoritario.

Audace e spavaldo inoltre il populismo celodurista di Matteo Salvini, reduce da cerchi d’oro e anelli di diamanti dei vecchi tempi, vate carismatico della Nuova Destra, ma ristrutturatosi attraverso l’affiliazione iniziatica con gli economisti dalla B maiuscola (Bagnai/Borghi), ora è pronto a genuflettersi remissivo agli ordini del leader con l’altra B (Berlusconi).
Interessante anche il “populismo postmoderno” del filosofo Diego Fusaro, che non perde occasione per divulgare dogmi depistanti e confusi al suo pubblico assetato di verità metafisiche: “Personalmente, non sono tra coloro che gridano ossessivamente “fascista!” per delegittimare a priori l’interlocutore (Salvini). Da Socrate ho imparato che si dialoga con tutti, senza esclusioni. Se si rifiuta il dialogo, si ha perso in partenza. Il fascismo è un’esperienza morta e sepolta nel 1945.” Quindi dialogare con tutti, perché se si rifiuta il dialogo si è perso in partenza. Niente fascisti, né razzisti, né gattopardi rigenerati, semplicemente utili idioti del sistema, gatekeepers servili a guardia del cancello del capitale. Poveri leghisti, così ingenui e così generosi !!

Poi viene il “populismo riformista” di Matteo Renzi, satrapo coloniale del Nuovo Ordine Mondiale, capace di realizzare a comando riforme epocali che passeranno alla storia, come lo smantellamento ossessivo di ciò che resta della democrazia e del welfare state: Riforma del Senato (camera privata della sovranità istituzionale e composta da 100 senatori nominati), Jobs Act (precariato a vita), Riforma della Carta fondamentale dello Stato italiano, divenuta obsoleta e superflua per il profitto dei banksters della Troika (40 articoli revisionati); Riforma della legge elettorale “Italicum” (premio di maggioranza iperbolico per chi arriva primo e liste bloccate). E poi ancora in cantiere la Riforma della giustizia e quella della scuola.

Che dire? Ricordo con rabbia il populismo generoso, ingenuo, ma potente di Pier Paolo Pasolini, che immaginava un dialogo sulla tomba di Gramsci (Le ceneri di Gramsci), in uno scenario sociale italiano ormai mutato, attraversato da un marxismo in solitudine, in cui lui sentiva la vertigine dell’abbandono, la tensione del conflitto col Pci, ed esaltava la lotta dalla parte dei deboli e dei poveri, con profondo disgusto per l’ipocrisia del mondo borghese. Nella sua violenta critica contro la mutazione antropologica subita dalla società italiana, in forza del trionfo della tecnica capitalistica, che aveva imposto il centralismo fascista della civiltà dei consumi, potente, suadente, morbido e flessibile, biasimava con rabbia la perfetta sudditanza della pubblica opinione, dove gli individui erano stati degradati a puri atomi interscambiabili, come atomi/oggetti/merce del monoteismo del consumo.

Il sano, onesto e disperato populismo è quello di Pasolini, quando si rivolge alle “lucciole”, realtà popolari dotate di energia vitale e generosa, non ancora lacerate, violate, bruttate dalla società globalizzata. Ma il populismo di Pasolini era troppo onesto, quindi degno di disprezzo da parte del capitale. Ecco perché la sua fecondità critica fu velocemente rimossa, lordata da una morte ingiuriosa, oscurata da una “damnatio memoriae” degna dei più ripugnanti “profeti”. Lo scrittore regista infatti, pensatore non metabolizzabile, difficilmente ereditabile, maestro di dissidenza del “not politically correct”, era fondamentalmente inattuale, quindi una coltre di oblio sprezzante è scesa su di lui.
“Sine ira ac studio”?

Non possiamo più permettercelo …

Rosanna Spadini

Fonte: www.comedonchisciotte.org

10.03.2015

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