Più che virtù poté il destino

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di Nestor Halak
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Durante la seconda guerra mondiale, lo stato maggiore tedesco aveva progettato l’invasione della Gran Bretagna che, in caso di successo, avrebbe dato alla Germania il potere incontrastato su tutta l’Europa centro occidentale, da Lisbona al confine russo. Da lì sarebbe stato molto difficile per tutti rimuoverli. Invece, dopo che Goering non riuscì a distruggere l’aviazione inglese come aveva promesso, Hitler decise di annullare il piano e di attaccare invece l’Unione Sovietica, un paese più popoloso e immensamente più grande della Germania col quale aveva appena siglato un patto di non aggressione per mettersi le spalle al sicuro. Perché una decisione tanto rischiosa? Probabilmente non era estranea alle (sciocche) idee sulla razza che lo ossessionavano. Gli inglesi erano fratelli di stirpe germanica e con loro ci si poteva accordare, i russi, al contrario, erano sottouomini che esistevano solo per essere sfruttati dai popoli eletti. Sta di fatto che in questo modo si realizzò di nuovo l’incubo strategico classico dei generali tedeschi, quello di dover combattere su due fronti.

Nel febbraio di quest’anno si è raggiunto in Italia il punto più alto della follia da covid: occorreva un’apposita autorizzazione governativa per poter lavorare, per prendere un caffè al bar, per viaggiare in autobus, per entrare in un negozio, o all’ufficio postale. Per di più, il capo del governo non era stato eletto da nessuno, ma inviato dall’estero come un governatore. Eppure chiunque avrebbe potuto constatare che nel paese non esisteva alcuna crisi sanitaria, se non quella cronica dovuta alle carenze dei servizi medici pubblici, di certo non imperversava nessuna epidemia che giustificasse misure tanto drastiche. Della vecchia democrazia liberale italiana, con tutti i suoi difetti, non rimaneva praticamente nulla, al suo posto era sorto uno stato repressivo e totalitario incentrato sul culto di un medicinale prodotto da una corporation americana, dalla composizione e dagli effetti incerti, chiamato “vaccino” e della sfuggente malattia terribilmente simile all’influenza che avrebbe dovuto curare. Uno stato per molti versi più oppressivo di quello fascista, già basato sul culto del duce e dell’impero. Il fenomeno, per di più, non era solo italiano, ma mondiale. Eppure, proprio quando in tutto il mondo la nuova dittatura sembrava incontrastabile e gli oppositori ridotti alla morte civile, si è cominciato dappertutto ad allentare le misure, allentamento che, inevitabilmente, si è riflesso, di malavoglia, anche sul nostro paese. Dico di malavoglia non solo da parte del governo, ma anche dei devoti più oltranzisti, che continuano a girare con una pezzuola sul muso nonostante l’obbligo sia caduto.

La guerra in Ucraina è cominciata otto anni fa quando il governo americano ha organizzato un colpo di stato appoggiato da settori neofascisti ultranazionalisti, al fine di sottrarre il paese all’influenza russa e insediare al potere un governo fantoccio che obbedisse in tutto a Washington, poiché da Washington dipendeva totalmente per la sua sopravvivenza. I nazionalisti ucraini professavano un credo razzista per cui i parlanti russo, circa il 40% della popolazione del paese, doveva essere considerata inferiore e perseguitata in infiniti modi. A seguito del golpe, alcune zone ad ampia maggioranza russa, si ribellarono al governo centrale proclamando l’indipendenza. La rivolta riuscì perfettamente in Crimea, che attraverso un abile intervento minimale e un referendum fu annessa alla Russia, e a metà in Donbass che fu parzialmente liberato, ma dove per otto anni è proseguita pressoché ininterrottamente la guerra per l’indipendenza. Fallì invece ad Odessa e a Kharkov. La guerra indipendentista fu ovviamente appoggiata dalla Russia, pur senza mai intervenire direttamente e senza neppure riconoscere ufficialmente le due repubbliche del Donbass, nonostante che nel 2014 le condizioni per sconfiggere ciò che restava dell’esercito ucraino e riprendersi l’egemonia sul paese fossero molto favorevoli. L’errore di fondo, il peccato originale della situazione Ucraina, pare essere stato proprio questo mancato intervento che certamente avrà un suo motivo. Ne mai un’azione a sorpresa per liberare il Donbass fu condotta negli otto anni successivi, fino al febbraio di quest’anno, proprio quando gli americani avevano deciso di provocare la Russia ad intervenire dopo aver ben preparato il terreno.

Durante tutto questo periodo di guerra a bassa intensità, molti commentatori geopolitici e militari controcorrente hanno presentato i fatti del 2014 quasi come una vittoria della Russia di Putin che era riuscita a rintuzzare l’attacco americano, a riprendersi la Crimea e a sottrarre all’Ucraina parte del Donbass. Nessun cenno sul fatto che il paese nel suo complesso fosse stato di fatto tolto all’influenza russa, sotto la quale era stato da sempre, costituendo, anzi, una parte importante e tra le più avanzate della vecchia Unione Sovietica. Per tutti questi otto anni, questi analisti hanno continuato a sostenere che l’Ucraina fosse un paese fallito e in rovina e che Putin, fine stratega, si sarebbe guardato bene dall’invaderlo o semplicemente da riportarlo sotto il controllo russo in tutto o in parte, perché ciò avrebbe significato uno sforzo economico grandissimo che l’economia russa non poteva in alcun modo permettersi. Lasciavano inoltre capire che dal punto di vista militare la Russia avrebbe potuto, volendo, distruggere facilmente l’esercito ucraino in poche settimane addirittura senza neppure entrare nel paese, ma semplicemente usando le soverchianti armi da distanza. Se non liberavano il Donbass era perché “non ne avevano bisogno”, per evitare vittime civili e per calcoli geopolitici. Fatto sta che anche senza l’intervento, le vittime civili non sono mai mancate.

Nel frattempo gli americani continuavano a fornire armamenti all’Ucraina ed a ricostruire l’esercito, paventando l’ingresso nella nato e il dispiegamento di missili nucleari, non tanto per l’interesse che avevano nel paese, ma con l’evidente fine di provocare la Russia ad una reazione che avrebbe dovuto permettere il raggiungimento dei seguenti fini: impantanare la Russia in una lunga guerra di logoramento in Ucraina; iniziare una più dura guerra economica tale da distruggere la Russia in campo commerciale fino ad ottenere un cambio di governo a Mosca come già gli era riuscito a Kiev, dato che l’opzione puramente militare era impraticabile; creare una barriera tra la Russia e l’Europa occidentale in modo da impedire la formazione di un’unione commerciale euroasiatica tra Lisbona e Pechino che sarebbe diventata il cuore del mondo e li avrebbe inevitabilmente marginalizzati.

Sempre seguendo le analisi citate, si concludeva che Putin non sarebbe caduto nella trappola: avrebbe sì fatto qualcosa, ma sarebbe stata una risposta “asimmetrica”, una “mossa di Judo politico”, che avrebbe spiazzato il nemico in maniera inaspettata. Un’invasione in Ucraina non era probabile: perfino il numero delle truppe presenti al confine era insufficiente per una mossa del genere. Devo dire che avevo seguito anch’io questa linea di pensiero, tant’è che quando, nel febbraio di quest’anno, i russi, trionfalmente annunciati da mesi da tutte le televisioni occidentali, hanno effettivamente invaso l’Ucraina, sono rimasto sfavorevolmente sorpreso. Una cosa era certo vera in quelle analisi: le truppe erano effettivamente insufficienti per liberare il Donbass e neutralizzare l’Ucraina con la prospettata guerra lampo. Mi sono fatto l’idea che l’operazione, che minacciava direttamente Kiev, doveva con ogni probabilità essere molto veloce e portare ad una sorta di golpe ad iniziativa di forze ucraine “dormienti”, sostanzialmente militari, che avrebbero dovuto palesarsi nella circostanza, spodestare il governo, prendere il potere e promuovere colloqui di pace in cui si stabilisse: la cessione irreversibile della Crimea, l’indipendenza del Donbass, la smilitarizzazione dell’Ucraina e lo scioglimento di tutti i corpi neonazisti con perseguimento dei reati commessi fino a quel momento. Del resto il presidente Putin, che dice quasi sempre il vero, aveva annunciato apertamente quasi tutti questi obbiettivi.

Se non che, evidentemente i rapporti dell’intelligence non erano molto accurati, di fatto le forze ucraine che dovevano adoperarsi per il cambio di regime non si sono viste ed anzi l’esercito ha preso a reagire con accanimento e convinzione. Così adesso la Russia si trova a combattere (ancora a quanto pare con forze insufficienti), una guerra d’attrito che si prospetta non certo di poche settimane. Basti pensare che a distanza di oltre due mesi dall’inizio dell’operazione, il fronte di Donetsk è rimasto sostanzialmente immutato e gli ucraini continuano tranquillamente a bombardare la città con l’artiglieria come fanno da otto anni. Insomma, è successo più o meno quello che volevano gli americani, che quindi si fregano le mani, inviano armi ed hanno iniziato la tanto desiderata guerra economica totale convincendo a parteciparvi in veste di kamikaze i loro sudditi europei. A questo punto i russi sono ben incastrati e, se non vogliono soccombere, sono costretti a proseguire la guerra ad oltranza, a vincerla e anche a prendersi ampi pezzi di Ucraina.

Nel frattempo la narrazione controcorrente si è adattata ai fatti sopraggiunti. Adesso non c’è più traccia delle risposte asimmetriche di Putin, né della sottintesa previsione che un’eventuale guerra sarebbe stata facile e breve, adesso la guerra si divide in fasi, la prima con minaccia a Kiev ed Odessa per distogliere gli ucraini dal rimpinguare le truppe in Donbass, la seconda che prevede l’accerchiamento e la distruzione rapida dell’esercito di stanza e finalmente la liberazione delle province ribelli, la terza da precisarsi. Se non che il colpo di maglio che doveva seguire la vittoria a Mariupol non è avvenuto neppure stavolta e l’ultima versione sostiene che l’opzione migliore è una guerra d’attrito, poiché consente di sfruttare la superiorità dell’artiglieria russa, di minimizzare le proprie perdite e quelle dei civili, massimizzando invece i danni al nemico. Ed anche perché, aggiungerei, le forze in campo continuano ad essere insufficienti per qualsiasi altra opzione. D’altra parte il grosso dell’esercito deve essere tenuto di riserva per il caso, possibile, che la Nato decidesse effettivamente di intervenire.

Nelle analisi di oggi, non mi pare di scorgere alcun segno della vecchia presunta riluttanza russa a prendersi in carico l’Ucraina, o parti significative di essa. A quanto pare, non sarebbe più un peso economico inaccettabile. Al punto in cui sono giunte le cose, mi pare, vincere la guerra non può non significare la conquista di tutta la fascia costiera, del Donbass, e magari di Kharkov, altrimenti occorrerà arrampicarsi sugli specchi per sostenere di aver vinto e la vittoria prenderà a somigliare a quella della Nato in Afghanistan. Rimane per me un mistero assoluto il motivo per il quale i russi non distruggano seriamente le infrastrutture ucraine, soprattutto quelle relative ai trasporti, tanto più che il rifornimento di armi dall’estero è un fattore rilevante: d’accordo le ragioni umanitarie, ma la vogliono vincere o no questa guerra? I treni dovrebbero essere fermi fin dai primi giorni, i ponti su Dniepr non dovrebbero esistere più, fare gite scolastiche a Kiev dovrebbe essere considerato sconsigliabile ed invece tutti entrano ed escono a piacere. Cosa pensano di stare facendo, una guerra o una scampagnata?

Sia come sia, tutto fa pensare che la trappola americana abbia funzionato bene: tutti i desideri di Washington sembrano avverarsi. Persino l’Europa ha accettato di buon grado di suicidarsi per compiacerli. Tuttavia, si narra, esiste un’antica maledizione cinese che recita pressappoco così: possa ogni tuo desiderio realizzarsi. In altre parole bisogna stare molto attenti a ciò che si desidera.

Il rifiuto occidentale di una pace sulla base di un accordo in Ucraina, porta necessariamente la Russia in una condizione di tutto o niente e il vecchio Clausewitz non consiglierebbe di lasciare un nemico senza vie di fuga, meno che mai se il nemico è una potenza atomica. Fortunatamente una guerra di attrito, nonostante tutte le armi che possono essere fornite dall’occidente, non sembra ragionevole poter condurre ad altro esito che ad una vittoria russa, sia pure non velocissima. I russi sono avvantaggiati nei mezzi, negli uomini, nella logistica e nelle tattiche: parrebbe solo una questione di tempo. Ragionevolmente l’Ucraina non potrà che essere usurata molto prima della Russia e sembra inevitabile che finisca divisa in più parti, le più importanti delle quali controllate direttamente o indirettamente dalla Russia. Ed una Russia riunita all’Ucraina tornerà ad avere un potenziale simile a quello dell’Unione Sovietica, in più liberata dalla palla al piede dei vari stan.

La guerra commerciale, d’altra parte, non sembra affatto dare i frutti sperati, eppure era quella sulla quale più si contava. Se c’è un paese al mondo che può fare a meno degli altri, questa è la Russia. Le sanzioni la costringeranno a sviluppare le proprie produzioni ed i propri sistemi, compresi quelli finanziari, diventando più libera dal controllo dei poteri mondialisti. La situazione la spingerà, inoltre ad avvicinarsi sempre di più all’altra potenza mondiale che potenzialmente potrebbe essergli nemica, la Cina, ed all’Asia in generale. Forse gli occidentali, più che isolare la Russia, isoleranno se stessi. Inoltre la guerra non sembra per il momento aver indebolito il potere russo dall’interno tanto da portare all’agognato cambio di regime, anzi sembra aver condotto ad un rafforzamento del governo risvegliando la tradizionale resilienza patriottica russa e favorendo l’allontanamento di ulteriori “amici dell’occidente” tra quelli ancora presenti nella dirigenza. Le contro sanzioni russe, infine, tendono a mettere in dubbio il ruolo internazionale del dollaro e incontrano il favore di molti importanti paesi che, a quanto pare, non cercavano altro che un’opportunità per poter finalmente sfuggire alla tirannia della moneta americana.

In più, l’inevitabile crisi economica potrebbe destabilizzare definitivamente l’unione europea che attualmente non è altro che il lato politico della Nato (e quindi ad esclusiva guida americana), e portare in prospettiva ad un allentamento della presa degli USA sul continente. Hitler e Mussolini, in fondo, andarono al potere in circostanze che avevano un parallelismo con quelle che si vanno creando. D’altra parte un intervento diretto della Nato a favore dell’Ucraina per tentare di sconfiggere la Russia sul campo non sembra possibile, non solo per il pericolo di guerra nucleare che comporterebbe, ma anche per la difficoltà a reperire una forza combattente realmente seria in Europa e la cui creazione oltreoceano richiederebbe mesi e mesi di preparazione. Inoltre le precedenti prestazioni, vedasi per esempio la lunga guerra afgana, non paiono affatto incoraggianti. Il comunque possibile intervento Nato, pare essere una delle ragioni per cui la Russia non impegna attualmente in Ucraina il grosso delle sue potenzialità. Infine, il recente lancio nella società occidentale della “pandemia” ed in generale di tutto l’armamentario del cosiddetto “grande reset”, ha comportato un ulteriore indebolimento interno. Insomma: neppure l’occidente pare avere una posizione realmente solida.

Anni fa, passeggiando in un cimitero, mi capitò di leggere su una lapide questo epitaffio “più che virtù poté il destino”. Nelle nostre vite, facciamo spesso progetti e piani per il futuro credendo di agire per il meglio e spesso perfino nella maniera più razionale possibile, date le premesse. Tuttavia la nostra razionalità non sempre è davvero razionale, risente molto dell’emotività e delle profondità inconsce, inoltre le cose mutano rapidamente e sembrano avere una loro propria inerzia: ciò che rimane davvero sotto il nostro controllo non è poi una grande parte del tutto. I piani falliscono facilmente e occorre spesso rimodularli sulle circostanze sopravvenute. Perciò, quando il gioco è finito, qualcuno sente il bisogno di scrivere frasi del genere sulle tombe. La stessa cosa sembra valere in scala più ampia anche per i grandi progetti mondiali, per gli stati, gli statisti, gli oligarchi e i poteri economici: quasi mai le cose e tanto meno le guerre, vanno come previsto, il controllo rimane limitato, occorre non solo avere ottimi piani ma anche non affezionarcisi troppo, saperli cambiare all’occorrenza e soprattutto occorre che le cose, con la loro inerzia, non si mettano troppo di traverso.

Funzionerà la trappola Americana? Riusciranno gli Stati Uniti a conservare l’egemonia? Riusciranno i nuovi oligarchi anglosassoni ad imporre il “grande reset” e a confermare il primato dei grandi poteri economici sulla politica? Pfizer sconfiggerà i parlamenti? Bill Gates sarà consacrato profeta? Riuscirà l’Europa ad evitare le conseguenze più nefaste delle sanzioni e magari a riconquistare un suo margine di sovranità o sprofonderà sempre di più? Riuscirà la Russia a rovesciare la sua situazione di stato assediato a partire dalla vittoria in Ucraina? Riusciranno Russia e Cina ad imporsi come potenze di pari grado e magari superiori agli Stati Uniti?

La situazione oggi è aperta. Come finirà è dubbio. Del resto se l’esito fosse scontato, che senso avrebbe combattere? Io non ho certo doti profetiche come l’ineffabile Bill e naturalmente non so rispondere a nessuna di queste domande, ma sono portato a pensare che nessuno abbia il controllo assoluto degli eventi. Forse, più che la virtù, potrà il “destino”.

Nestor Halak

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