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La Redazione

 

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Perché la Catalogna vuole lasciare la Spagna? E’ l’economia, stupido !

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A cura di Bosque Primario
Il 5 Novembre 2017
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© Christian Hartmann / Reuters

DI STEVE KEEN

RT.com
I Catalani accusano Madrid per il loro malessere economico. Ma i veri colpevoli sono a Bruxelles, Francoforte e Berlino e questa dissociazione non può che alimentare un maggior separatismo regionale in tutta Europa.

La disunità si sente nell’aria in tutta Europa. La Catalogna è il luogo dove si è acceso il fuoco, ma non è l’unico. Il suo referendum illegale, ma goffamente annullato (insiema alla dichiarazione di indipendenza), è stato preceduto dal referendum scozzese sull’indipendenza dal Regno Unito – perso per poco –  dal successo del referendum della  Brexit e dai referendum legali ma inopportuni in Veneto e Lombardia, regioni che,  all’inizio di ottobre,  hanno chiesto in modo schiacciante maggior  autonomia in Italia.

Ma perché, e perché ora? E’ facile perdersi in chiacchiere parlando di fattori locali e di recenti fattori storici, la Spagna ne ha in abbondanza. Certo che contano e possono spiegare perché proprio in Spagna si è sviluppata la più conflittuale tra le lotte separatiste, nazionaliste e sovranazionali di questo continente. Ma i motivi fondamentali sono molto più profondi e in sostanza sono molto più semplici.

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Persino la piccola Catalogna, con i suoi 7,5 milioni di abitanti, è molto più grande di quel tipo di società – per dimensioni – in cui si è evoluta l’umanità, perché le grandi aggregazioni possono essere tenute insieme solo da forze travolgenti o da una prosperità travolgente. L’Unione Europea, che fu pensata per unire tutti gli europei, è sempre stata destinata al fallimento su questo fronte, come vide tanto chiaramente, un quarto di secolo fa,  Wynne Godley. Così si deve tornare a parlarne insieme agli strumenti che servono per tenerla ancora insieme.

Il numero massimo di persone che possono mantenere legami personali efficaci e reciproci arriva a circa 150, come nelle società dell’ “Età della Pietra”, che erano formate da circa 150 persone, e come i villaggi ai tempi di Guglielmo il conquistatore, che erano abitate dallo stesso numero di persone. Questa scala, conosciuta come Dunbar Number, fu ipotizzata per la prima volta dal biologo evolutivo Robin Dunbar negli anni ’80 e successivamente confermata dagli antropologi.

La logica di un numero così piccolo è semplice. Noi – gli esseri umani – siamo una specie sociale e per interagire in una società è necessario riconoscersi, non solo cioè sapere cosa significa interagire con ciascun individuo che incontriamo, ma anche comprendere come ogni altro individuo nell’ambito della società si comporta con gli altri membri della società.  Quando abbiamo ospiti a cena, non mettiamo due persone che si detestano sedute una accanto all’altra  (a meno che non vogliamo creare un incidente, ma lasciamo stare).

Più forti insieme?

Il numero  dei rapporti interpersonali aumenta rapidamente con l’aumentare dei numeri sulla scala. Con dieci persone, ci sono 45 relazioni personali ogni persona; con 100 persone, le reazioni sono 4.950. Con 150,  diventano circa 10.000 (il numero esatto è 11.175, il numero indicato dalla scala  è approssimativamente il quadrato del numero delle persone, diviso due), che sembra essere il limite massimo delle relazioni che il nostro cervello può gestire.

In Catalogna, si dovrebbero gestire circa 30.000 miliardi di relazioni interpersonali a persona. Una cifra che equivale a più di quattro volte gli abitanti della Terra.  Non c’e modo per nessuno di riuscire a immaginare come gestire tante interazioni, per questo motivo, invece di comprendere ( ed accettare) questo concetto, preferiamo inventare  dei concetti astratti come “Catalogna” e “Spagna” in modo da rapportarci questi concetti (territoriali) come se fossero una sola  persona.

Questi concetti astratti di regione, nazione o impero sono stati inventati solo nell’ultimo 2% del tempo che l’umanità esiste, come specie, su questo pianeta, da quando cioè  è diventato fastidioso gestire un rapporto con tanti piccoli gruppi di persone, da cui si è evoluta la nostra specie. Eppure oggi, questi concetti astratti costituiscono il prisma attraverso cui noi cerchiamo di comprendere tutto ciò che accade.

Quindi, non c’è da meravigliarsi  se succedono delle cose così evidentemente sbagliate.

Il vero mistero, dunque, non è perché la Catalogna vuole l’indipendenza dalla Spagna o la Scozia la voglia dal Regno Unito, ma è come queste enormi aggregazioni – anche quelle relativamente piccole come la Catalogna – siano riuscite ad imporsi e come possano sopravvivere, malgrado una nostra intima e confortevole zona di tribalismo che alberga in ognuno di noi.

La risposta è un fattore che gli economisti hanno chiamato, ma che di solito ignorano: “economie di scala”, per cui  un grande gruppo di persone può specializzarsi molto di più di quanto può fare un gruppo di 150 persone, e con quella specializzazione la società riesce a sviluppare una capacità molto maggiore. Un gruppo di cacciatori-raccoglitori non poteva avere partita contro una società agricola, dove gli schiavi lavoravano i campi e i soldati controllavano ed estendevano i loro confini.

Come prima nelle città-stato e poi negli stati nazionali sviluppati, la nostra capacità di proiettare la nostra gamma di legami intimi –  da 150 persone a 149 persone + uno stato – ha dato luogo ad alcune strane dicotomie mentali. All’interno della comunità stessa, ci aspettiamo un certo riconoscimento sia per la nostra individualità che per i nostri legami. Ma per mantenere in vita questa comunità, accettiamo che certi individui, fuori della nostra comunità o sottomessi, possano essere trattati come “altri” ed effettivamente de-umanizzati.

     Quindi, noi chiediamo democrazia nell’ambito del nostro gruppo, ma accettiamo l’uso della forza al di fuori del nostro gruppo.

Questa tensione è viva fin dai primi giorni della democrazia. Celebriamo Atene come il luogo dove nacque la democrazia e Aristotele come il più importante dei filosofi.  Tuttavia, nel discutere della schiavitù, Aristotele avrebbe potuto dire che “anche la tirannide è la regola di un padrone sugli schiavi; perché la schiavitù offre un vantaggio per il padrone”  e  comunque aggiungere il commento che “Ora questa sembra essere una forma di governo corretta”.

Era “corretta” solo perché la proprietà degli schiavi diede ad Atene un potere economico con cui permetteva ai suoi cittadini una vita confortevole.

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Tempi moderni

Oggi nessuna società con 150 individui sarebbe autosufficiente fuori da una foresta pluviale e le nostre piccole comunità interpersonali sono inestricabilmente intrecciate con tecnologie prodotte in massa che non si sarebbero mai sviluppate se gli umani fossero rimasti bloccati nei loro limiti sociali biologici. Di conseguenza, siamo invece rimasti bloccati nella tensione tra comunità ed economie di scala. Questa tensione può essere contenuta solo se un  grande raggruppamento di persone produce vantaggi economici innegabili rispetto ad unpiccolo raggruppamento di persone oppure se qualsiasi  malcontento viene soffocato con la forza.

La zona euro doveva portare  degli innegabili vantaggi economici ai suoi Stati membri: creare gli “Stati Uniti d’Europa” con una forza economica capace di competere con gli Stati Uniti d’America. Ma ora che questo progetto è fallito e quella colla  che doveva portare prosperità si è rivelata illusoria, la Spagna ha scelto la  via della forza per restare unita.

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Questo non doveva succedere. La Spagna è la rappresentazione di tutti i difetti dell’euro, ancor più della Grecia, perché secondo le regole della zona euro la Spagna ha fatto ogni cosa per benino. Le sue norme prevedevano che il debito pubblico non dovesse superare il 60% del PIL e che il disavanzo pubblico di bilancio dovesse essere inferiore al 3% del PIL e preferibilmente gestire il surplus a lungo termine. Se queste regole avessero funzionato per dare prosperità, le forze separatiste in Catalogna non si sarebbero mosse, perché la Spagna era l’unico paese dell’Eurozona a rispettare tali regole prima che cominciasse la crisi finanziaria globale. La Spagna è entrata nell’area dell’euro con un livello di debito pubblico al 70% del PIL e lo ha ridotto costantemente fino al 40 %, prima della crisi.
Nemmeno la Germania ha fatto altrettanto bene, secondo le regole i suoi politici hanno svolto un ruolo dominante nello scegliere le regole. La Germania è entrata nell’euro con un livello di indebitamento del governo del 60%, esattamente come previsto dagli obiettivi (divertente no?). Ma, nonostante le sue aspettative e la sua propensione alla disciplina fiscale, la percentuale non è migliorata. Al contrario, il rapporto è sceso leggermente dal 2000 al 2003, ma poi è risalito al 70% nel 2006 e al 64% del PIL, dopo la crisi finanziaria globale. Dopo la crisi,  il livello del debito pubblico in Germania è cresciuto rapidamente come in Spagna, ma poi si è fermato grazie all’espansione dell’economia mondiale e le esportazioni tedesche-sotto-prezzo hanno cominciato a salire di nuovo.

Ma la Spagna ha fatto veramente solo bene nel debito pubblico prima della crisi a causa del suo debito privato – completamente ignorato dalle norme della zona euro –  che era fuori controllo, poi l’euro ha indubbiamente svolto un ruolo significativo nel creare altro debito privato. Quando la Spagna aveva la propria moneta, l’indebitamento privato raramente superava l’80% del PIL. Ma appena prima dell’entrata nell’euro, il debito privato ha cominciato ad aumentare più rapidamente del PIL ed è decollato con l’euro. Il debito privato si è quasi triplicato rispetto al PIL ed ha alimentato una bolla immobiliare senza precedenti. È passato dall’80% del PIL, al 200% dopo la grande crisi  per arrivare a quasi il 220% nel 2010.

Questa bolla del debito privato ha provocato una apparente prosperità della Spagna all’inizio della crisi e la fine di questa illusione ha causato la seconda grande depressione della Spagna.

Come spiego nel mio breve  non-technical book Potremo evitare un’altra crisi finanziaria ?, la domanda totale in un’economia è la somma di tutto il denaro esistente più il credito, che viene creato, poco a poco, quando le banche creano nuovo debito , debito che di solito viene speso quasi immediatamente dal debitore per comprare beni o servizi, stimolando così i prezzi e il reddito delle aziende. Gli economisti-mainstream negano questo legame sulla base di un modello che vede le banche come intermediari e non come generatori di prestiti, modello però ora screditato dalle banche centrali, tra cui recentemente la Bundesbank. I dati gridano anche che questi economisti-main-stream sono  dei bugiardi opportunisti, e si vede bene in Spagna, dove il rapporto tra credito e disoccupazione dal 1986 è sconcertantemente diminuito del 0,94.

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Solo l’Italia si è avvicinata all’obiettivo UE di una inflazione al 2%. Il vantaggio commerciale della Germania deriva dalla sottoquotazione del cambio fisso che ha bloccato la concorrenza.

I benefits di Berlino

La Germania, in netto contrasto con il resto della OCSE, è riuscita a pagare sia il debito pubblico che quello privato, perché il tasso di cambio fisso che ha condiviso con l’Europa ha significato sfruttare un cambio fisso con un tasso di inflazione più basso – e per essere chiari –    per fottere i paesi dell’area euro che avevano tassi di inflazione maggiori.

Uno dei numeri magici meno noti nell’area dell’euro è il target dell’inflazione al 2%  l’anno. Questo è il livello che le banche centrali di tutto il mondo credevano fosse il “tasso naturale” dell’inflazione quando credevano anche che i loro modelli DSGE riflettessero in realtà il mondo reale. Se tutti i paesi dell’area euro avessero centrato questo obiettivo, allora la zona euro avrebbe potuto funzionare, anche senza trasferimenti fiscali, perché  sarebbe stata mantenuta la parità competitiva tra i paesi membri. Ma la Germania, a causa del suo tabù sull’inflazione – dopo l’ esperienza dell’ iperinflazione durante la Repubblica di Weimar – ha voluto tenere baso il livello di questo target per costringere i suoi sindacati di accettare degli aumenti salariali più bassi.

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Un tasso di inflazione più basso  e un tasso di cambio fisso dell’Euro hanno concesso alle imprese tedesche un vantaggio di prezzo del 20% verso le imprese spagnole

L’inflazione in Spagna non è stata alta per i suoi standard storici: ha raggiunto solo 3,1% dall’arrivo dell’euro fino alla GFC, ma l’inflazione in Germania è stata sostanzialmente più bassa, con una media dell’1,4% l’anno.Non sarebbe molto, ma col tempo i prezzi delle merci tedesche sono scese del 20% rispetto ai prodotti spagnoli, dopo arrivo dell’euro. I prezzi in Germania sono più bassi di circa il 15% di quanto era stato concordato e i prezzi in Spagna sono di circa il 5% più alti.

Con le ridicole regolamentazioni fiscali dell’euro e con l’assenza di una Tesoreria Euro per riequilibrare e per compensare entrate fiscali e spese pubbliche e per  l’impossibilità di svalutare, l’unico modo per tornare ad una parità con la Germania è la deflazione. È questo che l’austerità ha imposto di raggiungere al governo Rajoy. Il livello dei prezzi spagnoli, che era il 20% superiore al target della zona euro all’inzio della crisie, ora è solo il 5 % oltre il target.

Ma questo non ha prodotto nessun risultato, perché l’inflazione in Germania è scesa dopo la GFC. Il divario tra i prezzi spagnoli e quelli tedeschi è ancora più alto di quanto era al momento della GFC.

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” Catalogna come un effetto domino  –  possono arrivare a 45 i nuovi paesi in Europa” — RT World News

I referendum per l’ independenza stanno diventando un trend in Europa. Dopo quello della Catalogna, ce ne sono stati altri in due regioni italiane.

 

Exit door

Con la deflazione come l’unica ed inefficace arma per ripristinare la parità con la Germania, l’adesione della Spagna nella zona euro impone la povertà nelle proprie regioni, tra cui la – una volta – prosperosa Catalogna. Questo è il motivo principale per cui la Catalogna vuole uscire dalla Spagna, ma vuole ancora restare “dentro” l’Unione Europea. Vuole sfuggire ai legami di una supercomunitaria nazionale fallita, ma non sembra rendersi conto che il fallimento della Spagna è dovuto alla sua adesione alla zona euro.

La UE, nel frattempo, appoggia il suo vassallo Spagna nella repressione della ribellione catalana. Il comportamento dell’UE in questo caso è stato tanto deludente  quanto i paramilitari mandati da Rajoy per far fronte agli elettori, anziché ignorare semplicemente un voto illegale. Ora, sia la UE che la Spagna hanno perso la loro presa morale in questo contesto tra comunità e stato.

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La Spagna è stata l’unica importante nazione dell’Eurozona a soddisfare gli obiettivi del Trattato di Maastricht del debito pubblico sotto il 60% del PIL ….
What will happen after Rajoy’s weekend decision to impose direct rule is anyone’s guess, but given Spain’s history of using violence to suppress internal dissent, it won’t be pretty. Nor will it end the forces for secession within Europe. The only things that will is either the abandonment of the euro itself or of the stupid rules of the Maastricht and Lisbon Treaties that have made the eurozone a force for poverty rather than prosperity.

La dichiarazione della Commissione europea,  che il referendum non era legale, è rigorosamente vera, ma contemporaneamente ha commesso un errore enorme nel ribadire   “abbiamo fiducia nella leadership del primo ministro Mariano Rajoy  nel gestire questo difficile processo nel pieno rispetto della Costituzione spagnola e dei diritti fondamentali dei cittadini, in essa sanciti” : questo ha reso la UE complice delle strategie pesantemente sbagliate di  Rajoy.

Che cosa succederà dopo che Rajoy deciderà di imporre  ordini diretti non lo sa nessuno, ma data l’esperienza storica della Spagna di usare la violenza per sopprimere il dissenso interno, non sarà cosa facile da prevedere.

E comunque non si metterà un fermo contro le forze secessioniste all’interno dell’Europa. Le uniche cose che vogliono sono abbandonare l’euro  e quelle stupide regole dei trattati di Lisbona e di Maastricht che hanno reso la zona euro una forza che produce povertà e non prosperità.

 

Affermazioni e opinioni espresse in questo articolo sono solo quelle dell’autore e non rappresentano necessariamente quelle di RT.

 

Steve Keen è un economista e scrittore australiano, professore e  Head of the School of Economics, History and Politics alla Kingston University di Londra
Fonte: https://www.rt.com

Link: https://www.rt.com/op-edge/408330-eu-catalonia-economic-separatism/

31.10.2017

Il testo di questo articolo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali, citando la fonte comedonchisciotte.org e l’autore della traduzione Bosque Primario

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