Dall’inizio della campagna vaccinale ad oggi abbiamo assistito ad un continuo inasprirsi delle misure discriminatorie nei confronti di chi ha scelto liberamente di non sottoporsi alla terapia sperimentale, arrivando al punto che oggi addirittura alcuni medici – vedi il caso Pregliasco – si rifiutano di curare nei propri ospedali chi non è provvisto di Super Green Pass.
La notizia di oggi però riguarda un’esperienza di discriminazione indiretta subita da una neonata, raccontataci attraverso la testimonianza del padre Giordano Olivieri, docente sospeso dal 15 di dicembre proprio in relazione all’obbligo vaccinale imposto per gli insegnanti, che ha visto la sua bambina di due settimane rifiutata dalla pediatra, durante le normali visite di controllo, perché figlia di due genitori non vaccinati.
Ecco il resoconto dell’accaduto, attraverso le parole del padre:
“In data 13 gennaio è nata la nostra secondogenita, e dopo 48 ore dal parto mia moglie è stata dimessa dall’Ospedale e noi, nella prima data utile, ovvero martedì 18 gennaio, abbiamo fatto la visita pediatrica per un controllo post-parto. Ha avuto accesso all’ambulatorio solo una persona, solo mia moglie, che ha fatto la visita, e la pediatra, che è la stessa che ha seguito per tutti questi anni nostro figlio più grande, si è voluta informare circa il nostro stato vaccinale. Noi abbiamo deciso liberamente di non vaccinarci, la dottoressa a tale scelta ha espresso molta preoccupazione, chiarendo che dalla successiva visita, per tutelare la sua salute personale e dell’intero ambulatorio, avremmo dovuto produrre un tampone negativo da mostrarle ogni volta, come se noi non vaccinati in automatico fossimo portatori del contagio. Ho voluto telefonare la pediatra dicendole che non solo era una follia, ma che oltretutto non poteva pretendere una cosa del genere; la dottoressa a quel punto ha concluso dicendo che se noi non avessimo prodotto il test negativo lei semplicemente non avrebbe visitato i nostri figli. Ci tengo a sottolineare che mia figlia di due settimane ha bisogno di visite frequenti. Noi non abbiamo voluto sottostare a questo ricatto e ho minacciato la pediatra di sporgere denuncia, poichè è un ulteriore accanimento nei confronti di due persone sane che hanno deciso liberamente di non vaccinarsi. La dottoressa in questione mi disse che si sarebbe informata su quello che è lecito e non è lecito fare, e dal suo punto di vista lei era in piena facoltà di imporre questa discriminazione. Dopo una settimana l’ho ricontattata e lei mi ha risposto che da quel momento in poi non sarebbe stata più la nostra pediatra, aveva deliberatamente scelto di depennarci dalla lista dei suoi assistiti”.
Rimaniamo sbigottiti leggendo di questa esperienza che ci mostra come anche di fronte ad una neonata le persone non riescano a mettere da parte le proprie paure. Ci chiediamo come sia possibile che questi medici continuino a reputarsi tali, nonostante accettino e siano partecipi di queste discriminazioni nei confronti di adulti e piccini che hanno semplicemente scelto di non vaccinarsi. Forse è il caso di ricordargli qual è il ruolo per cui avrebbero dedicato la loro vita: la cura dell’uomo.
A tal proposito gli rinfreschiamo le menti mostrandogli il giuramento professionale:
“Consapevole dell’importanza e della solennità dell’atto che compio e dell’impegno che assumo, giuro:
di promuovere la salvaguardia della salute, del benessere e dei diritti degli individui e delle popolazioni come mio primo impegno professionale;
di praticare la medicina intesa come insieme di scienze applicate che si fondano sui risultati della ricerca basata sul metodo sperimentale e sull’osservazione sistematica e pianificata;
di esercitare la medicina in autonomia di giudizio senza accettare nessuna interferenza o indebito condizionamento;
di perseguire con la persona assistita una relazione di cura fondata sulla fiducia e sul rispetto dei valori e dei diritti di ciascuno e su un’informazione preliminare alla raccolta del consenso comprensibile e completa;
di informare la mia condotta ai principi di solidarietà e giustizia al fine di garantire il rispetto dei diritti civili circa l’autonomia della persona;
di curare ogni paziente con scrupolo e impegno, senza discriminazione alcuna, promuovendo l’eliminazione di ogni forma di diseguaglianza nella tutela della salute;
di adeguare la conoscenza scientifica, le applicazioni tecnologiche e le mie abilità tecniche alle specifiche caratteristiche del singolo individuo nel rispetto delle sue preferenze e delle sue sensibilità;
di non far mai prevalere l’interesse della scienza sulla salvaguardia della salute, del benessere e dei diritti dei soggetti coinvolti nella ricerca biomedica;
di garantire indipendenza nella progettazione, conduzione, analisi e interpretazione dei risultati degli studi clinici e di impegnarmi a rendere sempre pubblici i risultati completi delle ricerche, qualunque ne sia l’esito.
di non compiere mai atti finalizzati a provocare la morte;
di non intraprendere né insistere in procedure diagnostiche e interventi terapeutici clinicamente inappropriati ed eticamente non proporzionati, senza mai abbandonare la cura del malato;
di affidare la mia reputazione professionale alle mie competenze e al rispetto delle regole deontologiche e di evitare, anche al di fuori dell’esercizio professionale, ogni atto e comportamento che possano ledere il decoro e la dignità della professione;
di ispirare la soluzione di ogni divergenza di opinioni al reciproco rispetto delle persone coinvolte;
di prestare soccorso nei casi d’urgenza e di mettermi a disposizione dell’Autorità competente, in caso di pubblica calamità;
di rispettare il segreto professionale e di tutelare la riservatezza su tutto ciò che mi è confidato, che osservo o che ho osservato, inteso o intuito nella mia professione o in ragione del mio stato o ufficio;
di prestare, in scienza e coscienza, la mia opera, con diligenza, perizia e prudenza e secondo equità, osservando le norme deontologiche che regolano l’esercizio della professione.”
Massimo A. Cascone, 02.02.2022