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DI WILLIAM BLUM
Killing Hope

Il tintinnar dello sciovinismo

“In realtà chi pone il maggiore pericolo alla pace mondiale: l’Iraq, la Corea del Nord o gli Stati Uniti?” chiese la rivista Time in un sondaggio online all’inizio del 2003, poco prima dell’invasione USA dell’Iraq. I risultati finali furono: Corea del Nord 6,7%, Iraq 6,3%, Stati Uniti 86,9%; totale dei voti, 706.842.[1]

Immaginate che dopo il recente test sotterraneo della Corea del Nord né gli Stati Uniti né alcun altro governo avesse strillato che stava cascando il mondo. Che nessuna minaccia alla pace mondiale fosse stata dichiarata dalla Casa Bianca o da qualsiasi altra casa. Così non sarebbe stata questa l’apertura di qualsiasi giornale radio o TV, né la notizia sarebbe stata sulla prima pagina di ogni quotidiano. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU non l’avrebbe condannato all’unanimità. Né la NATO. “Che dovremmo fare con lui?” non sarebbe stato per tutto il giorno il lamentoso titolo di America Online, accanto a una foto del leader nordcoreano Kim Jong-il.Chi avrebbe saputo dell’esplosione, anche se non fosse stata minuscola? A chi sarebbe importato? Ma dato che tutto questo cavalcare la paura in realtà ha avuto luogo, www.vote.com ha potuto porre la domanda – “La minaccia nucleare della Corea del Nord: è il momento di un blocco economico internazionale per farla fermare?” – e calcolare quindi un voto “sì” del 93%. In realtà non ci vuole troppo per convincere i cuori e le menti (quando queste non ci sono). Il guru mediatico Ben Bagdikian una volta scrisse: “Anche se per i media è impossibile dire alla popolazione cosa pensare, sono loro che dicono al pubblico su cosa pensare”.

Così in un qualche momento in futuro, il mondo potrebbe, o non potrebbe, avere nove stati in possesso di armi nucleari invece di otto. E allora? Conoscete tutti i terrificanti avvertimenti che gli Stati Uniti pubblicarono su un’Unione Sovietica dotata di armi nucleari? Su una Cina dotata di armi nucleari? E i non-avvertimenti su un Israele dotato di armi nucleari? Non ci sono stati avvertimenti allarmistici o minacce contro l’alleato Pakistan per l’aiuto dato alcuni anni fa alla Corea del Nord per lo sviluppo di armi nucleari, e quest’anno Washington si è affaccendata ad aumentare l’arsenale nucleare indiano, eventi a cui il mondo ha prestato poca attenzione, poiché gli Stati Uniti non hanno montato una campagna per dire al mondo di preoccuparsi. Ancora c’è un solo paese che ha usato armi nucleari su un altro popolo, ma su di lui non riceviamo messe in guardia.

Nel 2005 il segretario alla guerra Rumsfeld, commentando le grandi spese militari cinesi, ha detto: “Dato che nessuna nazione minaccia la Cina, uno si chiede: perché questi crescenti investimenti?”[2] L’anno seguente, quando gli è stato chiesto se credesse all’affermazione del Venezuela che il suo grosso accumulo di armi fosse strettamente difensivo, Rumsfeld ha risposto: “Non conosco nessuno che minacci il Venezuela – nessuno in questo emisfero.” [3] Presumibilmente, l’onorevole segretario, se gli fosse chiesto, direbbe che nessuno minaccia neanche la Corea del Nord. O l’Iran. O la Siria. O Cuba. Potrebbe perfino crederci. A cominciare con l’Unione Sovietica, tuttavia, man mano che un paese dopo l’altro entrava nel club nucleare, la capacità di Washington di minacciarli o costringerli diminuiva, che è naturalmente la ragione principale della Corea del Nord per cercare di diventare una potenza nucleare; o quella dell’Iran, se seguirà questa strada.

Indubbiamente ci sono alcuni nell’amministrazione Bush che non sono scontenti per il test nordcoreano. Una Corea del Nord nucleare con un leader “pazzo” serve come giustificazione logica per politiche che la Casa Bianca sta perseguendo comunque, come sistemi antimissile, basi militari su tutta la Terra, spese militari sempre più elevate, e tutte le altre belle cose di cui un impero che si rispetti intento alla dominazione del mondo ha bisogno. E naturalmente delle importanti elezioni sono imminenti, e fare i duri sul serio con dei comunisti matti vende sempre bene.

Mi è sfuggito qualcosa o c’è una legge internazionale che proibisca solo alla Corea del Nord di sperimentare armi nucleari? E qual è mai il pericolo? La Corea del Nord, anche se avesse armi nucleari e sistemi per lanciarle, e non c’è prova che ne abbia, naturalmente non minaccia di attaccarci nessuno. Come l’Iraq sotto Saddam Hussein, la Corea del Nord non è suicida.

E giusto per la storia, contrariamente a quanto ci è stato detto un milione di volte, non c’è prova oggettiva che la Corea del Nord quel famoso giorno del 25 giugno 1950 abbia invaso la Corea del Sud. Le accuse vennero solo dai governi sudcoreano e americano, nessuno dei quali fu testimone dell’evento, e nessuno dei due con la minima quantità di imparzialità credibile. No, gli osservatori delle Nazioni Unite non osservarono l’invasione. Cosa ancora più importante, in realtà non importa molto quale parte fosse stata la prima a sparare o a passare il confine quel giorno, dato che qualsiasi cosa sia successa fu solo l’ultimo incidente in una guerra già in corso da diversi anni.[4]

Operazione perché possiamo

Il capitano Ahcab aveva la sua Moby Dick. L’ispettore Javert aveva il suo Jean Valjean. Gli Stati Uniti hanno il loro Fidel Castro. Washington ha anche il suo Daniel Ortega. Da 27 anni la nazione più potente al mondo ha trovato impossibile condividere l’emisfero occidentale con uno dei suoi vicini più poveri e deboli, il Nicaragua, se il suo leader non è innamorato del capitalismo.

Dal momento in cui nel 1979 i rivoluzionari sandinisti rovesciarono la dittatura di Somoza, appoggiata dagli USA, Washington si preoccupò dell’ascesa di quella belva a lungo temuta – “un’altra Cuba”. Fu guerra. Sul campo di battaglia e nelle cabine elettorali. Per quasi 10 anni l’esercito delegato dagli USA, i Contras, condusse un’insorgenza particolarmente brutale contro il governo sandinista e i suoi sostenitori. Nel 1984 Washington fece del suo meglio per sabotare le elezioni, ma non riuscì a impedire al leader sandinista Ortega di diventare presidente. E la guerra continuò. Nel 1990 la tattica elettorale di Washington fu martellare al popolo del Nicaragua questo messaggio semplice e chiaro: se rieleggete Ortega tutti gli orrori della guerra civile e dell’ostilità economica americana continueranno. Appena due mesi prima delle elezioni, nel dicembre 1989, gli Stati Uniti invasero Panama senza un’apparente ragione accettabile per il diritto internazionale, la moralità, o il senso comune (naturalmente gli Stati Uniti la chiamarono “operazione giusta causa”); una probabile ragione per farlo fu inviare al popolo del Nicaragua il chiaro messaggio che era questo che poteva aspettarsi, che se avesse rieletto i sandinisti la guerra USA/Contra sarebbe continuata e avrebbe avuto perfino un’escalation.

Funzionò; non si può sopravalutare la potenza della paura, dell’omicidio, dello stupro, e della tua casa che viene incendiata. Ortega perse, e il Nicaragua tornò al dominio del libero mercato, sforzandosi di azzerare i programmi economici e sociali progressisti che erano stati intrapresi dai sandinisti. Entro qualche anno una diffusa malnutrizione, un accesso all’educazione e alle cure sanitarie totalmente inadeguato e altri mali sociali ancora una volta erano diventati un diffuso fatto della vita quotidiana per il popolo del Nicaragua.

Da allora ciascuna elezione presidenziale ha visto il perenne candidato Ortega contro l’interferenza di Washington nel processo, in modi sfacciatamente evidenti. Si è premuto regolarmente su determinati partiti politici perché ritirassero i propri candidati in modo da evitare di dividere il voto conservatore contro i sandinisti. Ambasciatori americani e funzionari del Dipartimento di Stato in visita hanno fatto pubblicamente ed esplicitamente campagna per i candidati antisandinisti, minacciando ogni sorta di punizione economica e diplomatica se avesse vinto Ortega, comprese difficoltà con le esportazioni, con i visti, e con le vitali rimesse familiari dei nicaraguensi che vivono negli Stati Uniti. Nelle elezioni del 2001, poco dopo gli attacchi dell’11 settembre, i funzionari americani fecero del loro meglio per legare Ortega al terrorismo, pubblicando una pubblicità a tutta pagina nel principale quotidiano che dichiarava, fra altre cose, che: “Ortega ha un rapporto di oltre trent’anni con stati e individui che riparano e tollerano il terrorismo internazionale.”[5] Quello stesso anno un analista esperto di Nicaragua della società di sondaggi internazionali Gallup fu spinto a dichiarare: “In tutta la mia vita non ho mai visto un ambasciatore in carica coinvolgersi pubblicamente nel processo elettorale di un paese sovrano, né ne ho mai sentito parlare” [6].

Inoltre il National Endowment for Democracy (NED) – al quale piacerebbe che il mondo creda si tratti di un’organizzazione privata non governativa, quando in realtà è una creazione e un’agenzia del governo USA – fornisce regolarmente grosse quantità di denaro e altri aiuti a organizzazioni che si oppongono ai sandinisti in Nicaragua. Anche l’International Republican Institute (IRI), da lungo tempo un’ala del NED, il cui presidente è il senatore dell’Arizona John McCain, è stato attivo in Nicaragua per creare il Movimiento por Nicaragua, che ha contribuito a organizzare marce contro i sandinisti. Un funzionario dell’IRI in Nicaragua, parlando a una delegazione americana in visita nel giugno di quest’anno, ha equiparato il rapporto fra il Nicaragua e gli Stati Uniti a quello di un figlio con il padre. “I figli non dovrebbero discutere con i loro genitori”, ha detto.

Avendo in mente le elezioni presidenziali del 2006 un alto funzionario americano ha scritto l’anno scorso su un giornale nicaraguense che se Ortega venisse eletto “il Nicaragua affonderebbe come una pietra”. In marzo è venuta in visita Jeanne Kirkpatrick, ambasciatore all’ONU degli USA sotto Reagan e uno dei principali sostenitori dei Contras. Ha incontrato membri di tutti i principali partiti opposti ai sandinisti e ha dichiarato la sua convinzione che la democrazia in Nicaragua “è in pericolo”, ma di essere sicura che la “dittatura sandinista” non sarebbe tornata al potere. Il mese successivo l’ambasciatore americano a Managua, Paul Trivelli, che parla apertamente della sua disapprovazione per Ortega e per il partito Sandinista, ha inviato una lettera ai candidati alla presidenza dei partiti conservatori offrendo aiuto tecnico e finanziario per unirli in vista delle elezioni generali del 5 novembre. L’ambasciatore ha asserito di rispondere a richieste di appoggio degli USA provenienti da “partiti democratici” nicaraguensi nella loro missione di impedire una vittoria di Daniel Ortega. La delegazione americana in visita ha riferito: “In una dichiarazione un po’ oscura Trivelli ha detto che se Ortega dovesse vincere, il concetto di governi che riconoscono governi non esisterebbe più e che comunque era un concetto del 19° secolo. I rapporti dipenderebbero da cosa realizzerebbe il suo governo.” Probabilmente uno dei timori dell’ambasciatore ha a che fare con i discorsi fatti da Ortega di una rinegoziazione del CAFTA, l’accordo commerciale fra USA e America centrale, tanto caro ai cuori dei globalisti aziendali.
Poi, in giugno, il vice segretario di Stato USA Robert Zoellick ha detto che era necessario che l’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) inviasse “appena possibile” una missione di osservazione elettorale in Nicaragua in modo da “prevenire che i vecchi leader della corruzione e del comunismo tentino di restare al potere” (anche se dopo il 1990 i sandinisti non hanno occupato la presidenza, ma solo incarichi minori).

Il messaggio esplicito o implicito delle dichiarazioni americane relative al Nicaragua è spesso l’avvertimento che se i sandinisti torneranno al potere, l’orribile guerra, così fresca nella memoria dei nicaraguensi, tornerà. L’Independent di Londra ha riferito in settembre che in Nicaragua su “uno dei tabelloni pubblicitari di Ortega era stato scritto con la vernice spray ‘Non vogliamo un’altra guerra’. Voleva dire che se voti per Ortega stai votando per una possibile guerra con gli USA” [7].

In Nicaragua il reddito pro capite è di 900 dollari l’anno, il 70% circa della popolazione vive in povertà. Vale la pena di osservare che Nicaragua e Haiti sono le due nazioni dell’emisfero occidentale in cui gli Stati Uniti sono intervenuti di più, dal 19° secolo al 21°, compresi lunghi periodi di occupazione. E oggi sono i due più poveri dell’emisfero, miserevolmente.

Non guardate indietro

L’orrore da cartoni animati della politica estera dell’organizzazione criminale di Bush basta a far venire agli americani la nostalgia per quasi tutto quello che c’è stato prima. E mentre Bill Clinton si pavoneggia per il paese e per il mondo associandosi a “buone” cause, questo basta a destare struggimento in molte persone di sinistra che dovrebbero saperla più lunga. Così ecco un ricordino di cosa componeva la politica estera di Clinton. Tenetevelo stretto nel caso che Lady Macbeth si candidi nel 2008 e cerchi di sfruttare il curriculum del suo piacione.

Jugoslavia: gli Stati Uniti durante gli anni ’90 svolsero il ruolo principale nella distruzione di questa nazione, repubblica per repubblica, il cui punto più basso furono i 78 giorni consecutivi di terribile bombardamento della popolazione nel 1999. No, non fu un atto di “umanitarismo”. Fu imperialismo puro, globalizzazione aziendale, un liberarsi dell’”ultimo governo comunista in Europa”, tenere in vita la NATO dandole una funzione dopo la fine della guerra fredda.. Dietro la politica degli USA non c’era un problema morale. Il leader jugoslavo cacciato, Slobodan Milosevic, viene abitualmente definito “autoritario” (rispetto a chi? Ai bushevichi?), ma questo non c’entrò niente. Il grande esodo della popolazione del Kosovo risultò dal bombardamento, non dalla “pulizia etnica” serba; e mentre salvava i kosovari l’amministrazione Clinton stava provvedendo alla pulizia etnica turca dei curdi. La NATO ammise (sic), fra altri crimini di guerra, di aver preso ripetutamente come bersaglio dei civili [8].

Somalia: l’intervento del 1993 fu presentato come una missione per aiutare ad alimentare masse che morivano di fame. Ma presto gli USA cominciarono a schierarsi nella guerra civile fra clan e cercarono di riorganizzare la mappa politica del paese eliminando il signore della guerra dominante, Mohamed Aidid, e la sua base di potere. In molte occasioni gli elicotteri americani mitragliarono gruppi di sostenitori di Aidid o spararono missili contro di loro; dei missili vennero lanciati su un ospedale perché si credeva che le forze di Aidid vi si fossero rifugiate; e anche una casa privata, dove dei membri del movimento politico di Aidid stavano tenendo una riunione; infine, un tentativo delle forze americane di rapire due leader del clan di Aidid produsse una battaglia orrendamente sanguinosa. Solo quest’ultima azione costò la vita a più di mille somali, con molti altri feriti.

È discutibile che far arrivare da mangiare a gente affamata sia stato importante come il fatto che quattro giganti petroliferi americani detenevano diritti di esplorazione su grandi aree di territorio somalo e speravano che le truppe USA avrebbero posto termine al caos prevalente che minacciava i loro assai costosi investimenti [9].

Ecuador: nel 2000 i contadini indios oppressi si sollevarono ancora una volta contro le sofferenze inflitte dalle politiche globalizzatrici USA/FMI, come le privatizzazioni. Agli indios si unirono i sindacati e alcuni ufficiali militari dell’esercito e la loro coalizione costrinse il presidente a dimettersi. Washington si allarmò. Funzionari americani a Quito e a Washington scatenarono un blitz di minacce contro il governo e gli ufficiali ecuadoriani. E questa fu la fine della rivoluzione ecuadoriana [10].

Sudan: nel 1998 gli USA bombardarono e distrussero deliberatamente un impianto farmaceutico a Khartoum credendo, come affermarono, che fosse un impianto per produrre armi chimiche per terroristi. In realtà l’impianto produceva il 90 per cento circa dei medicinali usati per curare le malattie più mortali in quel paese disperatamente povero; si sarebbe trattato di uno dei più grandi e migliori nel suo genere in Africa. E non aveva alcuna connessione con armi chimiche [11].

Sierra Leone: nel 1998 Clinton spedì Jesse Jackson come suo inviato speciale in Liberia e Sierra Leone, quest’ultima nel mezzo di uno dei grandi orrori del 20° secolo – un esercito di ragazzi e ragazzini, il Revolutionary United Front (RUF), che andava in giro stuprando e tagliando alla gente le braccia e le gambe. L’opinione africana e mondiale era infuriata contro il RUF, che era impegnato a difendere le miniere di diamante sotto il suo controllo. Il presidente liberiano Charles Taylor era un alleato e sostenitore indispensabile del RUF e Jackson era un suo vecchio amico. Jesse non venne inviato nella regione per cercare di limitare le atrocità del RUF, né per tormentare Taylor sulle sue generalizzate violazioni dei diritti umani, ma invece nel giugno 1999 Jackson e altri funzionari americani redigettero intere sezioni di un accordo che fece del leader del RUF, Foday Sankoh, il vicepresidente della Sierra Leone, e gli dette il controllo ufficiale delle miniere di diamanti, la maggiore fonte di ricchezza del paese [12].

Iraq: altri otto anni delle sanzioni economiche che il consigliere per a sicurezza nazionale di Clinton, Sandy Berger, chiamò “le sanzioni più pervasive mai imposte a una nazione nella storia del genere umano”, [13] che devastarono assolutamente ogni aspetto della vita degli iracheni, in particolare la loro salute; veramente un’arma di distruzione di massa.

Cuba: altri otto anni di sanzioni economiche, ostilità politica, e riparo fornito a terroristi anticastristi in Florida. Nel 1999 Cuba ha fatto causa agli Stati Uniti per 181 miliardi e 100 milioni di dollari di indennizzo per danni economici e perdite di vite umane durante i primi quarant’anni di questa aggressione. La denuncia sostiene la responsabilità di Washington per la morte di 3.478 cubani e il ferimento e l’invalidità di altri 2.099.

Solo le potenze imperialiste hanno la capacità di imporre sanzioni e dunque ne sono sempre esenti.
Quanto alle politiche interne di Clinton, tenete presenti queste due meraviglie: l’”Effective death penalty Act” e il “Welfare Reform Act”. E non dimenticate il massacro a Waco, in Texas.

Tre miliardi di anni dalle amebe alla Homeland Security

“Il Department of Homeland Security gradirebbe ricordare ai passeggeri che non potete portare liquidi in aereo. Sono compresi i gelati, dato che i gelati si sciolgono e si trasformano in un liquido”. Questa è stata effettivamente sentita di recente da uno dei miei lettori nell’aeroporto di Atlanta; è scoppiato a ridere ad alta voce. Mi informa che non sapeva cos’era più bizzarro, che un annuncio del genere venisse fatto o che fosse lui l’unica persona che vedesse reagire alla sua assurdità [14]. È così che funziona con le società. Come la proverbiale rana che accetta di essere bollita a morte in una pentola d’acqua se questa viene scaldata molto gradualmente, la gente si sottomette una dopo l’altra a un’indegnità e un’assurdità una peggio dell’altra, se vi viene sottoposti a un ritmo abbastanza graduale. Questo è uno dei filoni più comuni che si trova nelle storie personali dei tedeschi che vivevano nel Terzo Reich. Questa storia dell’aeroporto in realtà è un esempio di assurdità dentro un’altra assurdità. Dopo che la storia della “bomba fatta di liquidi e gelatina” è stata affibbiata al pubblico, diversi chimici e altri esperti hanno evidenziato la quasi impossibilità di costruire una bomba del genere in un aereo in movimento, per la ragione se non altro della necessità di passare almeno un’ora o due nel bagno dell’aereo.

William Blum
Fonte: http://www.killinghope.org/
Link: http://www.killinghope.org/
19.10.2006

Traduzione a cura di LUCA TOMBOLESI

NOTE:

[1] Time European, edizione online: http://www.time.com/time/europe/gdml/peace2003.html.

[2] Washington Post, 4 giugno 2005.

[3] Associated Press, 3 ottobre 2006.

[4] William Blum, Killing Hope: US Military & CIA Interventions Since World War II (2004) [ed. italiana di un’edizione precedente Il libro nero degli Stati Uniti, Fazi editore, 2003], capitolo 5.

[5] Nicaragua Network (Washington, DC), 29 ottobre 2001 – www.nicanet.org/pubs/hotline1029_2001.html, e New York Times, 4 novembre 2001, p.3.

[6] Miami Herald, 29 ottobre 2001.

[7] Il resto della sezione sul Nicaragua deriva in primo luogo da The Independent (Londra), 6 settembre 2006, e “2006 Nicaraguan Elections and the US Government Role. Report of the Nicaragua Network delegation to investigate US intervention in the Nicaraguan elections of November 2006″ —
www.nicanet.org/pdf/Delegation%20Report.pdf. Si veda anche: “List of interventions by the United States government in Nicaragua’s democratic process.” — www.nicanet.org/list_of_interventionist_statments.php.

[8] Michael Parenti, “To Kill a Nation: The Attack on Yugoslavia” (2000 Diana Johnstone, “Fool’s Crusade: Yugoslavia, NATO and Western Delusions” (2002)
William Blum, “Rogue State: A Guide to the World’s Only Superpower” (2005) [trad. italiana di un’edizione precedente Con la scusa della libertà , Milano, M. Tropea, 2002], vedi nell’indice alla voce “Yugoslavia”.

[9] Rogue State, pp. 204-5.

[10] Ibid., pp. 212-3.

[11] William Blum, “Freeing the World to Death: Essays on the American Empire”, capitolo 7.

[12] Ryan Lizza, “Where angels fear to tread”, New Republic, 24 luglio 2000.

[13] Conferenza stampa della Casa Bianca, 14 novembre 1997, trascrizione US Newswire.

[14] Questa storia mi è stata raccontata da Jack Muir

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