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La Redazione

 

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NEL NOME DEL POPOLO ITALIANO

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A cura di Davide
Il 7 Marzo 2009
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DI H.S.
comedonchisciotte.org

Spesso… troppo spesso ci affidiamo alle parole per esporre la nostra visione dei fatti ed attribuire un significato ad eventi e situazioni. La verità è che le parole sono come le fibre di un vestito troppo stretto per essere indossato dalla realtà che ci circonda. Il campo semantico possiede un’estensione troppo minuscola per venire coincidere con la complessità del reale. Quando scriviamo , quando traduciamo con l’inchiostro le nostre prospettive , quando realizziamo i nostri piccoli articoli e i nostro piccoli saggi rimane sempre un che di incompiuto e di irrisolto. La pubblicistica , gli articoli e post , per quanto ben elaborati e congegnati mantengono spesso un carattere fondamentalmente asettico e qualche volta abbiamo pure l’impressione di una decontestualizzazione dei fatti , della forse inconsapevole eliminazione di pulsioni nascoste ma pure ben presenti. E’ come dipingere un quadro totalmente astratto fatto di colori reali ma informi , privi di vera sostanza e perciò concreta. Non mi sorprende che i più grandi uomini che la storia abbia saputo esprimere , personalità come Socrate e Gesù , non avessero lasciato nulla di scritto temendo certamente di essere fraintesi e , quindi , in certo modo vilipesi. Conosciamo la loro opera attraverso i loro discepoli o , addirittura , attraverso i discendenti dei loro discepoli , quindi , in certo qual modo , non la conosciamo affatto.
Laddove la parola difetta , nell’intento di descrivere ed interpretare la nuda realtà , interviene la creatività , l’arte se volete. Nelle sue forme migliori l’arte rappresenta una forma di sapienza : essa penetra in profondo e tocca le corde più segrete facendole vibrare. In questo territorio la scarna parola finisce per perdere significato. L’arte è razionale o irrazionale ? Non possiede nessuno dei due tratti e li possiede al contempo , perché si manifesta come una specie di intuizione “organizzata” che si appropria ed assorbe ragione e sentimento. La parola può , però , uscire da sé stessa e diventare autenticamente creativa come nel caso della poesia. Non è più parola in sé , ma fonte da cui sgorgano fiumi di significato.

Perché questa introduzione ? Perché ritengo che , alle volte , per illustrare una situazione nelle pieghe più nascoste e per interpretare i fatti sia necessario affidarsi alla creatività più che alla saggistica. Se me lo consentirà , l’amico comedonchisciotte , procederò a quella che ha tutto l’aspetto di una recensione cinematografica , un omaggio a quel grande maestro della commedia all’italiana che è stato Dino Risi.

E’ trascorso qualche mese dalla sua dipartita , ma chi ha avuto modo e occasione di visionare le pellicole di un periodo d’oro della nostra cinematografia , non può che rimpiangere quel passato e , insieme , l’opera del maestro Risi che ci ha regalato alcuni dei ritratti al vetriolo più azzeccati nel panorama della commedia italiana. Nella sua lunga e invidiabile carriera Risi ha spesso ceduto alle lusinghe del botteghino e della cassetta dirigendo anche film dalla comicità più facile e di grana grossa – penso , ad esempio , a quelle pellicole incentrate sulle tematiche sessuali e “pruriginose” – , ma quando ha potuto tradurre in immagini la sua vena migliore i risultati sono stati e continuano ad essere difficilmente eguagliabili perfino da parte dia altri illustri colleghi come Monicelli. Il miglior Risi ha saputo mantenere il giusto ed invidiabile equilibrio fra elementi disparati e spesso contrastanti : l’amaro e il dolente , il mostruoso ed il grottesco , il satirico , il burlesco ed il goliardico. Come i migliori maestri della commedia all’italiana , in questo assistiti da valenti sceneggiatori (Age e Scarpelli , Maccari , ecc…) e dai migliori attori della storia del cinema italiano (Sordi , Gassman , Tognazzi , ecc…) , Risi non ha realizzato opere di sapore semplicemente “comico” , ma affreschi più complessi in cui l’effetto gioioso e liberatorio della risata veniva immediatamente assorbito dalla visione spesso cupa e pessimista della realtà. Anzi questa considerazione vale forse più per lui che per i suoi colleghi. Abile ritrattista degli aspetti più aberranti e negativi dell’umanità e dell’italianità e dotato di un occhio finissimo nel cogliere anche i vizi più nascosti , la sua poetica è stata compendiata nel film “I mostri” , un capolavoro assoluto della commedia ad episodi in cui nulla e nessuno viene risparmiato coinvolgendo il costume , la morale , la politica , la religione , ecc… A ben guardare le migliori incursioni cinematografiche di Risi non sono state altro che il proseguimento del filo discorsivo de “I mostri” – e nel caso de “Il sorpasso” l’anticipazione – così come pure “In nome del popolo italiano” che mi appresto ad analizzare. Al di là , quindi , delle indubbie capacità tecniche e della perizia dimostrata nella direzione degli attori , la migliore filmografia di Risi si fa apprezzare per lo sguardo lucido , disincantato e spietato con cui il maestro ritrae la mostruosità umana invitandoci alla riflessione e rammentandoci che , nell’umanità come nell’agire umano , sono insite ed insopprimibili inclinazioni che , troppo spesso , o ci sforziamo di ignorare o archiviamo alle voce “mostruosità”. V’è tanto di mostruoso nell’umano come v’è altrettanto di umano nel mostruoso : Risi non rinuncia a infondere nei suoi “mostri” una carica sinceramente umana trasmettendo nello spettatore non solo la sensazione di ribrezzo , ma anche di compassione nel migliore dei casi. Normali cittadini , baraccati e barboni , preti , industriali , uomini dello spettacolo , avvocati e giudici , sportivi, ecc… I mostri costituiscono lo specchio delle nostre personali bassezze e paure.
Accanto a “Il sorpasso” e “I mostri” – ma pure “Una vita difficile” che toccava altre corde – “In nome del popolo italiano” rimane , fra le opere di Risi , fra le mie preferite , a cui sono particolarmente affezionato per svariate ragioni. Innanzitutto venne realizzata nel 1971 , l’anno in cui vidi la luce e che Pasolini ritenne il punto di partenza e di avvio del neocapitalismo edonista e consumista dagli effetti omologanti nel nostro paese. In secondo luogo , anche se pare passato un secolo , l’argomento e le tematiche trattate mantengono immutato il loro interesse e la loro valenza , più che mai forti e pregnanti.

“In nome del popolo italiano” è imperniato sul confronto fra l’integerrimo giudice Bonifazi e il subdolo imprenditore Santenocito rispettivamente interpretati dai due “mostri sacri” della commedia all’italiana non a caso già protagonisti de “I mostri” Ugo Tognazzi e Vittorio Gassman. Per chi ne ha un minimo di nozione e di memoria non è difficile scorgere nei due protagonisti tratti comuni a personaggi ben noti oggi alla politica come l’”imprenditore” Silvio Berlusconi e il “giudice” Antonio Di Pietro a dimostrazione della grande attualità del gioiello di Risi. Il “fascismo pragmatico” del Cavaliere e il “legalitarismo” dell’eroe di Mani Pulite sono chiaramente riconoscibili allo spettatore contemporaneo e pongono un serio interrogativo : quanto è realmente cambiato il nostro paese da allora ? Teniamo pure conto che nel periodo in cui Risi concepì , realizzò e girò “In nome del popolo italiano” si viaggiava sull’onda lunga sessantottina e proliferavano i gruppi della sinistra extraparlamentare. Le destre avevano il loro peso che , però , non è paragonabile a quello odierno , nonostante i timori per le minacce golpiste. A ben vedere sussistono importanti differenze fra i personaggi resi da Gassman e da Tognazzi e i citati protagonisti attuali della scena politica italiana. Santenocito è un gaglioffo e un approfittatore ma con una parlantina ostentatamente “futurista” – a proposito di centenari ! – e una carica di istrionismo che lo rendono sicuramente più simpatico e carismatico del Cavalier Berlusconi mentre il giudice Bonifazi è troppo austero e dolente per assomigliare realmente a Di Pietro , ma soprattutto sia Santenocito che Bonifazi si sognano di fare politica direttamente. Il primo preferisce corromperli , quei politici che , fra l’altro , disprezza e il secondo è vincolato al suo ruolo istituzionale così saldamente che per lui sarebbe inconcepibile dedicarsi ad un’altra carriera. Così nell’opera risiana la politica , quella concepita e realizzata nelle stanze e nelle segreterie dei partiti , viene solo sfiorata anche se il giudizio che se ne ricava è netto e tranciante… I politici e gli amministratori sono elementi corrotti della società e compiacenti nei confronti dei potenti. Ad un’attenta visione neanche il giudice Bonifazi e l’imprenditore edile Santenocito appaiono come i veri protagonisti del film , ma i comprimari di quel popolo italiano nel nome del quale si amministra la Giustizia. Per comprendere le ragioni di questa affermazione occorre spendere qualche parola sulla trama dell’opera…

Nell’Italia degli anni Settanta un pretore della capitale si erge ad accanito persecutore di imprenditori e speculatori disonesti. Il paese è preda di un declino morale e civile che pare inarrestabile testimoniato da un paesaggio ferito e oltraggiato : fiumi inquinati , boschi bruciati , strade pericolanti e piene di crepe , fauna assassinata , ecc… Dominano gli interessi forti conseguiti a mezzo degli strumenti della corruzione e il panorama mostrato suggerisce un degrado morale e un’incuria diffusa. Pure il palazzo di Giustizia è soggetto a pericolosi crolli e cedimenti strutturali ! Il giudice Bonifazi ha ora per le mani il caso di una ragazza apparentemente suicida , ma che , presto , cattura il suo interesse. Tossicodipendente e dedita alla prostituzione , la ragazza frequentava anche l’importante industriale ed imprenditore edile Santenocito , un uomo che per l’arricchimento , non solo esita a elargire e corrompere , ma , senza alcun riguardo per il territorio e per il paesaggio , inquina e fa incendiare boschi per creare terreni edificabili. Bonifazi si convince che la ragazza sia stata assassinata e che proprio Santenocito sia implicato nell’omicidio.
Quando , un paio di decenni dopo , Risi venne intervistato a proposito di Mani Pulite , ricordò che con il suo vecchio film voleva mettere in guardia circa le tentazioni di abuso di potere a cui i giudici potevano incorrere. Certo “In nome del popolo italiano” è anche questo , ma anche molto di più , perché la grandezza di Risi come degli sceneggiatori Age e Scarpelli consisteva invece nel non concedere sconti a nessuno. Più severo del giudice Bonifazi c’è lo stesso Risi che , non a caso laureato in Medicina , guarda alla realtà con un impietoso occhio clinico. Non risparmia stoccate a nessuno. Del giudice Bonifazi emergono una rigidità che mal si sposa con la realtà circostante e un certo fastidioso moralismo. Ad un certo punto , ancora quasi agli inizi delle pellicole , il medico legale lo avverte “Ma lo volete capire voi giudici che al popolo italiano in nome del quale pretendete di esercitare la giustizia non gliene frega assolutamente niente e che vuole essere come i Santenocito di questo mondo ?”. Una frase che dovremo tenere a mente…
Santenocito è , senza mezzi termini , un figlio di mignotta che ha fatto fortuna speculando durante la guerra , ha contratto un matrimonio di puro interesse ed ha inclinazioni fascistoidi. Lo scopriamo anche coinvolto in giri di droga e prostituzione d’alto bordo. Per salvare sé stesso dalla galera non avrà esitazioni a far rinchiudere in manicomio l’anziano padre che si era rifiutato di rendere una falsa testimonianza.
Accanito e testardo , Bonifazi riuscirà alfine a far rinviare a giudizio e a far arrestare Santenocito anche perché l’alibi di quest’ultimo lo incriminerebbe per un altro reato , un incendio boschivo.

Il finale de “In nome del popolo italiano” è da antologia , cupo e doloroso come pochi , quasi disperato e , per questo merita di essere raccontato… La scena si svolge per le vie di una Roma desolata , quasi vuota da sembrare estate. La gente è chiusa a casa per consumare quel rito che , quasi in esclusiva , cementa le masse del nostro paese : la partita della nazionale italiana di calcio. Si tratta di un incontro immaginario nello stadio di Wembley contro la nazionale inglese. Per le vie della capitale , le sue strade periferiche , solo qualche ragazzino isolato e il nostro giudice Bonifazi intento a leggere il quaderno della ragazza , una specie di diario che scagiona completamente l’imprenditore. Questo vagare del magistrato , assorto nella lettura , nel silenzio generale di piazze e strade , rende tutta l’idea della sua solitudine. Il paese se ne frega , appunto , tutto concentrato nella ricerca di una rivincita calcistica nei confronti dei britannici – che , peraltro , verrà in effetti riportata a Wembley , per la prima volta nella sua storia , un paio di anni dopo -. Dalla lettura se nevicava un quadro sordido , una ragazza vittima di un contesto sociale amorale e spietato , una giovane che , ormai , non ha più voglia di vivere… Con il suo ragazzo vive una storia impossibile , Santenocito e soci la sfruttano così pure i genitori che sulla prostituzione della figlia campano , l’uso della droga regge il peso della sua vita. Le pagine del quaderno confessano inequivocabilmente il suicidio della ragazza. Bonifazi è costretto a fare i conti con sé stesso e con il suo modo di condurre l’inchiesta : ha perseguitato l’indagato per un suo pregiudizio , per accanimento , per punire altre azioni delittuose che la legge gli aveva impedito di sanzionare. L’abilità di Risi , in un periodo in vena di “ideologismi”, si dimostra anche nella sua capacità di scansare la trappola del discorso “politicizzato” e a tesi. Venato di “ideologismo” , quindi… Accenna al carattere “sinistrorso” del magistrato e al comportamento “fascisteggiante” del suo antagonista per additare a conflitti e tensioni diffusi nella nostra società , ma senza impantanarsi. Il vero protagonista sta per esplodere in tutta la sua folle carica ed energia… Ormai quasi convinto a procedere alla scarcerazione di Santenocito e a far archiviare il caso , Bonifazi viene distratto da un urlo di gioia : l’Italia ha battuto l’Inghilterra ! Tutti si riversano per le strade e la baraonda che si scatena assume agli occhi del magistrato un carattere allucinatoria. La sua consapevolezza diventa una nuova ossessione… Fra l’umanità varia , allegra e cialtronesca , accompagnata dalle indimenticabili musiche del maestro Rustichelli , a Bonifazi pare di vedere il volto di Santenocito stampato sui corpi di alcuni “mostri” della nostra società. Un prete , un vecchio nostalgico , un parà , un a puttana , ecc… Il peggio degli italiani con tutta la sua violenza , la sua aggressività , la sua amoralità , la sua sciatteria , la sua cialtroneria , la sua volgarità , la sua inciviltà e la sua maleducazione trova la sua più efficacie rappresentazione nel multiforme istrionismo di Gassman che ripropone parecchi dei suoi personaggi de “I mostri”. Un gruppuscolo di tifosi ultrà capeggiati sempre da Gassman rovescia e provoca l’incendio dell’auto di una turista inglese… Smarrito , amareggiato e disgustato , libero dal suo pregiudizio da giudice , Bonifazi tocca con mano il popolo italiano in nome del quale esercita la sua funzione istituzionale. Santenocito stesso non è che un prodotto , il figlio della società , piuttosto che la causa dei mali. Almeno questo è quanto si ricava da una attenta e non superficiale visione del finale del film che , comunque , si presta a più interpretazioni. Se non ha più senso amministrare la giustizia in nome di un popolo che quotidianamente la calpesta , allora è meglio spogliarsi della toga. Bonifazi getta il quaderno sull’auto in fiamme condannando Santenocito , moralmente e senza appello. Lo sanzione , tuttavia , da uomo a uomo , non più da giudice , in una sorta di conversione non detta o suggerita ma intuibile che ricorda quella del commissario giustiziere interpretato dall’ottimo Balsam ne “Confessione di un commissario al procuratore della Repubblica” , il miglior mafia movie di Damiano Damiani. Una giustizia umana , interamente privata e personale , insomma , ma anche un atto di estrema gravità non solo perché si condanna un uomo che non è neanche innocente perché non è stato consumato alcun reato , ma anche perché si cancella totalmente una storia , una biografia carica di dolore… In sovrimpressione , fra le fiamme dell’auto , compare il volto della ragazza morta. La colpa più grave di Bonifazi , ormai solo virtualmente giudice , è quella di avere distrutto la testimonianza di una giovane vita bruciata , vittima di un riprovevole mondo adulto in cui nulla e nessuno vengono risparmiati. Fra tanti carnefici , una è la sola vittima e con lei quella giovinezza e quell’innocenza che solo questo popolo italiano può permettersi di deturpare. Quasi con noncuranza Bonifazi si avvia… Una chiosa mirabile , dolorosa, amara , tragica , grottesca e “carnevalesca” al tempo stesso , per invitare a guardarci allo specchio senza tentennamenti , né indulgenza e scevri da preconcetti.

Un affettuoso abbraccio , quindi , al grande Risi a cui si accompagna l’inestinguibile ricordo per due autentici “mostri” della recitazione e della comicità “dolente” : l’istrionico Gassman e il misurato Tognazzi si completano alla perfezione.

“In nome del popolo italiano” , un film quanto mai attuale da vedere per comprendere noi stessi. Se non ricordo male è disponibile il DVD edito da “Musica e Video”. Su Youtube qualcuno è riuscito a scaricare il celebre finale.

Non mi resta che augurare buona visione !

HS
Fonte: www.comedonchisciotte.org
7.03.2009

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