LETTERA APERTA AI SURFISTI DELL’ONDA “VERDE” PERSIANA

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Riceviamo e volentieri pubblichiamo

DI AMIR AHMADI

War is always about betrayal.

It is about betrayal of the young by the old, of cynics by idealists,

and of soldiers, rebels and Marines by politicians.

Stanno scorrendo fiumi di parole sui perché, i chi, i come, delle continue proteste della cosiddetta onda verde dei ragazzi persiani. O meglio, dei ragazzi di Tehran.

Fior di analisti, politici, commentatori, stanno producendo teorie, slogan, e si arriva a concetti del calibro della Rivoluzione, della Guerra Civile, del Cambio di Regime. Personalmente, preferisco farmi un bagno di umiltà e riconoscere dei motivi interessanti su ogni teoria che leggo o ascolto. Ma non ne condivido nessuna in particolare. Perché, cari i miei ribelli iraniani, voi che siete, o dovreste essere, i protagonisti di questa sommossa, secondo me non la state raccontando giusta.

Amici tehruni, non ho intenzione di scontrarmi con voi perché io abbia a cuore il candidato x o y. Cerco da Voi delle risposte che mi aiutino a comprendere i motivi di questa empasse unicamente perché mi sta a cuore l’Iran. Vi prego di confrontarVi con me con la massima sincerità e coerenza, la stessa che io cerco di spremere fino all’ultima goccia in queste righe. Rispondete a queste mie domande, perché senza le risposte, temo possa venir meno la stima nei confronti della vostra armata di giovani, e con essa la speranza nel futuro vostro e del paese.

Provo a scorrere il nastro fino alle vicende pre-elettorali, prima di rivolgermi di nuovo direttamente a Voi. Lo scorso 12 giugno la nazione iraniana si è recata, con grande partecipazione, alle urne per eleggere il loro Presidente della Repubblica. E’ appena il caso di sottolineare le parole “partecipazione”, “urne”, “elezioni”, “Repubblica”. Così, come dei piccoli flash, tanto per anticipare alcune cosucce.

Un Presidente, che, a Vostro dire, la smetta di rappresentare l’Iran in quel modo; con quei modi e quell’eleganza così lontani dagli standard comunemente diffusi, dalla compostezza delle cancellerie dei paesi “sviluppati”.

Un Presidente che Vi lasci finalmente liberi di dire e fare quello che vi pare, dove vi pare e con chi vi pare, piuttosto che costringere le Vostre ragazze a girare con quel velo sui capelli, o voi a dover aggirare i filtri di internet, per esempio.

Un Presidente che sia in grado di rimettere in sesto l’Economia del paese!

Ho conosciuto la realtà del periodo di campagna elettorale a Tehran: dibattiti a tutto spiano, con un appassionante rilancio, naturalmente, di slogan, promesse, novità, accuse, controaccuse e via dicendo. Proprio come in un qualsiasi altro paese democratico. Anzi, con una bella differenza: il clima era festoso. Gran casino in città, ma allegro, colorato. I gruppi di giovani si confrontavano in massa, ma non volava un insulto o una parolaccia. Molti ragazzi (perché non si può mica pretendere che siano tutti politicamente attivi) approfittavano delle uscite in massa semplicemente per rimorchiare: dai finestrini delle macchine, perché quando il traffico aumenta nelle lunghe strade della capitale, come in via Jordan, le macchine vanno a passo d’uomo e c’è tutto il tempo per abbordare da una corsia all’altra. Altri, nella rumorosa ed allegra bagarre, continuavano a parlare di temi politici, poco o niente di vicende personali di questo o quel politico. Altro che in Italia, mi vien da pensare. Forse è questo tipo di lontananza ad indurre a pensare ad una democrazia diversa, boh.

Provo a capire quale personaggio potrebbe meglio incarnare i sogni dei giovani iraniani; o meglio, chi di loro potrebbe contribuire alla loro realizzazione. Trovo che nessuno dei ragazzi è in grado di dirmi attraverso quali metodi gli obiettivi prima accennati potrebbero vedere la luce. Mi rendo conto che c’è semplicemente un gran discontento per la situazione attuale. Mi vien da pensare che quasi non importa chi potrebbe essere il nuovo Presidente; l’importante è che non sia lo stesso!

I ragazzi di Tehran vivono in una delle megalopoli del pianeta. Il traffico è probabilmente il primo fenomeno che si avverte quando si mette piede nella città. E’ una delle città più congestionate al mondo. Un mare di scatole metalliche su gomma che vanno su e giù. All’interno delle auto di marca più modesta, condotte da tassisti o da uomini meno abbienti, puoi contare anche fino a otto passeggeri insieme, accalcati sui sedili. I più fortunati sfilano in Bmw e Mercedes, da soli o con un passeggero a fianco (generalmente una bellissima ragazza). Casa automobilistica a parte, tutti si spostano su gomma, in attesa ad esempio dell’ampliamento della rete metropolitana (alla cui realizzazione contribuiscono importanti imprese italiane, per inciso). Ed alle stazioni di servizio c’è sempre la fila per fare rifornimento. E ci credo: fare il pieno ad una macchina di media cilindrata costa 6 dollari circa. Eh, dopotutto, il paese galleggia sul petrolio, ergo il petrolio è del popolo, e questo considera il greggio un diritto inalienabile. Questo concetto di “pretesa” è molto radicato nella mentalità degli abitanti di Tehran (non so se degli iraniani in generale). E’ un tipo di aspettativa che oscilla tra l’attesa, tipica dei credenti e che forse è in relazione al cardine dell’arrivo del Mahdi, e la viziata arroganza di chi, semplicemente, vuole il meglio ma pretende che sia qualcun altro a farlo al suo posto. Di fatto, per quanto possa sembrare antipatico, i componenti della borghesia non si ammazzano di fatica; in generale si può facilmente osservare come, in una famiglia “media” composta da 5 persone, si tiri tranquillamente avanti grazie al solo reddito del capofamiglia. Che differenza, con il tanto invidiato occidente, dove le famiglie sono sempre meno numerose e prolifiche, e la maggior parte dei redditi è appena sufficiente per i singoli lavoratori! E tutto questo questo certamente non da ieri, ovvero da quando le positive oscillazioni del prezzo del petrolio hanno favorito tra gli altri proprio l’Iran, ed un mare di petrodollari si è riversato nelle casse statali. Rispetto a “ieri”, però, sono sorti degli effetti collaterali: l’improvviso afflusso di ricchezza non è stato canalizzato uniformemente, e grazie ai limiti posti dai vari embarghi decisi dai tanto invidiati campioni di democrazia, che hanno impedito l’investimento in infrastrutture adeguate o ostacolato quelle avviate, si sono prodotte non solo inflazione, ma anche crescita smisurata del classico bene-rifugio: il mattone. Sicché, i giovani tutto sommato benestanti si sono visti catapultare nel giro di pochi anni in una condizione al limite dello schizofrenico; molti di loro hanno beneficiato di aumenti salariali, certo, ma il loro sostanziale benessere non è aumentato in proporzione. Cibo, vestiti, beni di prima necessità e persino benzina, non sono aumentati a dismisura. Ma comprare casa nuova è diventato difficilissimo, ad esempio. Tutti cambiano il loro modello di cellulare ogni due mesi, ma un’auto nuova, magari di marca europea, è qualcosa di irraggiungibile. Anche per chi è abituato a viaggiare, alcune differenze nei panieri di beni sono incredibili: puoi uscire la sera e fare il pieno, offrire la cena e il gelato a tre amici spendendo dieci dollari. Poi il giorno dopo passi in un autosalone, ed una Mercedes costa centomila dollari. “Casa” ed “Auto” nuove sono i due oggetti del desiderio che sento ripetere più spesso dai ragazzi con cui mi confronto, poiché sembrano sempre più irraggiungibili. Le ragazze invece sembrano più smaliziate. Alcune parlano di vestiti, di accessori, di gioielli. Ma la maggior parte si vede in viaggio, alla scoperta dell’Europa, dell’America. Magari per un percorso di studi.

Eppure, al di là dei sogni e delle connaturate lamentele, nessuno azzarda un’ipotesi di cambiamento reale. Si aspetta semplicemente che qualcuno arrivi e “sistemi tutto”. Che fortuna che hanno gli americani, pure in questo! E’ arrivato Obama! Quando saremo così fortunati anche noi? Un vizio che i più anziani rimproverano spesso ai propri figli e nipoti: non dovete aspettare che qualcuno faccia qualcosa per il vostro futuro, siete voi stessi che dovete impegnarvi! Se ognuno di voi si impegna per essere una persona migliore, tutto il paese migliora!

Ma le idee sembrano essere poche, la confusione tanta. Le finestre di internet dipingono mondi lontani e diversi, quasi irreali; le tv satellitari fanno il resto (tra di noi, amici capitolini, possiamo evitare di raccontarci la bufala della difficoltà a superare la chiusura e la censura comandate dal “regime”, spero) : i ragazzi vedono i loro coetanei esibirsi nei telefilm sulle spiagge statunitensi, le ragazze seminude nei varietà italiani, ed il desiderio diventa sempre meno contenibile. Far fortuna ed emigrare, certo! Ma…ne siete sicuri? Io ho visto le vostre feste private, ho conosciuto le vostre ragazze. Non serve impiantare una rete di contro-intelligence per organizzare un party con alcool in cui le ragazze possano indossare abiti da sera. Certo, non vi basta, avete visto le moderne discoteche. Ovviamente mi rivolgo a quanti di voi hanno accesso a questi tipi di divertimento. Gli altri, quelli più umili, quelli più semplici, se ne fregano delle vostre feste o di come vorreste fare parties a ritmo di rap. Loro si divertono benissimo con la loro musica e le loro danze. Ed infatti non sono lì con voi a protestare, oggi, per cambiamenti radicali (pardon, dimenticavo che siete moderati) a ritmo di cori di “libertà”. Libertà, già. Da questa parte del Tigri e dell’Eufrate, è diventata una parola vuota. Per chi governa, generalmente significa Libertà di fare quello che ci pare. Voi, siete sicuri di saper riempire questa parola di significato? O siete semplicemente attratti dalle sirene del (non negoziabile) American Lifestyle che Voice of America vi martella nei timpani ogni sera?

Ai meno abbienti fuori città, non può importare di meno delle vostre frustrazioni pre-consumistiche, o del fatto che non sapete come soddisfarle, e nemmeno cosa proporre di alternativo rispetto a quel che fa “Dictator” Ahmadinejad ed il suo entourage. Quello che sanno è che questo Presidente parla una lingua che loro capiscono. Lo vedono partire da Tehran con camion gonfi di contante pronto ad essere distribuito in provincia. Assistono alla costruzione di nuove università. All’edificazione di Borj-e-Milad. Incarna l’orgoglio persiano che sfugge alle classificazioni. Parla in modo diretto, anche su vicende scomode e per questo lo si ammira ancora di più. Non ha paura di sfidare sui maggiori palcoscenici i più blasonati diplomatici, scrive lettere al Papa ed al Presidente degli Stati Uniti (i quali non si degnano di rispondere ma affermano di tendere la mano… a determinate condizioni) citando Maometto ed il sacro Quran. Afferma il diritto della nazione ad usare le proprie risorse come vuole, ed a perseguire le tecnologie che preferisce senza dover render conto a nessuno se non alle disposizioni del diritto internazionale. Non ha paura di scagliare accuse per gli stermini in Afghanistan, in Iraq e nei territori palestinesi. E’ fiero, sicuro, devoto e contemporaneamente modesto nel privato. Non si sposta in “auto blu”, usa mezzi pubblici. Non vola su aerei privati o in prima classe, ma si siede in Economy. Non si trasferisce nei palazzi di prestigio, ma va a vivere in un quartiere popolare.

Ci si meraviglia davvero che l’elettorato iraniano possa versargli una valanga di voti? E per favore, mettete da parte la supponenza di chi crede che si debba distinguere qualitativamente tra elettorato “popolare” e quello “cittadino”. Una persona, un voto. Ognuno conta allo stesso modo. E se gli abitanti del dahat sono più numerosi, è questa maggioranza che deve decidere. Questa è democrazia. Nessuno si azzardi a ridicolizzare le loro opinioni, neanche quando Fini (Massimo, non Gianfranco) si rivolge a loro come “povera gente”: non commettete l’errore di ritenere il favore di cui gode Ahmadinejad come l’attaccamento forzato di una massa di disperati. Non devono esistere iraniani di classe A e B.

Ad ogni modo, dopo questa lunga premessa, tra speranze, scambi di numeri, preghiere e dibattiti, il 12 giugno è arrivata la doccia fredda per i capitolini. L’odiato (?) Mahmoud trionfa. 2 a 1 e tutti a casa, come nei derby più appassionanti.

E invece no, dalle strade non si leva più nessuno. Arriva l’onda di ritorno, pronta a spazzare ogni risultato. A questo punto ho bisogno di sapere:

Come si fa a ridicolizzare un referendum lanciando accuse senza avere il minimo straccio di una prova? Ma come, nel momento di massima celebrazione della volontà popolare, secondo il più classico degli strumenti di democrazia diretta, fate gli offesi? Eppure eravamo, eravate, tutti al corrente, immagino, che i sondaggi non lasciavano ampi margini per sperare in un Presidente diverso da quello eletto nel 2005. “Dov’è il mio voto”? Ad ognuno di voi che pone la domanda risponderei: “Nell’urna. Peccato non fosse in sufficiente compagnia”. Non avevate proposte condivisibili dal resto dell’Iran, ed il popolo ve lo ha dimostrato. Siete scesi a far casino approfittando del momentum e dell’isteria di un candidato che si dava per vincente già ore prima dell’esito della consultazione. Vi siete bevuti, voi per primi, e cercate di far bere al mondo intero la storia del broglio basandovi unicamente sulla parola di Mousavi e sul vostro discontento. Ma anziché promuovere indagini, avviare inchieste o quantomeno aspettare i 10 giorni necessari all’ufficializzazione del risultato avete iniziato ad occupare strade, piazze, ad incendiare cassonetti e spaccare vetrine. Bel modo di essere “moderati”.
Protestare, eh? Certo, ammetto sia legittimo, per carità. Ma vedete, non esiste paese al mondo in cui masse di persone possano assembrarsi senza che ci sia un intervento delle forze dell’ordine. Pensare che migliaia di cittadini possano sfilare per le strade protestando per l’esito di un referendum senza che la polizia muova un dito è indice scarso attaccamento alla realtà. Non è possibile a Tehran come non lo sarebbe a New York, a Pechino, a Madrid o a Tel Aviv. Con questo non legittimo tout-court i metodi di contenimento utilizzati dalle stesse forze dell’ordine, ma parliamoci chiaro, quando così tanta gente si raduna, bastano pochi “agitati” un po’ più degli altri per far degenerare la situazione. Quel che scherzosamente chiamo “effetto pecora” è sempre dietro l’angolo; è scattato al semplice diffondersi di sms e crisi di bile di Mousavi, figuriamoci se un semplice calcio ad un cassonetto non scatena disordini a catena. O volete farmi credere che avete marciato tenendo una candela in mano e pregando il santo Ali?
No, voi siete scesi nelle strade con tutti quei cartelli…scritti in inglese! Ma.. scusate, va bene che è molto più facile incontrare un iraniano che parli anche l’inglese piuttosto che un romano che parli una lingua diversa dal… romano appunto, ma come sperate di avviare un movimento popolare se non siete in grado di trasmettere il messaggio per primi ai vostri connazionali? Come dite? Non vi importa di quel che pensano gli altri iraniani? E certo, voi siete a Tehran, tutte le decisioni che contano devono venire da lì. No? Scusate, forse ho capito male; forse che siete sicuri di rappresentare anche la volontà degli altri iraniani, allora! Che strano, avevo appena letto che i sostenitori di “quell’altro” sono circa il doppio. E allora? Oh, cavolo, non ditemi che sperate anche voi in un intervento esterno. Certo, voi siete meno religiosi dei vostri parenti e non credete nel Mahdi (nemmeno io, se è per questo); eppure, accettate l’idea di un cambiamento come se potesse davvero essere un dono portatovi da qualche altra parte. Lo leggo in centinaia di posts, blogs, walls e twits. “Aiutateci”. Bel modo di essere “rivoluzionari”. O forse siete molto furbi, ed avete capito che da soli non ce la potete fare. Ma allora siete anche disonesti, perché non siete pochi ribelli contro tanti despoti; è contro il resto dei vostri stessi compatrioti ad essere pochi.
A proposito di “Aiuto”, carissimi. Lasciate che vi dica qualcosa di non dico tutti, ma del 99% dei lettori delle vostre richieste di aiuto. E non mi riferisco solo ai “politici”. Mi riferisco principalmente ai vostri coetanei, che leggono le vostre grida di aiuto comodamente seduti di fronte ai loro laptop di ultima generazione o sui loro iPhone. Ho una novità per voi: a nessuno di questi spettatori importa un fico secco di voi, dei vostri problemi o della vostra condizione. Allo stato dei fatti, voi tutti siete etichettati, nella peggiore delle ipotesi, come filo-terroristi che non vorrebbero mai incontrare; nella migliore, dei poveri disgraziati, sfortunati a vivere in un paese medievale, dei reietti da terzo mondo. Insomma, siete visti o con sospetto o con pietà. Praticamente NESSUNO sa nulla di ciò che è successo non dico all’inizio del XX secolo, ma nemmeno nel ’53, nel ’79… almeno, non sanno nulla di ciò che attiene i torti che avete subìto. Quello che è fissato nella mente di questi spettatori è unicamente un miscuglio di immagini che hanno a che fare con mullah in turbante, decontestualizzati proclami contro l’occidente, sinistri progetti nucleari. Il messaggio che è passato, mi spiace per voi, è quello di una nazione di pazzi che fa effettivamente parte di un asse del male, che finanzia i cattivi contro i buoni. Non mi dilungherò, stavolta, sulle conseguenze in ambito di politica internazionale. Non penso serva ricordarvi (perché voi internet lo usate, siete informati) che creare un largo consenso è il primo passo per un intervento. Di che tipo, pure, lo sapete. E poi ammettiamolo, non serve, a noi, essere complottisti. Noi i complotti li abbiamo vissuti sulla nostra pelle e sappiamo cosa significano davvero “Rivoluzione”, “Cambio di Regime”, “Guerra”, e li abbiamo pagati con il nostro sangue, le nostre perdite, le nostre lontananze imposte, i nostri esili.
Accidenti, mi sono sbagliato di nuovo. Voi questi complotti non li avete vissuti. Non sapete niente di Savak, di alternarsi di privatizzazioni e nazionalizzazioni… Voi, quando il vostro caro amico Mousavi, allora come oggi, parlava tranquillamente di martirio (degli altri, mica del suo, eh), eravate troppo piccoli. Non c’eravate quando un certo Michael Ledeen, ora di stanza a Roma, venne preso con le mani nel classico barattolo di marmellata nell’ambito dello scandalo Iran-Contras; oggi, costui scrive libri come “Iran, regno del Terrore”, e contemporaneamente i suoi recenti articoli sul Foglio sprizzano commenti entusiasti sulle Vostre proteste nella capitale. Un disinteressato partner, non c’è che dire. E’ solo uno degli esempi che si possono fare, potete senza dubbio contare sull’appoggio suo e di altri democrators. In bocca al lupo, è letteralmente il caso di dire.

Non avrete vissuto direttamente questi ed altri scandali, ma non potete non conoscerli. Sono sicuro che non fingete di ignorarli. Quel che non capisco, è perché avete tanta fretta di viverli anche voi, come brutta copia di un capitolo doloroso, in cui, stavolta, non avrete il compatto supporto del resto della nazione. Ogni rivolta che si rispetti deve partire dal vasto ceto operaio, che si rivolta contro un oppressore che gli toglie la capacità di svilupparsi, spesso svendendosi al di là del confine, proprio come fece lo Shah, prima di dover fuggire in Egitto, quello stesso paese da cui poco fa Barack “Jesus” Obama si è rivolto al “mondo arabo” per fare un sermone sulla religione (lui è su tutte le magliette con la didascalia “Change” e può farlo; Ahmadinejad che partecipa alla conferenza sul razzismo invece è una faccia tosta, vero?). La rivolta, il cambiamento, non parte da un gruppo di elite con videofonino. Il fatto che la vostra piccola grande onda, per non infrangersi al primo scoglio, abbia bisogno di un supporto esterno, è di per sé un pessimo segnale che riflette ancora una volta la distanza con gli iraniani fuori Tehran.

Ed ammettetelo, segna anche la distanza con i vostri cari, i vostri genitori e tutti coloro che hanno superato decenni di difficoltà per sognare una nazione indipendente in cui i loro figli potessero continuare ad essere fieri di essere iraniani. Sono sicuro che non avrebbero mai immaginato, mentre manifestavano, trent’anni fa, contro lo Shah ed i suoi burattinai anglo-americani, mentre soffrivano per le privazioni degli embarghi, la depressione post-rivoluzione e le atrocità della guerra, che i loro figli o i loro nipoti sarebbero scesi in piazza, usando strumenti che non conoscono, dialogando in canali a cui non accedono, per riportare tutto quel caos nel paese.

Per invidia di tutto cio’ che sperano possano trovare, o farsi portare, che non abbiano già. Per insofferenza verso una condizione che non li soddisfa, che vogliono veder migliorare, e che non apprezzano veder progredire abbastanza velocemente.

Meno di un anno fa, parlai con uno di Voi. Un ragazzo di 25 anni (un numero riportato spesso con entusiasmo per farvi capire quanto e quanti siate, voi, giovani in Iran), che non faceva che lanciare anatemi contro Ahmadinejad. Cercai di confrontarmi circa la situazione in medio oriente, su ciò che accadeva appena al di là del confine. Eravamo in pieno centro, a Meidun Valiasr. Volevo sapere la sua circa la guerra in Iraq, in Afghanistan, la crisi in Pakistan, in Georgia, l’adesione dell’Iran al patto di Shanghai. Come si vive in un paese malvisto dall’occidente, e i cui molti giovani questo occidente tutto sommato lo sognano? Come si sopportano le calunnie sulla ricerca nucleare di fronte alla necessità di fonti di energia alternative al petrolio? Come si combatte adeguatamente la disoccupazione quando dalle frontiere ad est ed ovest arrivano frotte di rifugiati afghani, curdi, iracheni, che scappano dalla guerra nei loro paesi? Come si frena l’inflazione se i barili si vendono in dollari, e questi non li vuole più nessuno? Come ci si arricchisce grazie al petrolio, se, in assenza di raffinerie, devi vendere greggio e poi ricomprare benzina? Come si può pretendere che il paese migliori la sua economia in queste condizioni, senza contare gli embarghi, e senza contare nemmeno la congiuntura internazionale che arriva a far crollare persino in Cina il Pil? Quale paese pensate sia in grado di risanare la sua economia, in questo momento?

Ma non ho avuto risposte. Tutto quello che mi ripeteva è che era colpa di Ahmadinejad se l’Iran era visto in quel modo dall’occidente. Eppure, viene sempre accolto festosamente da masse di persone, nei suoi spostamenti interni o di ritorno da incontri internazionali, dico io. “Quelli sono ignoranti”, mi sento dire. Ed io non posso che trasalire di fronte a tanta supponenza; la stessa con cui conclude il suo pensiero confidandomi che “a me ed ai miei amici non va più bene vivere così, senza la possibilità di arricchirci. Magari venissero gli americani. Sarei disposto a vivere una guerra, almeno saprei che i miei nipoti in futuro potrebbero vivere in un paese diverso”.

“Vallo a raccontare agli iracheni ed agli afghani, che brillante futuro vi aspetterebbe, Nostradamus!” – Ma l’urlo mi si spezza in gola. Perché improvvisamente il ragazzo non è più solo “giovane”. E’ piccolissimo. Ho l’impressione che i suoi tratti diventino quelli di un bambino capriccioso, che si lagna della pappa fatta in casa, ed è pronto ad abbracciare il primo che gli offra una caramella.

Quando si parla di tradimento, eh?

Amir Ahmadi
24.06.2009

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