DI PAOLO BARNARD
paolobarnard.info
Caro imprenditore, spero che una domenica pomeriggio nella
calma del suo salotto lei possa dedicare trenta minuti a leggere questa mia. Il
contenuto parla di quanto di più caro lei abbia fuori dall’ambito familiare: il
suo lavoro, il suo investimento di una vita, e coloro che lavorano con, per,
lei. Vi stanno distruggendo. E peggio: siete soli. Né Confindustria, né le
vostre organizzazioni di rappresentanza hanno capito cosa è in atto nell’Unione
Europea, non sanno o non vogliono capire, e infatti se ne vedono i risultati. Qui
vorrei offrire a lei, e ai suoi omologhi, un contributo di comprensione, ma
soprattutto di autodifesa e di riscatto. Le parlo di economia, il motore di
tutto ciò che ci sostiene, senza il quale non solo i redditi e i fatturati, ma
neppure i diritti sono possibili. La sua figura, ritengo, è oggi una chiave
fondamentale per salvare l’Italia, la democrazia, il lavoro.I sindacati… devo trattenere il disprezzo per organizzazioni
condotte da quadri dirigenti che sono quanto di più parrocchiale, ignorante e
cinico questo Paese abbia prodotto fuori dalle Mafie. Veri ascessi del mondo
del lavoro e nel futuro di milioni di lavoratori, traditori di una causa che fu
nobile, venduti non ai ‘Padroni’, ma al proprio bieco opportunismo. Per questo
faccio appello a voi imprenditori. Spero che voi, uomini e donne schiacciati
fra la retorica defunta della sinistra e la distruttività apocalittica dei
poteri sovranazionali, possiate intuire la validità di queste righe.
Il mio lavoro ha per oltre dodici anni approfondito i temi
di cui tratto qui. Nulla di quanto scrivo di seguito è frutto di esasperati
concetti, radicalismi infondati, notiziole da internet. Ho fatto ricerca con
alcuni dei maggiori macro economisti internazionali, e il mio saggio Il Più Grande Crimine 2011 si fregia dell’apprezzamento di uno dei massimi esperti di storia dell’economia Neoliberale al mondo, il Prof. John F. Henry, autore del fondamentale testo The
Historic Roots of the Neoliberal Program. Lo scorso 24-26 febbraio ho ospitato a Rimini cinque degli economisti sopraccitati in un summit intitolato “Questo è un Colpo di Stato Finanziario”, dove la teoria economica detta Modern Money Theory (MMT), che forma le basi di questo scritto, è stata spiegata in tre giorni di lezioni (dettagli più sotto). Qui uno scorcio http://www.youtube.com/watch?v=XP60tpwu5cs.
I nuovi rentiers
Ora il succo del mio messaggio. Un imprenditore italiano moderno deve
comprendere, prima di tutto, che ciò che decide direttamente del destino dei
suoi bilanci e dell’economia in cui il suo lavoro vive, sta molto alle spalle
persino del concetto di economia globalizzata. Quindi, non solo ciò che per lei
è vitale non risiede in decisioni di politica nazionale, ma neppure in quei
meccanismi internazionali di cui di norma si parla. Il dramma che ci minaccia,
e che la minaccia, è proprio in questo trasferimento di poteri a sfere neppure
immaginabili da chi s’informa e lavora. Ora le do l’esempio più chiaro e
diretto. La prego di non pensare, dopo le prime righe, che questo sia un
trattato di massimi sistemi. No, qui, e lo vedrà fra poco, parlo proprio della
sua vita aziendale e del futuro della nostra economia, nei termini più
concreti. Per cortesia mi segua.
Ciò che sta accadendo all’Europa della crisi non è solo frutto di accidenti
finanziari e dissesti di bilanci statali, né in particolare di una crisi
sistemica delle bilance commerciali o altro. Certamente questi fattori contano,
ma c’è ben altro. Vi sono forze al lavoro in Europa che mirano, non esagero,
alla distruzione delle dinamiche del Capitalismo stesso. E non sono affatto
forze marxiste, per carità. Al contrario, e peggio. Va compresa, qui, la
differenza fra Europa e Stati Uniti. Nel secondo caso, il Capitalismo si è
sviluppato su una terra nuda, tragicamente ripulita della sua popolazione
autoctona, ma nuda di ogni presenza delle forze dell’Ancien Régime europeo. Il
Capitalismo americano è nato dinamico, pragmatico, e con un’istintiva
connotazione verso la ‘Funzione del Consumo’, che oltre un secolo e mezzo più tardi verrà descritta dall’economista inglese John Maynard Keynes. Negli USA, il Potere maggiore fino
ai primi anni ’90 ha sempre badato a mantenere in vita il fondamentale
principio secondo cui è la Spesa che
genera il Risparmio e dunque il
successivo Investimento e i Consumi, da
cui viene il profitto. Questa
centralità della capacità di spendere valeva sia per lo Stato americano, che ha
creato la maggiore ricchezza nella sua storia spendendo a deficit di bilancio
fino al 25% del PIL, sia per il settore non-governativo, cioè il privato, dove
l’elemento dei consumi (spesa) è sempre stato in primo piano (fin eccessivo, si
sa). Riassumo: negli Stati Uniti, il Capitalismo, pur nelle sue immense
ingiustizie, ha però sempre tenuto in vita una dinamica dove alla maggioranza
dei cittadini andava garantito reddito sufficiente a generare una spesa interna
che mantenesse in vita la produzione aziendale, spesso aiutata da grandi
infusioni di spesa a deficit dello Stato. Ecco il Capitalismo all’Americana,
almeno prima della recente mutazione nella folle sfera finanziaria speculativa.
Questo Capitalismo sbarcò in Europa dopo la seconda guerra mondiale, con un
buon successo. Intendo dire un successo di pubblico, e con la partecipazione
confusa e ignorante della classe politica. In Europa, tuttavia, i gangli del
Potere tradizionale – quello che ereditò gli ideali dell’Ancien Régime, del
Neomercantilismo tedesco e francese, che transitò trasversalmente nel nazismo,
e che fu pregno di appoggi nelle sfere vaticane – ha sempre visto il
Capitalismo americano come un’aberrazione. Non certo per le sue derive
eccessivamente consumistiche, ma, al contrario, solo perché persino quel minimo
di contenuto democratico che esso mantiene – cioè la necessità della presenza
di una popolazione tutelata abbastanza affinché consumi – era visto come
un’insidia inaccettabile nelle mire fondamentali di questo Potere tradizionale
europeo. Queste mire erano, e sono tuttora, la distruzione di qualsiasi potere
popolare e democratico, e l’imposizione, anzi, il ritorno in Europa di un nuovo
ordine sociale di tipo para-feudale, con a capo quelli che già Adam Smith e
David Ricardo definivano nel ‘7-800 i “rentiers”.
I “rentiers” erano, e rimangono
nel presente, i rampolli delle nobiltà e delle tecnocrazie europee che
ritengono loro diritto ‘divino’ non solo governare i popoli ritenuti masse
ignoranti, ma anche prelevare tutta la ricchezza possibile dal lavoro di altri.
E questo salasso ha colpito e sta colpendo anche voi imprenditori proprio oggi.
Non è necessario ricordarle che per questo identico motivo in Francia nel 1789
scoppiò una rivoluzione. Quell’evento li marginalizzò per un periodo, ma poi i
“rentiers” tornarono e oggi governano
l’Unione Europea. I loro sicari ed esecutori materiali nella UE moderna sono (o
sono stati) i potentissimi tecnocrati come Herman Van Rompuy, Olli Rehn, Jaques
Attali, Jaques Delors, o Lorenzo Bini Smaghi e Mario Draghi, e poi gli Juncker,
i Weigel fra i tanti. Sono i decisori finali dei nostri
destini, coloro che decidono in stanze chiuse di Francoforte o Bruxelles se lei
avrà mercato o se invece soccomberà, alla lettera, coi loro Trattati vincolanti
per ogni parlamento europeo. “Rentiers”
sono divenuti i finti imprenditori (come Montezemolo o De Benedetti in Italia)
che scommettono su rendite da ‘clienti prigionieri’ dei servizi essenziali
forzosamente privatizzati e riuniti in monopoli privati (la Captive Demand), violando ogni regola di
libero mercato reale; lo sono i capitani Neomercantili di multinazionali
dell’acciaio, metalmeccaniche o dell’high tech franco-tedesche, le cui
strategie di profitto hanno abbandonato la virtuosità del libero mercato reale
e si basano solo sulla deflazione dei redditi dei loro dipendenti cui succhiano
la vita con pretese di produttività da collasso (in Germania i redditi crescono
del 50% in meno rispetto alla media europea con una produttività del 35%
superiore, e infatti i consumi interni sono crollati); “rentiers” sono i gestori degli Hedge Funds della City di Londra,
gli speculatori che estraggono fortune inaudite proprio dall’attacco al tessuto
economico di intere nazioni attraverso l’uso della scommessa finanziaria pura.
Le vostre aziende sono ostaggi impotenti di questi immensi giochi.
Questi sono i nuovi “rentiers”,
odiano il Capitalismo dei consumi, sono tornati al timone dell’economia, e,
come detto, hanno in comune particolarmente il desiderio di estrarre dal
terreno produttivo di aziende e cittadini un profitto del tutto parassitario.
Voi, le piccole e medie aziende italiane promotrici di redditi da lavoro e di
consumi, siete nel loro mirino per questi motivi. Per riconquistare il potere
perduto un secolo fa e al fine di attuare il loro programma, essi pensarono a
un’intera struttura politico-economica, le cui forme larvali comparvero 75 anni
fa, e la cui massima espressione è oggi l’Eurozona. Questo il pubblico non sa,
voi non sapete.
Le basti pensare che
il progetto di moneta unica europea nacque da uno dei profeti di questi nuovi “rentiers”, nel 1943. Era l’economista
francese Francois Perroux, che immaginò l’unione monetaria con la mira di
ottenere che “lo Stato perda
interamente la sua ragion d’essere”. La distruzione delle funzioni
monetarie dello Stato, come le spiegherò fra poco e crucialmente, è oggi lo
strumento primario dei nuovi “rentiers” per affossare
l’economia produttiva, i redditi, i consumi e dunque il Capitalismo stesso,
come già detto prima. Il Perroux lasciò scritto che “Il futuro garantirà la supremazia alla nazione o alle nazioni che
imporranno la povertà che genera super profitti e quindi accumulo”. Si
tratta proprio dei super profitti dei nuovi
“rentiers”. Non certo dei profitti
della sua attività, che, come il buon senso suggerisce, non può certo
prosperare nel crollo delle vendite indotto dall’affossamento dell’economia
produttiva, dei redditi, dei consumi
E’ alla luce del sole.
Si faccia una domanda,
la più banale, ma la più vera: perché la nostra ‘Italietta’ della ‘liretta’
degli anni ’70-80 si vide promossa fra i sette più prosperi Paesi del mondo,
mentre oggi, con questo Euro che prometteva rilanci insperati siamo ridotti al
fanalino di coda d’Europa, additati come i somari della classe e sul filo del
default? Come fu possibile per quella ‘Italietta’ figurare come il secondo
Paese al mondo per risparmio privato dopo il Giappone, mentre oggi
l’indebitamento delle famiglie sta schizzando ai massimi storici? Come potemmo
allora intimidire la macchina delle esportazioni tedesche al punto da indurre
la Germania a sporchi trucchi per soffocare la nostra produttività (lo SME ad
esempio)? Oggi gli stiamo nei gas di scarico, quando va bene. Insomma, cosa ci
è accaduto?
Prima di risponderle,
mi sbarazzo subito della risposta-cliché offerta dagli ignoranti o dai
mentitori del mainstream mediatico, cioè che il debito pubblico da noi
contratto proprio in quegli anni è ciò che oggi ci trascina in fondo al pozzo.
Questo è falso, e persino del tutto sbagliato dal punto di vista degli stati
patrimoniali di uno Stato sovrano. Due note di spiegazione: sappia che il più
alto debito pubblico mai registrato dall’Italia repubblicana è quello del 1998,
col 132% di debito/PIL, ben superiore al livello odierno del 114%. Lei ricorda
per caso che l’Italia di allora fosse PIIGS? Che vi fosse un assalto
speculativo dei mercati tale da necessitare emergenze nazionali? Parole come
‘spread’ o ‘default’ erano allora
sulle prime pagine di tutti i quotidiani, riviste e TG? No. Perché? Perché quel
debito era in lire, cioè moneta sovrana, ovvero una moneta che l’Italia creava
dal nulla e senza limiti, per cui i mercati sapevano che Roma poteva ripagare
qualsiasi obbligazione senza problemi. Il Giappone di oggi è un esempio
eclatante di quella verità di macro economia: ha un debito quasi doppio di
quello dell’Italia, cioè oltre il 200%/PIL, ma nessun mercato lo sta
aggredendo. Ma il Giappone, come l’Italia di allora, ha moneta sovrana e nessun
limite vero nel crearne per pagare i propri debiti (e nulla cambia se il debito
è in mani nazionali o estere). E poi consideri questo: la Spagna, anch’essa
agonizzante nel cortile della vergogna dei PIIGS, ha un debito pubblico di
appena il 66%/PIL. Quindi l’argomentazione secondo cui è la presenza di elevato
debito pubblico in sé che affonda un’economia non regge.
Ora la seconda nota:
la scienza contabile ci insegna che quando lo Stato con propria moneta sovrana
(es. la lira) spende più di quanto ci
tassi, cioè spende a deficit, esso
lascia all’interno del settore non-governativo di famiglie e aziende più denaro
di quanto ne prelevi. Cioè ci arricchisce (maggiori dettagli più avanti).
Lo Stato paga uno stipendio pubblico spendendo a deficit, e chi lo riceve
aumenta di reddito. Lo Stato emette un titolo che accresce il deficit, e chi lo
compra vede il proprio denaro acquisire interessi superiori a quelli bancari,
cioè si arricchisce. Lo Stato edifica un’infrastruttura spendendo a deficit, e
le imprese private sotto contratto aumentano i fatturati sui loro conti. Lei
obietterà: sì, d’accordo, ma poi quel debito dobbiamo ripagarlo noi, quindi il
guadagno iniziale si perde poi del tutto. No, affatto. L’idea che il debito
pubblico (cioè la somma dei deficit) con moneta sovrana sia un peso futuro per
i cittadini è falsa. Il debito e il
deficit statale, con moneta sovrana, sono la ricchezza del settore
non-governativo di famiglie e aziende, al centesimo, e tali rimangono per
il semplice fatto che neppure lo Stato dovrà mai ripagarli. Lo illustra
egregiamente il Prof. Luca Fantacci della prestigiosa Bocconi: “Nessuno Stato è in grado di ripagare i propri
debiti. D’altro canto, gli Stati non sono nemmeno tenuti a ripagare i loro debiti. I debiti degli Stati, da quando
hanno preso la forma di titoli negoziabili sul mercato, ossia da poco più di
trecent’anni, non sono più fatti per essere ripagati, bensì per essere
continuamente rinnovati e per circolare indefinitamente. I titoli di stato sono
emessi, sono acquistati e rivenduti ripetutamente sul mercato e, quando
giungono a scadenza, sono rimborsati con i proventi dell’emissione di nuovi
titoli.” Quindi se lo Stato a moneta sovrana in realtà non è mai tenuto a
ripagare il proprio debito, perché mai dovrebbe pretendere che noi cittadini e
aziende lo facciamo?
E allora, caro amico imprenditore, se non è il debito
pubblico ad averci affossati in questa depressione economica soffocante che ci
ha declassati all’umiliazione dei PIIGS, e che minaccia direttamente il suo
lavoro, cosa lo ha fatto? Per caso la corruzione? Per caso l’evasione fiscale?
Macché, l’Italia che entrò nel G7 era zeppa di entrambe. E allora?
La risposta è già
detta: siamo stati trascinati nell’Eurozona, il gran disegno dei nuovi “rentiers”, dove la sottrazione del
potere sovrano dell’Italia di emettere la propria moneta ha rapidamente
distrutto la nostra economia, che è la vita della sua azienda. Quella
sottrazione sta ottenendo, cioè, quello che i nuovi “rentiers” agognano come sistema, “la supremazia alla
nazione o alle nazioni che imporranno la povertà che genera super profitti e
quindi accumulo”. L’Euro è per noi a
tutti gli effetti una moneta straniera (Godley 1997, Krugman 2012), che il
Tesoro italiano non può emettere. Chi emette gli Euro è il sistema delle banche
Centrali europee dei 17 Paesi dell’Eurozona, le quali li depositano
direttamente nelle riserve di istituti finanziari privati. Il nostro Stato deve
prendere in prestito ogni singolo Euro che spende dai mercati di capitali
privati, ai tassi da loro decisi.
Ciò ha due conseguenze catastrofiche intuibili: primo, uno Stato che non può
più creare la propria moneta, ma che la deve sempre cercare a tassi che non
controlla, non può più spendere a deficit per generare quella ricchezza nel
settore non-governativo di cui si è detto. Questo porta a un immediato impoverimento
del Paese, che si riflette su risparmio, consumi e quindi sui profitti
aziendali. Secondo, quello Stato diviene ostaggio totale dei mercati di
capitali privati, che ne possono depredare la ricchezza impunemente. E ciò
rientra con precisione nel piano distruttivo dei nuovi “rentiers”. Ecco la catastrofe dell’Eurozona. Dopo tutto fu uno dei
suoi maggiori architetti, il tecnocrate francese Jaques Attali, che in
conversazione con l’economista Alain Parguez, ex consigliere di Mitterrand, si
lasciò sfuggire la piena verità sui nuovi “rentiers”
con queste parole: “Ma cosa credeva la
plebaglia europea? Che l’Euro fosse stato fatto per la loro felicità?”
Ahimè, nella cosiddetta plebaglia stanno milioni di consumatori che sono
l’ossigeno della sua azienda.
Chi crea ricchezza finanziaria per lei?
Le chiedo qui un
ultimo atto di pazienza, per dare sostanza teorica accademica a quando detto
sulle funzioni insostituibili della spesa a deficit dello Stato per arricchire
l’economia del settore non-governativo di famiglie e aziende. Funzioni che, lo
ribadisco, possono esistere solo in presenza di moneta sovrana, e non più con
l’Euro. Il lavoro principale in sede di scienza economica su questo concetto fu
svolto da Abba Lerner, con la sua Functional
Finance, da Wynne Godley, con i suoi Sectoral
Balances, e dai Circuitisti di
Alain Parguez et al. che hanno analizzato il circuito monetario. Tale concetto
è assai semplice: una nazione ha in sé due tipi di ricchezze, quella
finanziaria (denaro, titoli, equities, cash, ecc.) e quella dei beni (risorse,
prodotti, case, terreni, infrastrutture, cultura ecc.). Non esistono altri tipi
di ricchezze. In una nazione esistono solo due soggetti: il settore governativo
dello Stato con tutto l’apparato pubblico da esso gestito (GOV.), e il settore
non-governativo di famiglie e aziende produttrici di beni e servizi (NON-GOV.,
cioè ‘il privato’). Non esistono altri soggetti.
Immagini ciascuno di
questi soggetti come un Contenitore.
Ciascuno di essi possiede come ovvio due tipi di ricchezze, quella finanziaria
e quella dei beni. Ora, la domanda che lei si deve porre da imprenditore è
questa: come può la mia azienda approvvigionarsi di maggiori entrate
finanziarie? Le entrate finanziarie sono la sua linfa vitale in business,
poiché come dimostrato ampiamente da oltre un secolo di Monetary Theory of Production (Veblen, Keynes, Robinson et al.), il
circuito del profitto parte dal denaro, produce cose e servizi e torna al
denaro. Bene. La risposta che sicuramente le viene spontanea è: trovando
maggiori mercati per i miei prodotti/servizi. Ok, certo. Ma badi bene a una
cosa: se la sua attività compete nel contenitore NON-GOV. di cittadini e altre
aziende, e se ha successo, il bene finanziario che lei acquisisce non è un bene finanziario in più al netto.
Non lo è perché il denaro che lei incassa è sempre denaro che qualcun altro nel contenitore NON-GOV. ha speso.
Ora, questo è bene per lei, ma è un addebito per altri cittadini o altre
aziende. Infatti nessuno nel contenitore NON-GOV. può creare il denaro*, e dunque gli accumuli di quel contenitore da una
parte, corrispondono sempre a sottrazioni da qualche altra parte; è, in
sostanza, tutto denaro che solo gira in circolo di continuo. Questo può oggi
fare la sua fortuna, ma non la fortuna
di tutto il settore aziendale come insieme. In economia si dice che nell’aggregato (nel suo insieme) il
contenitore NON-GOV. da solo non può mai aumentare la propria massa
finanziaria, può solo farla circolare da qui a là o da là a qui; di qua si alza
ma di là si abbassa, necessariamente.
*(il sistema bancario crea denaro, ma gli corrisponde
sempre un debito di qualcuno, per cui nulla al netto)
Come invece lei di
sicuro intuisce, il contenitore NON-GOV. idealmente dovrebbe poter acquisire nel suo insieme beni finanziari in
aumento al netto, senza cioè che nessuno
al suo interno li debba contemporaneamente perdere. Questo è crescere, questa è vera crescita economica, l’unica reale
crescita, quella di tutti contemporaneamente. Dunque, diviene ovvio pensare
che l’unica possibilità per il contenitore NON-GOV. di acquisire beni
finanziari in più al netto è se un contenitore esterno ad esso ve li immette.
Quel contenitore è GOV., cioè lo Stato, che può creare la propria moneta dal
nulla e riversarla nel contenitore NON-GOV. sotto forma di spesa
(acquisti/commesse dello Stato, stipendi pagati, grandi investimenti, emissione
di titoli, contante ecc.). Ma lei può comprendere facilmente che se GOV.
immette in NON-GOV. beni finanziari nella stessa misura in cui li preleva con le
tasse (pareggio di bilancio), NON-GOV. non acquisirà nulla in più. Se poi GOV.
immette meno di quanto tassi su base costante (surplus di bilancio), NON-GOV.
andrà addirittura in perdita. Ne consegue che l’unica possibilità per NON-GOV.
(e questo include lei come azienda) di aumentare al netto i propri beni
finanziari è se GOV. ne immette spendendo
di più di quanto ci tassi, e questo si chiama deficit di Bilancio. E’, badi bene, una spesa virtuosa che deve
però essere diretta dallo Stato verso la piena occupazione, pieno welfare, e
piena produzione aziendale (full Capacity).
Quando ciò accade, si parla in economia di spesa
a deficit positiva.
(Nota: esiste a dire
il vero un altro contenitore esterno a NON-GOV. e che in effetti può riversare
beni finanziari al netto in esso. E’ il contenitore delle nazioni straniere,
che se compra da noi più di quanto noi compriamo da loro, ci lascia nei libri
contabili valuta al netto che ci arricchisce. Ma come lei può intuire e come
certamente sa, l’imprevedibilità della bilancia commerciale è tale da impedire
alle aziende nel loro insieme di far affidamento sul quel contenitore come
fonte di beni finanziari al netto. Ed è ovvio che non tutte le aziende poi
lavorano con l’export. Si potrà obiettare che la Germania è invece ancora a
galla nell’Eurozona proprio perché il settore straniero gli riversa abbondanti
risorse finanziarie al netto nelle casse. Vero, ma si tratta in primo luogo di
una condizione di pesante dipendenza fa forze esterne che Berlino non può
controllare; in secondo luogo, poiché la Germania non può più emettere la
propria moneta, essa non può più soccorrere le proprie aziende/cittadini con la
spesa pubblica a deficit, e deve ingraziarsi i mercati esterni usando in patria
le distruttive riforme Hartz del 2004 che hanno depresso come mai prima i
salari e la domanda interna, pur di abbattere i costi. Le PMI tedesche ne hanno
sofferto immensamente. Questa non è certo la condizione ideale per acquisire
beni finanziari al netto. Il contenitore GOV. è, e rimane, l’unica certezza in
questo senso, se possessore di propria moneta sovrana.)
Ciò dimostra oltre
ogni possibile dubbio quanto affermato all’inizio sulle potenzialità della
spesa statale a deficit per lei e per la sua attività, come per tutto il suo
settore in aggregato. E non sono solo
potenzialità, sono proprio necessità
imprescindibili, altrimenti nessun arricchimento finanziario in più al netto vi
è possibile. Le chiedo di comprendere con impegno proprio questo punto di
macro economia dei bilanci settoriali:
Senza un contenitore esterno a quello aziendale nel suo aggregato che vi
versi beni finanziari al netto in quantità superiore rispetto a quanto gli
sottrae con le tasse, cioè un contenitore che spenda a deficit, è impossibile
per il vostro contenitore ottenere un surplus in aggregato. In parole semplici:
o s’indebita GOV. e NON-GOV. ci guadagna, oppure accade il contrario, NON-GOV.
va in rosso a favore del surplus di GOV. La terza via è il pareggio, che non vi
aiuta affatto. Altre soluzioni non esistono. Il sistema azienda italiano NON
PUO’ crescere con uno Stato che pareggia i bilanci o addirittura cerca il
surplus di bilancio.
Ma attenzione: tutto
quanto sopra poggia sul postulato che lo Stato possegga una moneta sovrana che
esso crea dal nulla, su cui ha il controllo dei tassi d’interesse (titoli e
politica monetaria) e che quindi può emettere liberamente senza che il deficit
sia alcun reale problema. Se al contrario quello Stato è costretto all’uso di
una moneta non sua, che deve prendere in prestito da privati, sui costi del
quale non ha alcun controllo, tutto ciò diviene impossibile, perché
insostenibile nei libri contabili. Sto parlando dell’Euro, la cui creazione ha
costretto 17 Stati nelle medesime condizioni di qualsiasi membro di NON-GOV.,
che dipende da qualcuno all’esterno di sé per prosperare, e che non può più
finanziare alcuno al netto.
Capire.
Ora lei potrà capire
cosa si nascose dietro la retorica dell’Unione Monetaria. E cosa si nasconde
dietro il mantra dei tecnocrati europei (leggi nuovi “rentiers”) per addirittura mettere in Costituzione il pareggio di
bilancio. Si nasconde la precisa mira di sottrarvi crescita e profitto, l’unica
vera crescita possibile in aggregato,
quella che può accadere unicamente
in presenza di spesa interna a deficit degli Stati. La paralisi della crescita
così ottenuta distrugge lo stesso Capitalismo della produzione, su cui lei
vive. Hanno usato il potere delle scuole economiche Neoclassiche finanziate
dalle maggiori Fondazioni e Think Tanks Neoliberiste per creare il ‘fantasma’
del debito pubblico*, riuscendo a nascondere che la più formidabile spinta
produttiva e reddituale della Storia dell’umanità fu originata dal 1946 al 1956
proprio da una colossale spesa a debito degli Stati Uniti d’America, che non risulta
siano poi falliti. Oggi, poi, ci impongono, nel nome della menzogna del debito
e grazie alla gabbia dell’Euro, le Austerità che ancor più strozzano la spesa
dello Stato, che aumentano la tassazione, quindi deprimono i redditi, quindi i
consumi, quindi deprimono la sua azienda, in una spirale senza fine che prende
il nome di Spirale della Deflazione
Economica Imposta. Inoltre, lo Stato vittima di queste Austerità si trova a
dover far fronte a spese a deficit del
tutto negative e improduttive (ammortizzatori sociali, aumento spese
sanitarie, calo gettito fiscale dovuto al crollo dei redditi ecc.) che ne
aumentano il debito senza che ciò crei
alcuna ricchezza vera nel settore non-governativo di cittadini e aziende.
Cinicamente poi, questo aumento di debito negativo viene preso a pretesto dagli
stessi tecnocrati europei che lo hanno causato (leggi nuovi “rentiers”) per imporci ancor più
Austerità, quindi ancor più deflazione, quindi ancora calo redditi e consumi e
conseguente crollo economico, e tutto il meccanismo pernicioso si auto alimenta
all’infinito.
I nuovi “rentiers” speculano su
questo con inimmaginabili profitti, cifre da far impallidire qualsiasi buona
azienda italiana, proprio perché ne succhiano la linfa, come lei vede oggi. Non
posso riscrivere qui nel dettaglio come questi profitti parassitari avvengono;
lei può far riferimento per ogni particolare al capitolo Ecco chi incassa a pag. 60 de Il Più Grande Crimine 2011. Ma soprattutto
stanno imponendo un nuovo ordine sociale costruito sulla paura del fallimento
di intere nazioni, che loro stessi ricattano e sospingono alla rovina. Solo un
dato, tratto dai bollettini statistici di Banca d’Italia: la crisi finanziaria
del 2007, il capolavoro globale dei nuovi “rentiers”,
ha complessivamente sottratto all’Italia la cifra di 457 miliardi di Euro in
meno di tre anni. Quei soldi immensi sono stati drenati anche dalla sua
azienda, con l’aggravio che oggi la stessa macchinazione che ha originato il
collasso finanziario globale sta negando a lei, e ai suoi colleghi, il credito
bancario che le serve per sopravvivere. Come ne esce lei? Vi hanno messo in un
angolo e vi stanno sbranando. Ma la via d’uscita c’è, ed è eccellente. Solo un
attimo ancora.
*(tutta
la storia dettagliata con documentazione accademica di questi fatti ne Il Più
Grande Crimine 2011, www.paolobarnard.info)
Il pollaio.
E’ a fronte di queste
realtà innegabili di macro economia, e a fronte dell’inganno attraverso cui i
cittadini e gli imprenditori vengono colpiti così duramente, che lei potrà intuire
come la decennale contrapposizione ‘dipendenti-padroni’ sia sempre stata un
teatro fittizio in cui vi hanno costretti a sbeccarvi a sangue, voi e i
lavoratori, come foste, con rispetto, polli in un recinto. Mentre ben altri
poteri pianificavano come dissanguarvi tutti.
Le offro come esempio
uno degli angoli in cui vi hanno impantanati – datori di lavoro e dipendenti –
e dove vi siete logorati per decenni inutilmente. E’ il dibattito sul costo del
lavoro. E’ stato incorniciato in una rigida equazione: ‘l’azienda necessita di abbattere il costo del lavoro, pena la perdita
di competitività’. A ciò si oppongono ovviamente i salariati, rivendicando
maggiori margini a loro volta. Ma il dibattito è del tutto fuorviante, falsato
e con una mira che neppure immaginate: colpire, come sempre, il Capitalismo dei
consumi e della produzione, e di rimando anche la stabilità finanziaria dello
Stato. Mi conceda un breve passaggio di storia dell’economia: l’idea secondo
cui è l’abbassamento del costo del lavoro che permette maggior profitto, e
persino maggior offerta di occupazione, nasce (nel capitalismo moderno) con
l’economista inglese Arthur Cecil Pigou a inizio novecento. Apparteneva alla
scuola economica detta Neoclassica, quella che reagì a Marx tentando di provare
il perfetto funzionamento del mercato in un suo equilibrio spontaneo (General Equilibrium Theory). La sua era
un’idea strana davvero: primo, come può un lavoratore il cui reddito cala
essere poi colui che consuma abbastanza prodotti e servizi da mantenere
l’economia a galla? E, come argomentò con grande efficacia non molto più tardi
John Maynard Keynes, in un’economia che di conseguenza soffre cali nei consumi,
quindi cali di vendite delle aziende, perché mai dovrebbe un imprenditore
assumere di più? Keynes formulò una complessa spiegazione di cosa determina
veramente la propensione all’investimento dell’imprenditore, che include
occupazione, nel capitolo 17 della sua General
Theory. Ritengo che essa sia perfetta anche nell’oggi. E poi, come noto
anche a livello popolare, fu Henry Ford a smentire Pigou con la sua innovativa
politica salariale di aumento della paga unito al profit-sharing, dimostrando
che in quel modo ne giovavano non solo le vendite della sua industria, ma
l’economia tutta.
Ma l’idea di Pigou
doveva sopravvivere, per un motivo: essa avrebbe proprio condotto a quel calo
dei profitti, a quell’incrinatura nella macchina capitalista di consumi- produzione,
a uno scontro acerrimo fra imprenditori e dipendenti, che servivano
perfettamente le mire dei nuovi “rentiers”.
In particolare, nell’azione deflattiva sull’economia, essa avrebbe poi causato
disoccupazione maggiore, precarizzazione del lavoro, e quindi avrebbe costretto
gli Stati alla spesa a deficit negativa, cioè improduttiva, di cui si è prima
parlato. Incrinare consumi-produzione, cali dei fatturati, scontri distruttivi
nel mondo del lavoro, tensioni sociali, danni alle finanza statali. E tutto
questo per un’idea sbagliata, perché buoni redditi significano nell’aggregato la salute delle aziende, non la loro rovina, specialmente se
esiste alle loro spalle uno Stato che
spende a deficit positivo per sopperire ad eventuali difficoltà nel privato
(maggiori dettagli su costo lavoro-costi per le aziende e spesa a deficit più
sotto). Capisce, caro amico, come vi hanno confinati per decenni su un
dibattito fittizio? Il vostro interesse comune, imprenditori-lavoratori, stava
in realtà nella stessa cesta: il benessere dei redditi tutelato da spesa a
deficit positiva. Ma vi hanno invece accecati nello scontro. E questo mentre
loro macchinavano, col successo che è davanti agli occhi di tutti, per rendere
intere economie nazionali irriconoscibili a confronto con ciò che furono solo
30 anni fa.
Le Tasse.
E qui aggiungo un
altro esempio di come hanno sospinto voi e i vostri lavoratori in un tunnel del
tutto fuorviante. Mi dica: cosa vi è di più opprimente per lei imprenditore
della tassazione? E’ un coro unanime in Italia, dal gestore di bar
all’industriale: la pressione fiscale si magia tutto, è insostenibile, e
costringe persino a una quota di ‘nero’, senza cui semplicemente tanti
chiuderebbero. Amico caro, lei lo sa a cosa servono realmente le tasse? No, non
servono, e ripeto, NON servono a finanziare la spesa dello Stato. Questo, di
nuovo, da un punto di vista di esatta contabilità di Stato è falso. E’ un’altra
delle invenzioni del sistema economico Neoclassico, e che si è piantata nelle
convinzioni sostanzialmente di tutti. La scuola economica Circuitista e quella della Modern
Money Theory (MMT), in particolare gli economisti Warren Mosler, Pavlina
Tcherneva e L. Randall Wray, hanno dimostrato esattamente quanto segue.
E’ impossibile che le tasse possano pagare alcunché nei
bilanci di uno Stato, visto che sono denaro che il governo ha immesso nella
collettività e che di norma si riprende indietro in percentuale minore. Non può
in alcun modo rispenderli poi, la matematica non glielo permette. Come dire: se
un negoziante investe 100 e incassa 70, come fa ad avere alcunché da spendere? Ma
anche immaginando il santificato pareggio di bilancio, dove lo Stato spende 100
e tassa 100, dove sono i fondi da spendere? Ciò che in realtà accade è questo:
lo Stato a moneta sovrana inventa denaro spendendo – significa accreditando
conti correnti nel contenitore NON-GOV. – che poi drena dagli stessi conti
tassando, distruggendo quel denaro. Sì, distruggendolo, perché si tratta solo
unità di conto elettroniche che, all’atto del pagamento delle tasse, scompaiono dai conti sui computers della
Banca Centrale. Non arrivano da nessuna parte, in realtà. Immagini la spesa
dello Stato come un contatore elettronico: quando lo Stato spende, i numerini
corrono aumentando, es. da 234.000 a 234.400 (i c/c dei cittadini aumentano);
quando lo Stato ci tassa gli stessi numerini scendono ad es. da 234.400 a
234.100 (i c/c dei cittadini calano). Semplicemente 300 cifre elettroniche sono
sparite nel nulla, non possono essere spese. Ecco cosa sono le tasse veramente,
denaro che sparisce, null’altro, e certamente non un mezzo per racimolare soldi
per la spesa dello Stato.
Ma allora, perché diavolo uno Stato tassa? Lo fa per: 1)
tenere a freno il potere economico delle oligarchie private, che altrimenti
diverrebbero immensamente ricche e potrebbero spodestare lo Stato stesso. 2)
limitare l’inflazione drenando denaro in eccesso dalla circolazione. 3)
scoraggiare o incoraggiare taluni comportamenti – si tassa l’alcool, il fumo, o
l’inquinamento, e si detassano le beneficienze o le ristrutturazioni, ecc. 4)
imporre ai cittadini l’uso della sua moneta sovrana. Se non fosse per l’obbligo
di tutti di pagare le tasse nella valuta dello Stato, non ci sarebbe garanzia
di accettazione da parte del settore non governativo di quella valuta.
Tutto quanto ha appena letto, tuttavia, vale solo per gli
Stati a moneta sovrana, come era l’Italia prima dell’Euro, come è il Giappone o
come sono gli USA. Non lo scordi, perché fra un attimo capirà.
Allora le domando:
perché queste realtà contabili indiscutibili non sono mai state rese di
pubblico dominio? Perché al contrario voi imprenditori siete tutti stati
gettati in una eterna lotta a sopravvivere alle tasse e che spesso è andata a
scapito proprio dell’occupazione? Di nuovo: voi e i lavoratori a sbeccarvi,
quando in realtà bastava solo reclamare che uno Stato a moneta sovrana
scegliesse di usare il prelievo fiscale solo per i quattro motivi sopra
descritti, e non nella fittizia convinzione di acquisire le finanze per gestire
il Paese. Ma lei riesce a immaginare che razza di ricchezze avrebbero potuto
rimanere nei fatturati aziendali, quindi negli stipendi dei dipendenti, se
avessimo tutti capito che uno Stato a moneta sovrana NON necessita di tasse per
spendere? Ma no, lì vi hanno ficcati, a penare per decenni per nulla. E poi è
arrivato l’Euro non-sovrano, che vi (ci) hanno imposto proprio per evitare per
sempre che qualcuno potesse reclamare dagli Stati un uso sensato delle tasse.
Comprende ora?
Tutta la scuola
economica Neoclassica, la prediletta dai nuovi “rentiers”, quella che oggi domina ovunque incontrastata, ancora sostiene
quelle tesi che ho sopra smontato, dal passato degli Arrow, Debreu, Hahn,
Von Mises, Hayek, fino a Mankiw, Rogoff, Lucas, Alesina, Stagnaro, Rocca,
Vaciago, Petroni ecc. di oggi. Nella finta contrapposizione degli interessi di
imprenditori e lavoratori, fu omesso oculatamente (e criminosamente) proprio il
ruolo della spesa a deficit positiva del contenitore GOV. Ciò infatti che viene
finanziariamente perduto dal sistema aziende nell’aumento del costo del lavoro,
in particolar modo sul fronte della competitività, non solo gli ritorna in
termini di acquisti, ma deve e può essere coperto proprio dalle infusioni di
spesa a deficit positiva dello Stato. Cioè: edificazione di infrastrutture
mirate alla competitività internazionale e nel commercio, detassazioni
multiple, acquisti diretti della produzione a rischio, emissione di titoli per
rendite finanziarie mirate a reinvestimento in attività produttive, incentivi
fiscali al reinvestimento degli utili in produttività, crediti facilitati o
crediti garantiti senza limiti, ammortizzatori sociali mirati però alla
formazione d’eccellenza dei lavoratori, e molto altro. E siamo di nuovo al
ruolo di questo Stato, così centrale, ma oggi reso impossibile per l’Italia
dall’adozione dell’Euro.
Licenziare.
Anche qui uno Stato a moneta sovrana che spenda a deficit positivo
dirime ogni controversia. Fra poche righe il perché. Ma mi permetta di
sottolineare un punto fermo: il tema del licenziamento oggi, nel presente caos
Neoliberista e in Italia in particolare, non permette alcuna scelta di campo. Non
ha torto l’imprenditore, non lo ha il lavoratore. Ometto di allungare questa
trattazione per illustrarle l’indecente fenomeno dello Slimming Down aziendale che usa i licenziamenti per le speculazioni
azionarie e di stock options. Né posso dilungarmi sui ricatti che corrono
spesso fra datori di lavoro e dipendenti, specie se donne, dove il
licenziamento è l’arma. Ma neppure devo dirle ciò che lei sa benissimo, e cioè
che un dipendente cialtrone e inamovibile paralizza un’intera azienda, e
danneggia tutti; che gente che non risponde al telefono in magazzino perché “vaff… c’è il fantacalcio” andrebbe
cacciata all’istante; che l’etica del lavoro è un mistero nazionale qui da noi,
ecc. Purtroppo sono costretto a parlare di licenziamenti nell’astratto della
macro economia, ma non per questo ciò che le devo dire è meno centrale. Vi sono
istanze dove il licenziamento diviene necessità ineludibile per l’azienda – un
esempio, fra gli altri, è il settore auto, dove lo sviluppo tecnologico unitamente
alla competizione dall’Est asiatico renderà impossibile mantenere forza lavoro
umana in fabbrica; Marchionne è in malafede e non lo dice, lui sa che il
destino dell’operaio metalmeccanico è segnato, inutile remare contro la Storia.
In quelle istanze può intervenire la spesa a deficit positiva dello Stato, che
può riconvertire a sue spese e senza limiti i posti di lavoro perduti in nuove
occupazioni cosiddette “ad alta densità
umana di valore ambientale/sociale”. Per far solo due esempi fra molti altri,
nella gara disperata a preservare l’ambiente, e con un aumento costante della
popolazione anziana e bisognosa, non è difficile immaginare quanta nuova
occupazione se ne potrebbe estrarre, per non parlare del settore dei servizi alla
quotidianità. Occupazione finanziata dallo Stato, e sgravata da voi
imprenditori là dove veramente necessario il licenziamento. Comprenda, caro
amico, come questo spazio di manovra dello Stato a moneta sovrana, che applichi
quelli che la Modern Money Theory
chiama i Programmi di Lavoro Garantito
(Job Guarantee), pone voi e i vostri
dipendenti di colpo oltre qualsiasi sterile e distruttivo dibattito sui
licenziamenti, articolo 18 e affini, limitatamente, preciso, ai licenziamenti
resi inevitabili dalla competizione internazionale o da bilanci aziendali in
crisi.
Concludendo, sarebbe stato vostro interesse comune, datori
di lavoro e dipendenti, smettere di contrapporvi negli angoli ciechi del
pollaio, e lottare assieme contro il comune nemico, per resuscitare il comune
alleato: lo Stato a moneta sovrana che spende a deficit positivo per tutelare
il 99% di cittadini e aziende.
L’economia di salvezza per lei, per voi, per
noi: Modern Money Theory (MMT).
Innanzi tutto cos’è.
E’ il nome dato dall’economista australiano Bill Mitchell a una riformulazione
moderna, cioè scientificamente costruita sulle odierne strutture finanziarie e
macro economiche, di idee partorite da alcuni dei giganti dell’economia del XX
secolo, a partire da Georg
Friedrich Knapp, Alfred-Mitchell Innes,
John Maynard Keynes, Abba Lerner, Joan Robinson, Hyman Minsky e Wynne Godley. I
moderni esponenti di questa scuola di economia si raggruppano all’Università
del Missouri Kansas City e al Levy Economics Institute di New York. Essa ha
studiato e dimostrato in centinaia pubblicazioni accademiche tutto quanto io le
ho esposto finora dal punto di vista delle potenzialità del circuito monetario
statale. La correttezza teoretica della MMT, e il suo dirompente impatto sulla
gestione delle economie moderne, la sta oggi imponendo all’attenzione del
mainstream mediatico (ad es. Washington Post 19/02/12 – Repubblica 22/02/12).
Ha un pregio estremo,
introvabile: è pura scienza descrittiva, ed è, su questo, incontrovertibile,
tuttavia si presta ad applicazioni in economia e società senza precedenti.
Spiego. La MMT, nella sua parte teorica che descrive fenomeni monetari, ha
saputo dimostrare come assolutamente corretti tutti i postulati che io le ho
prima descritto: quelli sulla reale natura di debito e deficit pubblici a moneta
sovrana, quelli sulla tassazione, sulla perniciosità dell’Euro, sulla creazione
di finanza in più al netto per NON-GOV., sulla Spirale della Deflazione Economica Imposta dalle Austerità, sul
reale funzionamento virtuoso di spesa-redditi-risparmi-spesa-profitti, sulle
potenzialità di un Programma di
Lavoro Garantito dallo Stato a vantaggio sia delle imprese che dei
dipendenti ecc. E proprio per questo la MMT è adattabile ad una applicazione
immediata come politica economica nazionale per la tutela di cittadini e
aziende. La tutela del 99%, a scapito dell’1% dei nuovi “rentiers”, che oggi ci
succhiano vita e risorse, le sue risorse caro amico.
La MMT ci descrive il
ritorno dello Stato a moneta sovrana alle sue funzioni più alte, quelle messe
in atto dal 1946 al 1956 dagli Stati Uniti del boom economico più possente
della Storia dell’umanità, a vantaggio di tutto il contenitore privato di
cittadini e aziende, il NON-GOV. Ci descrive, caro imprenditore, la salvezza da
un disegno distruttivo e iniquo che sta minando tutto ciò che noi conosciamo
come crescita, benessere, democrazia: il Neoliberismo dei nuovi “rentiers”, il peggiore mai esistito,
quello a cui voi uomini e donne che hanno impegnato una vita di lavoro e
d’investimenti dovete ogni singola sciagura economica che vi ammorba oggi.
E perciò la via che le
indico non è il Capitalismo americano, né ovviamente il soggiacere passivi al
parassitismo ignobile dei nuovi “rentiers”.
Le propongo di contemplare con serietà la costruzione di questa politica
economica per l’interesse suo, del suo lavoro, dei suoi dipendenti, della
società che vi ospita e della democrazia stessa. Come detto, prende il nome di Modern Money Theory, io e il mio gruppo
l’abbiamo portata in Italia, e siamo a vostra disposizione* – voi come individui
o come categorie di imprenditori – per aiutarvi a conoscerla meglio facendovi
incontrare i suoi massimi autori accademici, e ad applicarla in Italia.
Non consegni gli anni
del suo lavoro alla retorica della politica ignorante e alle menzogne di
tecnocrati devastanti. Vi stanno distruggendo.
Suo,
Paolo Barnard
P. S. : In questo articolo ho poco chiaramente descritto come negli USA del dopo guerra la spesa a deficit del governo realizzò il colossale boom economico privato. Me ne scuso perché questo ha generato incomprensione. La ricchezza del 1946-1956 fu finanziata dal deficit americano (fino al 25% in media, massimo 30%) degli anni immediatamente precedenti, che infatti si tramutò poi in beni finanziari al netto per il settore non governativo nel periodo da me citato nell’articolo.
Paolo Barnard risponde solo per contatti di lavoro su [email protected] – il sito italiano di
riferimento della MMT è http://www.democraziammt.info/ – negli USA oltre alle scuole dell’Università del Missouri Kansas City e del Levy Economics Institute di New York, i contatti possono essere stabiliti visitando http://neweconomicperspectives.org/.
Fonte: http://paolobarnard.info
Link: http://paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=345
15.03.2012