Anni Venti: due ragazzini ebrei, Max e Noodles, iniziano la loro carriera nella malavita facendo piccoli traffici. Noodles, innamorato di Deborah, finisce in prigione e ne esce durante il proibizionismo. La banda continua a fare affari d’oro, ma a poco a poco tra Max e Noodles il rapporto si guasta. Un giorno, Max muore in uno scontro a fuoco e Noodles resta solo, ma trent’anni dopo riceve una lettera… (*)
Dedicato a Nada
Di Jacopo D’Alessio, ComeDonChisciotte.org
1. Introduzione: due figure del tempo
La struttura temporale di Once upon a time in America (C’era una volta in America) si divide in due linee principali, l’una ciclica e l’altra diacronica. La prima, ciclica, comincia durante gli anni ’30 con l’effetto straniante di un flash-forward, introdotto da alcuni squilli di telefono che, se da una parte, forse, servono a destare, dal torpore, il lungo sonno di uno dei suoi protagonisti, dall’altra, sembrano voler richiamare contemporaneamente l’attenzione dello spettatore sullo snodo cruciale del film. Non a caso, l’intreccio si apre in medias res, con il decennio posto al centro degli altri due periodi narrati dalla vicenda, e rappresenta la parentesi della giovinezza; gli anni ’20, precedenti, raccontano invece l’infanzia e l’adolescenza dei personaggi; mentre gli anni ’60, posteriori, la loro maturità. Dunque, in questa scena iniziale, cogliamo un Noodle piuttosto malconcio, intento a fumare dell’oppio al teatro cinese per rinsavire dallo shoc subito a causa della morte dei suoi amici più cari, ma che teme anche per la propria vita.
Un attimo dopo, tuttavia, il giovane gangster sarà in grado di uscire di soppiatto dal locale, sfuggendo così dai sicari assoldati dal suo non più complice Maximilian (detto Max) che, verremo a sapere più tardi, vorrebbe ucciderlo e tagliarlo definitivamente fuori dal giro degli affari. Quindi, per mezzo di un flash-back, simmetrico all’operazione precedente, l’intreccio si conclude esattamente con la stessa scena, tornata al centro del film, accompagnata però stavolta anche da quell’inaspettato sorriso che all’inizio invece mancava. L’espressione ilare e tranquilla, che spunta improvvisamente sul viso di Noodle, dà come l’impressione di essere decontestualizza rispetto alla circostanza particolarmente drammatica vissuta nel suo passato, segnando uno dei momenti più alti ma forse anche più misteriosi di Hollywood.
L’altra linea del tempo, invece, che ricaviamo dalla costruzione della fabula, segue il passaggio cronologico dagli anni’20 ai ’30, e infine ai ’60: cioè, i momenti essenziali che raccontano la biografia dei tre personaggi protagonisti nella sua successione temporale (1). Così, se il percorso circolare della vicenda, che parte dal flash-forward, e si conclude con il flash-back, racconta, non solo l’inizio e la conclusione del film, ma anche il recinto invalicabile nel quale è circoscritta l’esistenza di Noodle (Robert De Niro); la progressione degli eventi descrive più che altro quella dei suoi compagni-antagonisti, Max Bercovics (James Wood) e Deborah Gelly (Elizabeth McGovern). E ora ci accingiamo a spiegarne il perché e a cosa ci serve saperlo.
2. I protagonisti
– Noodle
Il soprannome, Noodle, sembra alludere ad un tipo di spaghetti, una pasta abbastanza povera e piuttosto comune tra le popolazioni del Medio Oriente, che rimanda al carattere semplice ma genuino di David Aaronson. Si tratta di un ragazzo scaltro che, mentre lotta per sopravvivere alla miseria e alla violenza sulle strade, riesce comunque a dimostrare una straordinaria lealtà nei confronti dei suoi soci, provenienti come lui dallo stesso ghetto ebraico newyorkese. Se la vita di Max e Deborah scorre e muta di continuo, Noodle, esattamente al contrario, ne rimane al di fuori in ben due circostanze che separano le fasi storiche del racconto.
La prima volta, quando rimane isolato molti anni in carcere per aver vendicato la morte del giovanissimo Dominic, rimasto ucciso da una banda rivale, gelosa del lucroso bottino ottenuto dal contrabbando di alcolici. È questa la prima ellissi (2) che separa gli anni ’20 dai ’30, ovvero il passaggio dall’infanzia alla giovinezza. La seconda volta, quando, dopo essere stato tradito, si nasconde per trent’anni nella città di Buffalo con il proposito di non lasciare alcuna traccia dietro di sé. È questa la seconda ellissi, decisamente più lunga, che segna il passaggio dalla giovinezza alla maturità. Negli anni ’60, quando David, ormai anziano, fa ritorno a New York, in occasione dell’invito al party del misterioso senatore Baily, passa la notte alla pensione di Moe Gelly, il fratello di Deborah, che gli domanda interdetto:
“Che cosa hai fatto durante tutti questi anni?”
Moe, esattamente come vorrebbe venire a saperlo lo stesso pubblico del film, chiede al vecchio amico, riapparso all’improvviso, come abbia trascorso la sua vita dopo essere sparito definitivamente dal ghetto.
“Sono andato a letto presto”
risponde Noodle, con una citazione di Proust (3), che vuol dire press’a poco questo: “Ho smesso di esistere”. Da quando la mia professione di gangster si è bruscamente interrotta, mi sono tramutato in una persona qualunque, seppellita come tutti gli altri dal banale ripetersi delle ore e da un grigiore quotidiano estraneo a rapine, omicidi, e colpi di scena. Con buona probabilità, si tratta di un’allusione alla tecnica iterativa che, attraverso l’uso frequente dell’imperfetto, scandisce la narrazione regolare e ciclica della Recherche (Alla ricerca del tempo perduto). D’altronde, anche nel romanzo proustiano emergono dei personaggi avvolti da un tempo monotono e indefinito che, come accade durante gli anni di anonimato di Noodle, nega anche a loro la possibilità di distinguere e ritrovare un episodio davvero significativo della propria esperienza. Infatti, a differenza degli altri co-protagonisti, noi non sappiamo davvero nulla di ciò che è accaduto a Noodle durante questo periodo. Come già detto, i fatti significativi della sua vita si fermano tra gli anni ’20 e i ’30, disegnando un recinto dal quale non sarà più in grado di uscire.

Noodle (Robert De Niro)
– Max
Rispetto alle previsioni, Max mostra di essere un personaggio assai ambizioso, con una vista lungimirante, per nulla folle come vorrebbe far credere agli altri. Al contrario, egli è perfettamente lucido su come la fine del Proibizionismo porterà ben presto anche alla conclusione del contrabbando di alcolici che caratterizzava il mal affare della vecchia New York. Sulla base di tale premessa, sta escogitando da tempo il modo di abbandonare il gruppo di reietti, di cui è membro, per fare il suo ingresso trionfale nel crimine organizzato dell’alta società. Di contro, Noodle è un uomo romantico di autentica estrazione popolare, che respinge la chimera di soluzioni seducenti ma ciniche, e pertanto preferisce rimanere umile, recalcitrante ad ogni tipo di mutamento del proprio codice d’onore. Anche lui intuisce senz’altro come il commercio della droga sia l’investimento del futuro, ciò che potrebbe procurargli un’immensa fortuna. Tuttavia sa anche che, allo stesso tempo, condurrà gli stessi amici a mettersi l’uno contro l’altro.
Perciò, mentre da lontano, la modernità sembra brillare di una luce ammaliante, di fatto reca con sé la dissoluzione della comunità in cui ha sempre riposto la sua fede. È da questo ‘canto delle sirene’ che un giorno il giovane cercherà inutilmente di mettere in guardia Max, un attimo prima di saltare dal pontile con l’auto in mare. Per questo motivo, lo vedremo contrapporsi puntualmente ai suoi progetti temerari nello sforzo nostalgico di congelare l’innocenza del passato in una condizione permanente. Come sappiamo però, Max, viceversa, diverrà proprio una delle pedine principali dello spirito del tempo, che cercherà di spazzarlo via insieme all’intero mondo che ha dato i natali a entrambi.

Max (James Wood)
3. Crisi della presenza
Dunque, mentre Noodle sprofonda sempre più nella figura del tempo presente, che va a scapito di quella futura, Max e Deborah si dissolvono nella figura del tempo futuro che si staglia a dispetto di quella presente. Eppure, potremmo spiegarci anche con altri termini (4). Se recuperiamo il modello concettuale di De Martino, Noodle assume il comportamento di chi prova ad allontanare la minaccia di un trauma sistemico, proveniente dall’esterno, mediante un rituale mitico che, per salvaguardare l’esistenza, o esser-ci nel mondo con al centro i suoi valori, assorbe ogni cambiamento dentro di sé, e rimuove per questo il divenire della storia. In modo inverso, Max e Deborah scelgono di entrare come attori protagonisti nella storia ma, cancellando puntualmente la presenza di sé stessi con i loro valori, finiscono per esserne travolti, adattandosi sempre e solo al suo mero involucro esterno. In entrambi i casi, si assiste al cocente paradosso esposto da De Martino, per cui il tentativo di confermare la propria identità conduce ad una crisi della presenza: ovvero, al suo opposto non-esser-ci, risolto inoltre, come vedremo, per mezzo di forme simili, individualiste e psicotiche, refrattarie cioè ad una risposta culturale condivisa.
Allora, è lecito chiedersi se possa esistere anche una terza figura del tempo in grado di fornirci una soluzione alternativa? Sembra di no. Nel senso che, di primo acchito, una prospettiva del genere, che sia ben articolata come le altre, pare non manifestarsi all’interno del film.
L’addio al Proibizionismo viene celebrato con una grande festa allestita nel locale di Moe, durante la quale Max mette in scena la propria morte, che avviene lo stesso giorno in cui terminerà anche il periodo della giovinezza con le sue illusioni. L’ex socio d’affari, infatti, ormai divenuto un traditore, ha fatto aggiungere una salma carbonizzata (che non era la sua) nell’auto trivellata dai proiettili di mitra, dove sono rimasti uccisi veramente gli altri due complici. Verremo a sapere inoltre che, per continuare a nascondersi agli occhi di tutti, cambierà la sua identità in Bailey. Durante gli anni ’60, Max poi è riuscito a farsi eleggere senatore in virtù della grande ricchezza accumulata con i traffici illegali di droga, ma soprattutto grazie ad un investimento iniziale, proveniente dal milione di dollari che ha rubato trent’anni prima a Noodle e ai suoi vecchi compagni, dopo averli fatti eliminare. Il furto di quel denaro nel passato rappresenta, possiamo dire, il peccato originale che lo ha convertito per sempre in un assassino privo di scrupoli e un uomo di potere. Da quel momento in poi non ha avuto alcun interesse a creare nuove relazioni umane e, anzi, si è sempre posto alla stregua di una monade irrelata rispetto all’universo comunitario delle origini.
Ora, giunto all’apice del successo, è però lui ad essere spacciato. Le indagini della polizia sui suoi illeciti rischiano infatti di portare allo scoperto molti altri personaggi illustri dell’abbiente società newyorkese, anch’essi coinvolti nel traffico di stupefacenti, così che, prima o poi, lo vorranno fare fuori per impedirgli di parlare. Perciò, non essendogli rimasto nessun alleato fedele al quale rivolgersi, Max ha invitato Noodle alla propria festa per chiedergli il favore, stavolta, di ucciderlo davvero. Così, come sostiene De Martino, se il personaggio che ha rifiutato la storia ne è stato escluso del tutto, colui che l’ha seguita inesorabilmente ha annientato la presenza di sé medesimo allo stesso modo.
4. Due prospettive storico-ideologiche
Visto come è andata finora, potremmo anche sostenere che il regista simpatizzi di più per l’ideologia conservatrice di Noodle, ma vedremo che tale ipotesi può essere accolta solo in parte. A quanto pare, durante gli anni ’30, David avrebbe violentato Deborah, proprio perché, in fin dei conti, è sempre stato un inetto, e cioè un tipico anti-eroe novecentesco che non è riuscito a comprendere i desideri della donna, così come a trovare una valida alternativa alla propria impasse. Dal canto suo, Deborah, non solo non si è mai voluta legare sentimentalmente a Noodle, ma neppure a Max. Sebbene, invero, abbia avuto da quest’ultimo un figlio, è sfuggita con dovizia da vincoli familiari che le avrebbero impedito, a sua volta, di scalare la carriera cinematografica. Per cui, lo stupro costituisce l’ultima impresa disperata di cui si è servito Noodle per raggiungere con la forza ciò che non avrebbe mai potuto incontrare in altra maniera.

Deborah (Elizabeth McGovern)
Come avviene nel romanzo moderno, l’episodio, a mio avviso, è un’allegoria che racconta la frattura insanabile tra un punto di vista arbitrario, interno al soggetto, e la sua completa estraneità allo spirito del tempo oggettivo che viene incarnata dal personaggio di Deborah. Si esprime quindi il parossismo di una perdita di controllo: la crisi di fronte alla consapevolezza della propria impotenza di non riuscire a cambiare alcun ché. È anche la raffigurazione di un’epoca, con i suoi ideali, che si avvia al tramonto, e che manca perciò i suoi appuntamenti più importanti con la storia, innanzitutto nei confronti della nuova fase consumistica, realizzatasi a pieno negli anni ’60.
Non appena, quindi, ci troviamo a trascendere le figure del tempo, incarnate dai singoli personaggi, l’inconscio politico del film si dipana, appunto, anche secondo due linee storico-ideologiche più vaste. Per un verso, la prospettiva moderna e progressista solca perfettamente la parabola della grande borghesia (Max-Deborah) come emerge dopo la Rivoluzione Francese, la quale farà propria una visione del mondo scandita dal movimento meccanicistico, slanciato continuamente in avanti e privo di limiti, ereditato dalla sinistra liberale; mentre, per un altro, racconta la prospettiva conservatrice, regressiva, della piccola borghesia (Noodle), che il tempo invece l’ha sempre voluto fermare, in quell’eterno presente, accolto invece dalla destra storica. Sebbene Max e Deborah siano stati a rincorrere per tutta la vita il tempo, alla fine hanno fallito perché era come se in realtà non si fossero mai spostati. Tuttavia, Noodle, che ne è sempre rimasto escluso, cerca in questo episodio di possederlo invano. Di conseguenza, tutti e tre i protagonisti, diversi ma uguali, restano sempre oggetti, piuttosto che diventare soggetti, di storia
5. Il sorriso epifanico e l’estraniamento brechtiano
Ebbene, l’unica finestra che permette di scorgere un Altrove ideologico, ancora inesplorato, si apre con il momento epifanico del sorriso durante la famosa scena conclusiva quando, ancora stordito per via dei narcotici, Noodle si sdoppia, acquisendo la coscienza di essere in realtà un semplice personaggio di carta. È come se ci guardasse attraverso la telecamera con l’espressione di un uomo che abbia capito finalmente in cosa consista il suo ruolo nell’ambito di una storia ideata per essere scritta. Siamo tornati di nuovo agli anni ’30, cioè a quel lasso di tempo che, si è accennato più sopra, occupa la sezione centrale del film. Qui, come all’inizio, un effetto straniante di tipo brechtiano, introdotto stavolta dall’uso speculare del flash-back, allontana il punto di vista dello spettatore fuori la catena di causa-effetto degli eventi narrati. Se da una parte, infatti, quest’ultimo ci insinua un senso di profondo spaesamento (Perché Noodle sorride mentre stanno cercando di ucciderlo?); dall’altra, ci permette di osservare la vicenda con distacco, e quindi alla stregua di un gioco (Forse, Noodle ha capito di essere stato ingannato e pertanto sorride con ironia nei confronti della vita?). Le domande non riescono a trovare risposte immediate mentre, al loro posto, si fa spazio sempre di più il dubbio lacerante, cui segue un’inevitabile ambiguità di senso che sospende il nostro giudizio.
Ora però è impossibile che la consapevolezza di essere rimasto vittima di una congiura, ordita dall’amico, possa essere stata già fatta propria dal giovane nella scena in cui si droga con l’oppio. Al contrario, Noodle è ancora convinto che Max sia morto bruciato nell’auto insieme agli altri due complici, uccisi dai loro rivali. Lo dimostra il fatto ad esempio che il giorno dopo, un attimo prima di lasciare New York, si recherà alla stazione dei treni, persuaso inizialmente di trovare ancora la valigetta intatta con il milione di dollari, nell’armadietto dove l’aveva nascosta per anni insieme agli altri componenti della banda. Inoltre, durante gli anni ’60, non appena fa ritorno nel ghetto ebraico per prendere parte alla festa del senatore Baley, si trova ospite nel locale di Moe il quale, essendo rimasto in apparenza l’unico sopravvissuto tra i suoi vecchi compagni, viene accusato ingiustamente da Noodle di essere stato proprio lui a tradirlo.
Allora, il sorriso beffardo, sopraggiungendo incoerente e farraginoso innanzi alla situazione tragica che sta attraversando in quel momento il protagonista, potrebbe alludere più probabilmente ad una presa di coscienza sulla precarietà della vita nel suo insieme, sulla mancanza di verità assolute, piuttosto che fare riferimento ad una circostanza particolare. Ed è per questo motivo che se, di nuovo, fissiamo il nostro fuoco sull’intreccio, ci rendiamo conto come il sorriso debba comparire al termine del film. Perché è come se, d’avvero, lo trovassimo in fondo, quando cioè guardiamo per la seconda volta l’epilogo. Mentre prima, all’inizio, non c’era stato. In altre parole, quel gesto non appartiene al tempo cronologico di quella biografia, come è veramente accaduta, ma alla chiosa finale del tempo narrato, dal quale si è dischiuso all’improvviso anche un potenziale futuro: ovvero, sarebbe scaturito dall’invenzione circolare del racconto che, mentre ritornava indietro, si è finalmente interrotto (5). Il sorriso è frutto dell’esperienza di Noodle, di cui egli ha potuto fare tesoro, tuttavia, solo quando ha scoperto di essere il personaggio di una trama che gli è stata imposta dal proprio regista, al di fuori di una vita reale.
- Conclusione: terza figura del tempo
Il punto è che il flash-back degli anni ’30 permette all’autore di irrompere nelle linee temporali, ormai tracciate dal film, e di mischiarle fra loro per smontare la finzione scenica con i suoi ingranaggi fittizi, mostrandosi mera pellicola, illusione. A questo proposito, risulta evidente anche l’accostamento tra il ruolo di Deborah che, nei panni di un’attrice, rivolge la sua attenzione verso dei valori inautentici, e la forma cinematografica in quanto tale, genere di carta pesta per eccellenza, conosciuta e utilizzata dallo stesso Leone. Insomma, il sorriso di Noodle, che lo rende infine al di sopra delle parti e cosciente di essere il complice di una commedia, è un gesto che non risponde più ad una logica interna, concepita dall’incalzare degli avvenimenti, ma viene calato dall’alto per mezzo di una chiara operazione registica (6). E tale effetto si è voluto perché “la sospensione del giudizio” serve a noi per smascherare il soverchiante status quo che circonda il protagonista, senza rinviare tuttavia ad alcuna soluzione di sorta. Infatti, le prospettive politiche proposte dallo spirito dell’epoca appaiono relative, mendaci, e vuote, nella misura in cui si sono avverate in modo fallimentare. Pertanto, il sorriso finale, pur comparendo nel passato, è allo stesso tempo un inizio che si pone al di fuori della ripetizione dell’identico, come possibile accesso ad un ignoto futuro, altrimenti ideologico.
Giunti fin qui, siamo ora in grado di rispondere alla nostra domanda iniziale. Ovvero, si può sostenere che in C’era una volta in America si manifesti anche il segnale di una terza figura del tempo. Quest’ultima emerge, sì, diversa dalle altre due presenti nel film ma, al contrario delle precedenti, non è pervenuta ad un’esistenza concreta. Si tratta, anzi, di una figura che non è stata mai filmata, né scritta e, proprio per questa ragione, è ancora realmente possibile a dispetto di una realtà compiuta ma diversamente fallace. Il regista, semmai, attraverso l’ambivalenza di quel sorriso, che riempie la nostra mente di dubbi, affida al suo pubblico il compito di immaginarla.
Di Jacopo D’Alessio, ComeDonChisciotte.org
NOTE
(*) = https://www.leonefilmgroup.com/films/cera-una-volta-in-america/
(1) L’intreccio è la narrazione della vicenda come viene esposta nel romanzo, o nel film, di cui è testimone il lettore-spettatore. Pertanto, come avviene in questo caso, può presentarsi attraverso continui rimandi, sia avanti (prolessi o flash-forward), che indietro (analessi o flash-back). A discrezione della regia, può presentarsi più lineare, oppure, come avviene in questo film, perfino circolare, e quindi partire e concludersi nello stesso punto. Comunque sia, l’intreccio può mostrarsi spesso piuttosto disordinato, in forme molteplici. Viceversa, la fabula è la ricostruzione a-posteriori che può fare lo spettatore quando smonta gli eventi, così come erano stati presentati dall’intreccio, per ricollocarli successivamente nel loro presunto ordine lineare e cronologico: cioè, come sarebbero apparsi se fossero stati narrati in un modo più rispondente alla realtà dei fatti. Genette, G., Figure III – Discorso del reacconto, Torino: 2006; Einaudi Editore.
(2) L’ellissi è un balzo temporale in avanti della narrazione che consiste nell’omissione di alcune informazioni durante il periodo di tempo sottaciuto. In altre parole, quando il tempo del racconto (TR) degli avvenimenti si interrompe, viceversa, il tempo storico (TS) delle ore, dei giorni, e degli anni, prosegue nel frattempo il suo corso naturale anche se non è stato fatto oggetto di alcuna narrazione, in Genette, G., Ibid. Nella fattispecie, durante il carcere e la permanenza a Buffalo, il tempo del racconto si è arrestato del tutto (TR = 0) perché non si parla di ciò che è successo a Noodle in quei periodi saltati, mentre il tempo reale della storia è andato avanti di circa un decennio (TS = 1), nel primo caso, e ancora di più nel secondo (TS = 2).
(3) “Per molto tempo, sono andato a letto presto la sera. A volte, appena spenta la candela, gli occhi mi si chiudevano così in fretta che nemmeno avevo il tempo di dire a me stesso: ‘M’addormento’. E mezz’ora più tardi, il pensiero che era tempo di cercar sonno mi ridestava”, corsivo mio, in Proust, M., Dalla parte di Swann, in Alla ricerca del tempo perduto, Torino: 2017, Einaudi Editore.
(4) De Martino, E., La fine del mondo – Contributo all’analisi delle apocalissi culturali, Torino: 2021; Einaudi Editore.
(5) Se, medinate il flash-back, il tempo della storia (TS) è tornato indietro nel passato di Noodle, in una ripetizione apparentemente senza fine, quello del racconto (TR), prima di tutto, dà un taglio a tale ciclicità, ovviamente concludendo il film. Ma introduce inoltre un evento nuovo (il sorriso appunto), dislocato quindi paradossalmente nel futuro dell’intreccio rispetto alla vicenda reale della fabula che, al contrario, negli anni ’30, si presentava soltanto tragica, in quanto mero prodotto causale dei fatti che l’avevano preceduta. La tesi di questo lavoro, infatti, è che il sorriso non appartenga al passato storico (TS) del personaggio, inizialmente omesso, ma che è si è potuto aggiungere solo successivamente, grazie all’artificio irreale del racconto (TR). Per questa ragione si può narrare soltanto alla fine.
(6) La tragedia classica, composta secondo il principio di immedesimazione, si va progressivamente deteriorando nel corso dello sviluppo del dramma moderno. Ad interrompere l’illusione scenica sarà compito del montaggio e del punto di vista autoriali che, muovendo dall’esterno, fanno breccia tra gli eventi interni della trama, per svelare così gli artifici stessi della narrazione. Di qui, si assisterà alle varie forme di sdoppiamento dei personaggi che si scoprono attori delle storie di carta loro assegnate dai rispettivi scrittori. (Vedi ad esempio, Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello). La forma matura di tale estetica, cominciata dall’Espressionismo tedesco durante gli anni ’20, diviene compiuta e teorizzata con l’avvento del teatro epico di Bertold Brecht, in Szondi, P., Teoria del dramma moderno, Torino: 2015; Einaudi Editore.
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Pubblicato da Jacopo Brogi per ComeDonChisciotte.org
23.01.2022