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La Redazione

 

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Le cose si muovono
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A cura di Redazione CDC
Il 4 Maggio 2022
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Di Lorenzo Merlo, theunconditionalblog.com

Il ’68|77 era stato mordace. C’erano più che promesse. Ma nessuno ne parlava. Erano nella carne e nei sentimenti, erano in realizzazione. Non c’era necessità di dichiararle. Tutti erano sul pezzo. A sentire oggi le canzoni di certi cantautori, pare di ascoltare la colonna sonora di un percorso coerente, in cui attori e comparse erano espressioni di un solo spirito. La trama era nota. La destinazione, anche.

Ma si trattava di un inconsapevole fermo immagine. Le cose si muovono. Le Brigate rosse e anche quelle nere non riuscirono ad impedirlo.

Seguirono, infatti, nientepopodimeno che l’edonismo reaganiano, la Milano da bere e l’affermazione della cultura dell’individualismo: in un colpo solo, l’affermazione del neoliberismo. Investire in borsa era diventato pop. E chi non ne sapeva nulla non era invitato alle feste, dove le strisce di cocaina marcavano il campo di quelli al passo coi tempi.

Chi era stato mordace gradualmente apriva il pugno per afferrare le briciole di opulenza che cadevano dal tavolo dove banchettavano le stelle del momento e dove c’erano anche le strisce. Sotto l’egida dell’esigenza di sopravvivenza, il pugno divenne mano aperta, strumento ideale per arraffare l’arraffabile. Seguì, infatti, Mani Pulite. E poi anche Bossi, la cui idea di lasciare l’Italia, per quanto solo dettata da ragioni economiche, aveva moventi che oggi anche gli extra-padani possono riconoscere nel loro significato profondo.

Ma la via era aperta. La globalizzazione proclamava dividendi mai visti prima. Se si potesse darle una psicologia e una fisionomia, si potrebbe dire che i porta a porta la vendevano con la garanzia di una nuova età dell’oro. Cos’altro sarebbe servito per soddisfare le fameliche fauci degli uomini satanizzati dal dio denaro?

In coerenza con lo spirito del globalismo, si avviò la messa in vendita dell’Italia? Il fatto che proprio a noi toccasse fare i portabandiera europei delle sovranità d’ordine vario aveva certo a che fare con la cospicua quantità di basi americane qui residenti e con la centralità italiana nel Mediterraneo, la terra più prossima all’Africa e al Medio oriente. A loro volta, dentro il progetto di mantenimento egemonico americano del mondo. Il globalismo annunciato come facilitazione commerciale e unificazione di forze era un cavallo di Troia, dal quale, al momento giusto, sarebbero sbarcate armi e truppe.

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Milano, Piazza Affari – Foto di Paolo Margari

Si era all’epoca in cui quelli dei palazzi vantavano un’economia nazionale da primi della classe globale. Chi avrebbe potuto mai farli desistere dalla corsa alla globalizzazione, dall’essere parte della squadra che, come da pronostico, certamente avrebbe vinto tutti i campionati del mondo da allora in poi? Le incertezze russe e cinesi non si erano ancora affacciate e neppure quelle islamiste. Anche se questa non è che una leggenda popolare, sotto la quale è facile trovare il tessuto intriso di progetto egemonico americano. Quelli, sembrano cialtroni in ritardo, ma sono sempre almeno una mossa avanti.

Alle privatizzazioni corrispondeva una riduzione di investimenti strutturali e culturali. Come in Afghanistan, il servizio era garantito a chi pagava. Gli altri, sssst! In coda. Il solo faro considerato dall’ammiragliato di stato era quello che puntava al mondo. Sotto, sulle rocce dalle quali si ergeva la torre di luce, era buio, sempre più intensamente popolato da naufraghi sociali in lotta tra loro per un posto asciutto.

Gli stessi della nuova età dell’oro si trovarono a disquisire sulla migliore modalità di applicazione del nuovo ordine mondiale e, perciò, a delineare le sorti di noi tutti sul panfilo Britannia. Non è escluso se estesero l’invito anche a dei fuoricatalogo della crème dell’economia e della finanza. Del resto, conoscere il nemico è meglio che non sapere chi sia e come pensi. Non serviva Clausewitz, bastava l’arboresco filosofo Catalano. Ma, a bocce ferme, anche questa versione dei fatti ha la foggia della leggenda. In realtà Grillo, che era in grado di controllare un crescente malcontento – presente o no sulla motonave regale – fu utilizzato per fare in modo che quel dominio restasse sotto il controllo del progetto in corso. Un intento tale per cui la popolazione, da detentrice della democrazia e dello stato, sarebbe stata esclusa a suon di assegni di cittadinanza e trasformata in massa ondivaga, da controllare appunto. Sennò come si spiega Di Maio Ministro degli esteri?

La parabola dei 5Stelle alla quale abbiamo avuto la sorte di assistere era dunque stata concepita tra le onde tirreniche? Il fervore del cosiddetto populismo, fomentato dalla critica alla politica e alla democrazia parlamentare, dalla messa in prima fila dei temi ambientali e in ultima di quelli militari e anche da qualche accenno di critica al materialismo, generò la diffusa emozione della partecipazione alla vita sociale. I cani, in numero crescente andati sciolti da Berlinguer in qua, erano stati radunati in un unico punto, attirati dall’osso della sfiducia nelle istituzioni e dalla polpa della fine degli schieramenti ideologici. Dopo decenni di mortificazione a più livelli, non si poteva chiedere niente di meglio per ritrovarsi di nuovo nel branco a godere della cagnara.

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La demonizzazione piddina nei confronti del nuovo movimento fu istantanea. Come erano tutti fascisti quelli che non si adeguavano alla sua becera e monopolistica narrazione, così tutti quei cosi (1), prima gialli e poi giallo-verdi, erano diventati “populisti”, termine che, guarda a caso, affiancato a titoli dispregiativi, divenne a sua volta declassatore, squalificatore, eccetera. Come in Afghanistan i pashtun non possono concepire di non essere loro a guidare il paese, così qui, i piddini non hanno altro che la ghigliottina per ogni pensiero che non si confaccia al loro gradimento. No-vax e pro-Putin seguirono lo schema. Un fatto di misera dialettica politica al quale si era abituati, che però scendeva da una cupola culturale, sulla quale voler discutere era essere fascisti.

L’entusiasmo di chi non ne poteva più delle élite e del loro gergo angloamericano, a sua volta svendita della cultura nostrana, comportò una partecipazione elettorale degna dei trascorsi anni ’70. Per inciso, gergo angloamericano per il quale, più che di svendita, si trattava di rinnegazione del linguaggio materno. Un fatto risibile per chi voleva e vuole stare in sella al cavallo atlantico.

Ma le cose si muovono. La parabola dei 5Stelle perse sostegno e precipitò tra gli scranni dell’emiciclo, ai quali si serrarono a mezzo di tradimenti ripetuti nei confronti degli elettori e di prostrazioni, altrettanto ripetute, nei confronti della politica globalista, materialista, atlantista. Le cose si sono mosse così tanto che ora non contano più niente, salvo che per qualche personale opportunismo. Forse gli storici, dopo profondi studi e ricerche, potranno confermare quanto il banale empirismo ha osservato: nessuno aveva mai tradito come e quanto hanno fatto i 5Stelle. Un dato di fatto che, anestetizzati dal pelo della macina del Transatlantico, neppure ritengono li riguardi. Il secondo mandato non glielo toglie nessuno e cambiare casacca è ormai mossa ordinaria. Come le meretrici, lo fanno per mangiare.

Evidentemente avevano imparato bene dai maestri di tradimento piddini che, con un salto temporale più ampio, senza dire un cazzo, hanno lasciato lo spirito d’origine per saltare nel cavallo troiano di chi conta. Dove ovviamente non c’è posto per tutti quelli che gli avevano dato retta. I lavoratori avevano perso il padre e gli individui avevano trovato una balia giuridica e robotica. Il discorso non è innocuo. Stiamo correndo il rischio di una conversione imposta alla nuova religione asessuante, salvapunti e verde. Con tanto di decalogo: Non avrai altra religione fuori di me, Non lamentare la condizione sociale invano, Ricordati di partecipare alle riunioni, Onora il partito e il governo, Non protestare, Non commettere atti antigovernativi, Goditi in pieno il reddito di cittadinanza, Ripeti pedestremente le istruzioni ricevute, Adoperati per scalzare il posto di altri, Non desiderare oltre il concesso.

Di tutti gli altri schieramenti politici, non c’è niente da segnalare, se non qualche dichiarazione che nulla toglie alla loro navigazione al seguito della corrente atlantica.

Sempre per il famoso detto catalano, le cose si muovono e, alla mercifica parabola che tutto ha trascinato con sé, v’è da aggiungere l’informazione. Se il governo del cambiamento, se l’auto-autorevole voce che dice fascisti a tutti perché altre idee non ha, sono esempi cristallini della pochezza, ciò che hanno saputo dimostrare i media d’informazione ha del sorprendente. Che dire dei governo-collusi che per denaro fotocopiano veline, invece di denunciare per tentata corruzione i latori degli oboli di Stato a loro riservati? Oboli sbalzellati dal nostro portafoglio. Ho consultato la Treccani e i miei amici eruditi. Ho chiesto loro un aggettivo che radunasse la vigliaccheria, la sottomissione, la menzogna, l’affiliazione, gli interessi personali e il tradimento. Mi hanno risposto “inventalo”. Mediatricio può andare? Cesserei almeno di chiamarli veri esperti della comunicazione come amano auto-definirsi per differenziarsi da tutti gli altri, ovvero dai “miserabili del web”, come un noto su citato direttore di venduta testata ha definito chi lo smascherava nelle sue menzogne da otto colonne.

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Le cose si muovono e quello che c’era non c’è più. Non ci sono più il genere sessuale, la famiglia, l’identità nazionale, la sovranità nazionale, quella monetaria, l’indipendenza politica, la cultura nel solco della grandezza passata sfregiata in consumo. Perfino dire ciecofrocio e ciao bella è fascismo. Fino a quando non ci toglierà punti fare l’albero di Natale? Non c’è più niente del terreno sul quale siamo cresciuti. Un fatto normale per chi crede che solo il cavallo alato garantirà di condurlo verso la nuova età dell’oro. Un fatto esiziale per chi è in grado di vedere cosa significhi buttare via il bambino con l’acqua sporca. Lo spirito pesa più della pietra.

Ma le cose si muovono. Dalle macerie cultural-socio-politiche tra le quali complottiamo, emerge rafforzata l’idea che per lungo tempo, in particolare dall’epoca covid – quello che se ti ammali muori e se non muori ci pensiamo noi con l’ossigeno o la vigile attesa –, girovagava triste, consapevole di non essere stata ancora all’altezza di radunare la moltitudine di popolo che non voleva stare ai diktat governativi. L’unione delle forze era anelata. Era un’esigenza diffusa, veniva citata da più parti con desiderio e impotenza, ma la capacità di compierla è ancora da dimostrare. Tuttavia, quel germoglio si sta facendo foglia e le fronde si sono intanto moltiplicate.

Di Lorenzo Merlo, theunconditionalblog.com

NOTE

1 – Massimo Giannini scrisse un pezzo: “La minaccia della Cosa gialloverde” (la Repubblica, 17 maggio 2018). L’intento dispregiativo, la scelta di sottrarre dignità politica alla nuova formazione governativa non erano dissimili da quanto sta facendo ora in merito alla vicenda Russo-Nato e, precedentemente, a quella Covid-filogovernativa.

link fonte: https://www.theunconditionalblog.com/le-cose-si-muovono/

Illustrazione di copertina: Joey Guidone

03.05.2022

Pubblicato da Jacopo Brogi per ComeDonChisciotte.org

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