La fine della Scuola: dalla cultura alle competenze

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La lettera che segue ci aiuta a comprendere i cambiamenti epocali e distruttivi avvenuti negli ultimi decenni nelle istituzioni educative del Paese, i cui fini sono stati e sono politici.

Buona lettura.

Prof.ssa Patrizia Pisino

 

Mi hanno chiesto come è cambiata l’istruzione scolastica in questi anni, ho riflettuto molto sulla qualità dell’insegnamento e ne ho dedotto che si è proceduto verso un declino forse senza più via di uscita se non si cambia direzione.

Parlare della realtà scolastica è molto impegnativo per le sue caratteristiche che interessa una popolazione trasversale numerosa (genitori, ragazzi, personale scolastico, insegnanti, operatori esterni, psicologi, ecc.); è una realtà che coinvolge quindi la vita di tutti i cittadini.

Ho iniziato ad insegnare dopo la laurea negli anni ‘80, prima come supplente, poi come insegnante di ruolo dopo aver vinto il concorso nel ‘91. Ho conseguito l’abilitazione per accedere all’insegnamento in base al titolo di studio, ad esempio con la laurea in architettura quinquennale vecchio ordinamento potevo insegnare discipline architettoniche, disegno e storia dell’arte nelle superiori e educazione tecnica e artistica nelle scuole medie inferiori; ho seguito vari corsi di formazione per l’insegnamento e dopo una lunga trafila sono giunta a quello che consideravo un traguardo ambito: insegnare.

Se andiamo alla etimologia della parola insegnare dal latino tardoinsignare ‘incidere, imprimere dei segni’, (sottinteso nella mente), composto dain-esignare. in-se-gnà-re (io in-sé-gno) ha come significato quello di esporre, spiegare qualcosa in modo che venga appreso.

Dalla Trecani: “In senso più specifico e pratico, insegnare significa comunicare il proprio sapere a qualcuno o guidarlo nell’apprendimento di una disciplina, un’arte o una scienza, attraverso l’esposizione metodica dei suoi elementi e utilizzando adeguati strumenti didattici (i. a leggere,a scrivere,a suonare uno strumento;i.una lingua;i.latino,storia,diritto,patologia generale,meccanica;i.la grammatica,il catechismo,la pittura,il canto;i. danza). Si può insegnare anche una tecnica o una professione, attraverso l’esercizio o un tirocinio (i. un mestiere,la lavorazione della ceramica).4.Quando è utilizzato senza complemento oggetto e senza altre specificazioni, insegnare vuol dire esercitare la professione di insegnante (i. al liceo, all’università, alla scuola primaria).”

Fatta questa debita premessa necessaria per chiarire il significato di questa importante professione veniamo ad analizzare l’evoluzione o involuzione della qualità dell’insegnamento.

Gli anni ‘70 sono stati anni di forte spinta democratica per la scuola che hanno portato all’istituzione dei decreti delegati DPR 416/1974, con questo decreto vengono infatti costituiti gli organi collegiali della scuola al fine di realizzare, dice la legge all’articolo 1 “la partecipazione nella gestione della scuola dando ad essa il carattere di una comunità che interagisce con la più vasta comunità sociale e civica“. Il principio era sicuramente importante, finalmente tutti (studenti, genitori, docenti e personale non docente) potevano illustrare la propria posizione per il miglioramento della qualità educativa e per un adeguamento dei programmi alla società in pieno cambiamento. Solo che con il tempo è diventato un organismo di potere e in mano al Preside (attualmente denominato dirigente scolastico). Gli studenti hanno utilizzato le ore destinate alle assemblee d’istituto come passatempo per evitare le ore di lezione, senza considerare l’inutilità dei rappresentanti dei genitori nei consigli di classe per la maggior parte delle volte non nominati per mancanza di partecipazione. Combattere, tanto … poi “come sempre” il sistema fagocita per annullare l’azione democratica in esso contenuta.

Dai decreti delegati alla riforma degli ordinamenti anche questi sono stati fatti passare per migliorativi e derivati da una consultazione di base mai avvenuta.

La scuola di derivazione Gentiliana viene completamente stravolta in nome di un “modernismo” e di un “adeguamento alle norme” indicate dall’Europa. Così partendo da Belinguer con la legge n. 30 del 10 febbraio 2000 alla riforma successiva della Moratti, legge delega n. 53 del 28 marzo 2003, alla riforma Gelmini che ha modificato l’ordinamento dei licei e degli istituti professionali e tecnici attraverso il D.P.R. n.89, n.87 e n.88 del 15 marzo 2010, sino ad arrivare alla buona scuola della Giannini legge 13 luglio 2015, n. 107.

Il sistema scolastico passa da continui cambiamenti che invece di snellire lo fanno diventare un carrozzone burocratico con l’istituzione di ulteriori sistemi di controllo come gli Invalsi (Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione) che dovrebbe verificare la preparazione degli studenti attraverso dei test ma che servono solo ad occupare posti di lavoro ministeriali, senza una reale ricaduta sulla qualità dei programmi ministeriali adottati dagli istituti scolastici.

Con Belinguer inizia il cambiamento della mia scuola, il liceo artistico, che con la cosiddetta sperimentazione Brocca, porta da 4 anni più un anno integrativo a 5 anni il corso di studi. Cio’ potrebbe sembrare migliorativo, ma questo ha comportato una prima frattura consolidatasi con la riforma successiva della Giannini. Infatti con queste riforme viene svilita la specificità della formazione tecnica e professionale, fiore all’occhiello del Paese fino ad allora, che subisce una battuta d’arresto proprio perché vengono istituiti degli indirizzi liceali anche per le specializzazioni tecniche e professionali. I licei da quattro (classico, scientifico, linguistico, artistico) diventano nove suddivisi in vari indirizzi di studio, questa scelta politica non ha nobilitato l’istruzione e tantomeno non ha ampliato il curricolo.

Con Belinguer cambia anche la struttura universitaria che si poneva come obiettivo quello di rispondere alle esigenze di adeguamento che l’Europa chiedeva relativamente ai saperi specializzati. Infatti la legislazione (ancora in vigore) relativa alle università nella legge del 10 febbraio 2000 n. 30 (Legge Quadro in materia di Riordino dei Cicli dell’Istruzione) doveva intercettare la necessità di equiparare i titoli ed i periodi di studio italiani di alta formazione con quelli europei, distinguendo tra lauree triennali e specialistiche biennali.

Questo comporterà un ulteriore cambio del livello di preparazione anche dei futuri docenti e si creerà una frattura tra lauree biennali e triennali con una conseguente difficoltà didattica e una disparità di reclutamento.

Le scuole da luoghi di conoscenza e sapere diventano aziende e si incomincia a parlare di capitale umano/risorse umane; vengono introdotti i crediti e i debiti formativi e l’alternanza scuola lavoro. Gli esami di riparazione di settembre vengono sostituiti con la farsa dei corsi di recupero che di fatto, non comportano nessun recupero della materia, mentre con gli esami di settembre e la preparazione durante il periodo estivo lo studente rimandato riusciva ad acquisire benissimo le conoscenze delle materie di studio e poter iniziare l’anno alla pari degli altri studenti, ma soprattutto veniva responsabilizzato ed era un incentivo allo studio durante il corso dell’anno.

Per non parlare poi del fatto che se una materia non piace allo studente e quindi si presenta al consiglio di classe con un voto insufficiente, la colpa è dell’insegnante per non averlo coinvolto abbastanza, anche se risulta il solo su 30 alunni, pertanto viene promosso con il sei dato come voto di consiglio. Questo comporta indubbiamente un impatto negativo sulla conoscenza olistica di ogni discente, in quanto tutte le materie del corso di studio sono importanti per la sua formazione.

Il vecchio ordinamento del liceo artistico considerava tutte le materie artistiche equivalenti, architettura, scultura e pittura convivevano in armonia e venivano progettate lezioni interdisciplinari per dare allo studente la migliore preparazione possibile. C’era armonia anche tra docenti che collaboravano insieme a progetti internazionali che hanno portato prestigio all’istituto scolastico. Poi il freno della riforma dei cicli: un biennio dove le materie di studio delle discipline artistiche venivano ridotte al minimo e con un triennio diviso tra le tre discipline, dando la possibilità allo studente di scegliere quale frequentare. Questo ha innescato una lotta interna per aggiudicarsi il numero di studenti necessario per non perdere le ore di lezione e la cattedra.
SICH! A pensare che prima venivano dall’estero per conoscere i nostri piani di studi considerati all’avanguardia e altamente formativi in quanto fornivano allo studente la capacità critica e le competenze necessarie per ogni tipo di lavoro futuro non solo in campo artistico.

Il peggioramento si è anche concretizzato con l’aumento del numero degli studenti per classe, passando da 25 massimo a più di 30 sino a 33, senza considerare la dimensione degli spazi scolastici che diventano sempre più stretti e l’impossibilità di seguire ogni studente individualmente.

La fantomatica alternanza scuola lavoro (90 ore per i licei, 150 per gli istituti tecnici e 210 per gli istituti professionali) ha solo portato alla ulteriore diminuzione delle ore curricolari per uno sfruttamento del lavoro non pagato e inutile. Se consideriamo anche le piccole realtà, è difficile trovare aziende che possano accogliere gli studenti in base alla specificità del corso di studio e che garantiscano la loro sicurezza e la preparazione, certificando poi il grado di competenze acquisite da inserire nel curricolo di ogni studente. Si comprende come la scuola stia perdendo il suo ruolo primario ed autonomo per la formazione delegandolo ad enti terzi che diventano gli esperti esterni con l’alibi dell’ampliamento della formazione e per rendere il mercato del lavoro più accessibile.

Peccato che i dati dimostrino che dopo 10 anni dalla sua introduzione e 8 anni da quando è stata resa obbligatoria, siamo il paese dove i giovani hanno più difficoltà ad accedere al mondo del lavoro rispetto al resto dell’Europa: ci poniamo al penultimo posto!

In compenso, questo non comporta per lo sviluppo cognitivo dello studende un ampliamento e un avvicinamento al mondo del lavoro, ma solo perdere ulteriori ore di lezione fondamentali al suo sviluppo educativo/cognitivo/sociale. La maggior parte degli studenti non e’ in grado di scrivere una semplice relazione tecnica o descrivere una semplice attività utilizzando un vocabolario ampio ed articolato o comprendere il significato di un testo. Anche i testi scolastici sono diventati sempre più semplici e sintetici e fortemente diseducativi, le verifiche spesso si basano su test a risposta multipla e rare volte a quella aperta. A chi serve questo? Serve al nostro sistema che vuole trasformare i giovani in burattini manovrabili, in quanto se non si possiede una cultura a 360 gradi si può facilmente far credere che anche l’impossibile e la grossolana bugia sia la possibile verità. Questi giovani scelgono così il percorso più semplice e meno impegnativo dal punto di vista dello studio, le materie letterarie come la filosofia e quelle scientifiche vengono trascurate. In nome di un “modernismo” che sta stravolgendo l’identità nazionale e la nostra cultura.

In questi ultimi anni si è manifestato palesemente l’intenzione di isolare e portare i nostri ragazzi verso una facile manipolazione delle menti come considerare dogma la scienza, mentre la vera scienza, che deve essere a servizio dell’umanità, si basa sul dialogo, la sperimentazione e sulla capacità critica dei fenomeni. In tal modo si sono date le basi per quello che io definisco globalismo delle menti e della conoscenza.

Così abbiamo l’involuzione del compito della scuola: da formazione culturale educatica ad acquisizione delle competenze. Il problema principale è che la possibilità di inserimento nel mercato del lavoro non deriva dall’acquisizione di una specifica competenza ma dalla capacità di adattarsi alle continue evoluzioni dello stesso mercato, che solo con una vasta cultura si può attuare.

La scuola non educa più ai valori etici e morali ma stimola la disegualianza in nome della integrazione, si incitano alla delazione contro il compagno di classe solo perchè non vaccinato, però la scuola è la scuola dell’inclusione! Parole vane che ormai hanno perso il loro vero valore dimenticandone il significato. Siamo passati da un pensiero libero a quello omologato.

Ogni nuovo ministro ha voluto incidere con delle riforme che invece di considerare la scuola fondamentale e centrale per lo sviluppo di uno stato libero e democratico la considera solo come strumento di controllo dei cittadini. Infatti le strategie innovative, che hanno come perno l’adeguamento degli apprendimenti ai soggetti nelle diverse fasi della vita, includono anche le nuove competenze offerte da centri territoriali, inseriti in una rete ampia, a dimensione europea, attraverso l’uso delle nuove tecnologie che non risultano però a servizio della didattica. Se consideriamo ad esempio la sostituzione del registro cartaceo con quello elettronico accessibile a tutti, la didattica a distanza (vera aberrazione educativa isolando sia gli studenti che gli insegnanti), gli incentivi dati agli istituti scolastici per l’introduzione di innovativi sistemi informatici, tutto ciò ha portato a non saper più scrivere banalmente su un foglio, attuando l’ideologia transumanistica e neoliberista con l’idealizzazione che solo la tecnologia e la globalizzazione del pensiero siano portatrici di conoscenza e benessere sociale.

Con i miei studenti mi sono ispirata alla pedagogia montessoriana che anche se parte dai bambini delle scuole di base, si può applicare anche a corsi di studio superiori. Il metodo si basa sull’indipendenza, sulla libertà di scelta del proprio percorso educativo (entro limiti codificati) e sul rispetto per il naturale sviluppo fisico, psicologico e sociale del bambino/ragazzo, mirando a sviluppare una sorta di “educazione cosmica”, cioè un senso di responsabilità e di consapevolezza verso la rete di relazioni che collega ogni entità microcosmica al contesto generale macrocosmico. Per Maria Montessori, l’educazione deve partire da visioni d’insieme quanto più globali o “cosmiche”, per arrivare gradatamente allo studio dei particolari. In Educazione e pace, scrive:

“… le spiegazioni di carattere cosmico presentano inoltre il vantaggio di avvincere l’attenzione delle scolaresche meno preparate, le quali mentre rifuggono dai particolari, si interessano vivamente alle relazioni fra i fenomeni, alla correlazione fra gli esseri viventi, e, in particolar modo, ai fenomeni che sono in funzione del bene degli altri. Ognuno, nella vita, ha una funzione che non sa d’avere e che è in rapporto col bene degli altri. Lo scopo dell’individuo non è di vivere meglio, ma di sviluppare certe circostanze che sono utili per altri. La grande legge che regola la vita nel cosmo è quella della collaborazione tra tutti gli esseri. Approfondire lo studio di questa legge significa lavorare per il trionfo della unione fra i vari popoli, e quindi, per il trionfo della civiltà umana.”

Così mentre nel resto del mondo il metodo Montessori viene utilizzato in quanto comporta degli ottimi risultati, in Italia solo pochi istituti lo hanno adottato in via sperimentale anche perché richiede una preparazione, da parte dei docenti, considerevole.

Se il governo Italiano e soprattutto gli italiani difendessero i veri valori della vita, i docenti di ogni ordine e grado potrebbero utilizzare ad esempio il metodo Montessori per stimolare e risvegliare nei giovani il compito a cui ognuno è destinato secondo i propri bisogni ed interessi. Gli insegnanti dovrebbero diventare educatori qualificati e rispettati a cui è affidato il compito di migliorare la società attraverso lo sviluppo dell’armonia cosmica e dell’amore.

Dovremmo passare dalle parole scritte alla loro attuazione rispettando i diritti dei nostri ragazzi, perché non si verifichi più il disastro e l’emarginazione di questi anni che sono stati un susseguirsi di discriminazioni antieducative e antisociali per sviluppare il libero pensiero.

Ritorniamo a formare l’essere umano e a valorizzare gli insegnanti che per loro natura riescono a trasmettere e comunicare il sapere in una scuola competitiva dove emergano i migliori e si ritorni a fare cultura vera e con un numero di alunni per classe ridotto da 30 a massimo di 18 alunni, solo così la scuola risorgerà.

Di Patrizia Pisino per ComeDonChisciotte.org

Patrizia Pisino, è stata insegnante. Oggi è scrittrice, il suo ultimo libro è “La Prigione della Paura” (PortoSeguroEditore, 2022)

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