La banalità del Male 2.0 The Real Anthony Fauci – parte 3/N

... e tutto d'un tratto... i VACCINI

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Terza parte (e ultima dedicata al Covid) del riassunto del libro The Real Anthony Fauci, di Robert F.Kennedy jr, non pubblicato in Italia. Nella Parte 1 abbiamo riportato come Kennedy analizzi i meccanismi su cui Fauci ha fatto leva per agire al fine di creare la Paura sufficiente per poter prendere in mano la situazione anche in campo politico. Successivamente, nella Parte 2, abbiamo riassunto l’ampia trattazione effettuata da Kennedy del “core business” di Fauci, ovvero la sua totale ed incontrastata influenza sul processo di approvazione dei farmaci contro le malattie infettive negli Stati Uniti (e quindi nel resto del mondo occidentale). In quest’ambito, Fauci, racconta Kennedy, ha fatto passare nel dibattito pubblico l’impostazione “i vaccini sono l’unica via”, la quale, per affermarsi necessitava di un unico, importantissimo corollario: che non ci fosse alcuna cura alternativa efficace. Obiettivo che Fauci raggiunse con una sistematica demolizione pubblica (anche con veri e propri trial clinici truccati, racconta Kennedy) di tutte le cure disponibili, a partire da Ivermectina e Idrossiclorochina. Con qualche eccezione… fino a che, finalmente, sulla scena sono apparsi loro: i vaccini.

 

[…continua] Nel campo della gestione dei rischi, la principale tattica che tutti i gestori consigliano è “diversificare”. Quindi, mentre le case farmaceutiche cercavano in tutti i modi di mettere a punto un qualche tipo anche sgangherato di vaccino, Fauci lavorava anche su possibili antivirali da brevettare e far licenziare dai suoi amici della FDA. Per questo accolse con favore la notizia che la Merck voleva presentare per l’approvazione una presunta pillola anti-Covid che costava trenta volte più di HCQ (la MK7110) e pianificò subito 356 milioni di dollari di acquisti dal NIAID, già a dicembre 2020. Ma sarebbe stato ancor più contento se ci fosse stato da mettere sotto licenza qualche altro antivirale già pronto, come ad esempio il Monlupiravir, da 700$ a dose (quaranta volte il costo di produzione), che faceva la stessa cosa dell’IVM. Peccato che il Monlupiravir fosse stato sviluppato anni prima in ambito militare con soldi pubblici per finalità non chiare e avesse causato problemi di sicurezza, in particolare sulle donne incinte. Eppure, nel giugno 2021, il presidente Biden firmò un ordine di acquisto per 1,7 milioni di dosi del farmaco per trattamenti di cinque giorni. Tuttavia, tra i tanti amici di Fauci, uno era quello che principalmente bisognava accontentare: non si occupava specificamente di farmaci, ma era molto, molto ricco. Già nel 1998, racconta Kennedy, la William H.Gates Foundation aveva destinato 500 milioni di dollari a favore della ricerca del vaccino anti-AIDS, ma fu nel 2000 che il figlio di William, Bill Gates, invitò personalmente mr Anthony Fauci ad un evento a casa sua, vicino Seattle. A un certo punto, raccontò in seguito lo stesso Fauci, Gates lo prese da parte e gli disse “possiamo fare due chiacchiere in libreria?” Fu lì che Bill Gates, uno degli uomini più ricchi del mondo, e Anthony Fauci, capo del più grande Istituto di ricerca sulle malattie infettive del mondo, decisero di diventare partner. Per quanto infarcita di ottime intenzioni, era chiaro che nessuno dei due intendeva collaborare a titolo gratuito alla partnership, ovviamente. Ma i costi non sarebbero stati a loro carico.

Fu così che, a un certo punto, sulla scena della pandemia di Covid fece capolino il Remdesivir, sul cui sviluppo mr Gates aveva puntato parecchi soldi, poichè aveva comprato consistenti quote dell’azienda che lo produceva. Al contrario di HCQ e IVM, il Remdesivir aveva creato grossi problemi quando, nel 2019, era stato testato, insieme ad altri tre farmaci, in Africa durante un’epidemia di Ebola. I soggetti che avevano assunto il farmaco nelle dosi previste dal protocollo, nel giro di un mese avevano presentato gravi problemi a diversi organi vitali, tanto che il 54% di loro era morto. Fauci a inizio 2020 annunciò tronfio che era partito un trial clinico dello stesso farmaco sui pazienti ricoverati per Covid. Un mese prima – fa notare Kennedy – che l’OMS dichiarasse il Covid una pandemia, mentre c’erano solo 14 (quattordici!!!) casi confermati di Covid in tutti gli Stati Uniti. Preveggenza? Il Remdesivir costava 10$ a dose alla produzione, ma veniva venduto a 3100 dollari a trattamento… in fondo, perchè sottilizzare? Mentre Fauci chiedeva studi randomizzati a doppio cieco sui super-collaudati IVM e HCQ, autorizzava trial sul Remdesivir senza gruppi di controllo, ai quali veniva somministrato un farmaco equivalente a quello da testare, in modo da nascondere le differenze (ormai l’abbiamo capito: un vero e proprio must dei trial clinici targati Fauci). Tuttavia, anche se i due gruppi presentavano uguale (rilevante) tossicità, nessun miglioramento sembrava emergere nella cura del Covid. Così i ricercatori (altro must) cambiarono in corsa l’obiettivo dello studio: non bisognava dimostrare l’efficacia del Remdesivir, nella cura del Covid, ma far vedere che esso riduceva la durata dei ricoveri.  Nel frattempo, uscivano su The Lancet studi cinesi (a doppio cieco, randomizzati e sottoposti a peer review) che smentivano l’efficacia del Remdesivir, accertandone peraltro la notevole tossicità. Fauci non si scompose e convocò – prima della fine prevista del suo studio – una conferenza stampa in cui annunciava nientepopodimenoche il Remdesivir “riduceva di tre giorni il ricovero ospedaliero dei malati di Covid” e quindi sarebbe stato “non etico” negare agli americani la possibilità di usare liberamente un farmaco così efficace; per questo, lui avrebbe interrotto il trial (terzo must) e avrebbe iniziato a dare il Remdesivir anche al gruppo di controllo (un altro grande classico). Il 1 maggio del 2020, racconta Kennedy, FDA rilasciò l’autorizzazione in emergenza (EUA) per il Remdesivir. Trump comprò tutte le dosi fin lì prodotte, mentre la UE fece subito una prenotazione per 500 mila nuove dosi. Il Remdesivir era diventato così in diretta TV lo “standard of care” negli Stati Uniti, senza uno studio completo alle spalle, nè una qualunque evidenza scientifica.

E non era stato un colpo di teatro o una novità del momento. Lo stesso schema, racconta Kennedy, era stato usato nei decenni precedenti per licenziare (e vendere) farmaci inutili o dannosi contro l’AIDS: lanciare uno studio farlocco, cercare di farlo funzionare e, se non funzionava, cambiargli obiettivo in corso d’opera, per poi andare in televisione o alla Casa Bianca annunciandone i primi anche pallidi risultati non negativi al fine di interromperlo al grido di “non è etico negare le nuove cure ai pazienti”. Peccato che il 19 ottobre del 2020, tre giorni prima della decisione della FDA sul Remdesivir, l’OMS pubblicò, con un rigurgito di orgoglio, un proprio studio condotto su 11.000 pazienti in oltre 400 ospedali del mondo, che confermava l’inefficacia del farmaco contro il Covid, sconsigliandone l’uso. Un mese prima, però, la FDA aveva già emesso un EUA per i pazienti sotto i 12 anni. Fauci chiese, e ottenne, di anticipare il verdetto complessivo, in modo da evitare che il rapporto dell’OMS andasse troppo in giro, e l’approvazione infatti arrivò.

Kennedy conclude dando conto del fatto che, al momento della pubblicazione del libro (novembre 2021) solo due farmaci risultavano approvati da FDA per il trattamento del Covid: Remdesivir e desametasone. Molti medici, dice l’autore, sostengono che proprio l’uso del Remdesivir sia alla base del tasso record di mortalità per Covid negli USA nel 2020, il primo al mondo, seguito da quello del Brasile (altro paese che lo raccomandava).

Sul sito AIFA, ancora oggi, la pagina dedicata agli “ultimi aggiornamenti sui farmaci utilizzabili per le terapie Covid” riporta, nel file, aggiornato ad aprile 2022, relativo alle “Raccomandazioni per le terapie domiciliari” che due dei tre farmaci “da utilizzare in specifiche fasi della malattia” sono… sono…. sono… sì, sono proprio loro: Monlupiravir e Remdesivir. E buonanotte…

Ma torniamo al core business: i vaccini. Kennedy introduce l’argomento mettendo subito in apertura il capitolo riferito allo Pfizer intitolato “A cold look to the shocking data” che evidenzia un fatto effettivamente scioccante: i numeri forniti dalla stessa Pfizer alla FDA per l’approvazione evidenziavano un numero di decessi “all causes” (cioè per tutte le cause) molto superiore nel gruppo dei vaccinati rispetto a quello di controllo, cui era stato somministrato un placebo. L’efficacia del trattamento, invece, veniva collegata al “rischio relativo”, derivato dal fatto che, mentre nel gruppo dei vaccinati c’era stato un solo morto di Covid su 22 mila casi, nel gruppo dei non vaccinati, i morti erano stati… due! E’ vero che 2 è del 100% più grande di 1, salvo che la notizia diventò che il vaccino riduceva i morti del 100%, cioè li azzerava. La vera notizia avrebbe dovuto essere, però, che il vaccino riduceva la mortalità del Covid di un caso su 22 mila, che è il “rischio assoluto”, la cui riduzione ammonta, in questo caso, allo 0,001%. E’ evidente, prosegue Kennedy, che un vaccino in grado di ridurre dello 0,001% la mortalità di un virus non potrà mai fermare una pandemia. Ma il peggio è che, a fronte di una riduzione di un caso su 22 mila dei morti da Covid, lo studio Pfizer evidenziava 5 casi su 22 mila di morti per arresto cardiaco (invece che 1 caso, come registrato nel gruppo di controllo). La tabella “all causes” di mortalità dei soggetti vaccinati è la vera cartina di tornasole di ogni trial di questo tipo, perchè mette a confronto gli effetti benefici del vaccino con la salute nel medio termine dei vaccinati. E’ anche per questo che un normale trial clinico sui vaccini dura (o sarebbe meglio dire durava) due o tre anni, ed è esattamente per evitare questo, invece, che i trial di Fauci vengono sempre interrotti in anticipo. In generale, nei numeri Pfizer, le morti “all causes” erano del 42,8% più alte che nel gruppo di controllo (20 contro 14). Riassumendo: lo studio Pfizer presentato alla FDA evidenziava 6 morti in più “all causes” tra i 22 mila vaccinati rispetto al gruppo placebo, a fronte di una sola morte in meno da Covid. Un rapporto costi/benefici non favorevole. Ma FDA approvò lo stesso.

E dopo? Quando i vaccini poi sono stati somministrati a centinaia di milioni di persone cosa è successo?

Kennedy fa una rapida rassegna dei dati dei paesi con i più alti tassi di vaccinazione, con i dati disponibili ad ottobre del 2021, raccontando di tassi di crescita altissimi sia delle infezioni, sia dei morti. Gibilterra, Malta, Islanda, Belgio, Singapore, Regno Unito (dove addirittura si registrava nei vaccinati una probabilità del 53% più alta di contrarre la malattia nelle fasce di età fino a 40 anni rispetto ai non vaccinati), Israele (con il suo record di casi giornalieri a settembre, e il 90% di popolazione con due dosi già da Giugno). Per chiudere il discorso, Kennedy cita due studi (QUI e QUI) del mese di ottobre del 2021 pubblicati dalla Harvard’s T.H. Chan School of Public Health che comparavano i risultati del vaccino su 68 paesi del mondo e oltre duemila contee degli Stati Uniti, concludendo che i luoghi dove si registravano i maggiori tassi di vaccinazione NON sperimentavano un minor numero di casi.

Man mano che il tempo passava, infatti, la narrazione, racconta Kennedy (e noi non possiamo che confermare) si è andata via via spostando sul concetto che i vaccini non diminuivano le probabilità di ammalarsi, ma evitavano i casi più gravi (e quindi le morti) e riducevano i ricoveri. Per sostenere ciò venne diffusa in lungo in largo (e ovunque, anche in Italia, lo ricordiamo tutti) la bugia che i ricoveri per Covid fossero in gran parte di non vaccinati. Al di là dei singoli casi e dei singoli ospedali (ricorderemo, sole, le uscite di Zangrillo sul San Raffaele a smentita) Kennedy racconta come fecero a raggirare il presidente Biden (che ripetè più volte il concetto in diversi eventi pubblici): gli passarono delle statistiche di ricoveri che partivano…. da gennaio del 2021, quando il 99% degli americani ancora non erano stati vaccinati (!). In più, l’autore nota come, in generale, le statistiche dei paesi già citati in precedenza relative ai morti “all causes” fino a fine 2021 seguivano fedelmente quelle del trial Pfizer, con i vaccinati a morire più spesso dei non vaccinati. In più, anche le statistiche ufficiali mostravano chiaramente (nel libro sono riportati i grafici di numerosi paesi e/o stati USA) che ad ogni ondata vaccinale seguiva un aumento della mortalità. Perfino il VAERS (il sistema americano di rilevazione degli effetti avversi da vaccini, che Kennedy descrive come pieno di buchi) registrava un aumento senza precedenti dei morti dopo i cicli vaccinali relativi al Covid, al punto da far registrare in pochi mesi un numero di morti superiore a quello complessivo di tutti gli altri vaccini nei decenni precedenti. Dai dati si evince, riporta l’autore, che i vaccini Covid registrano – pur con dati ampiamente sottostimati – una mortalità 98 volte superiore a qualunque vaccino antinfluenzale.

Il grafico del VAERS riportato da Kennedy

Il VAERS fino ad ottobre 2021 riportava, pur con tutti i suoi difetti ed omissioni, oltre 7500 casi di miocarditi nei giovani vaccinati, di cui oltre i due terzi riferiti al vaccino Pfizer, un numero 19 volte superiore a quello atteso, per pari fasce di età (numero che diventa 25 volte maggiore per i giovani tra i 12 e i 17 anni e 50 volte maggiore per gli over 65!!). In ottobre del 2021, la stessa FDA ammise pubblicamente che i dati contenuti nel VAERS erano largamente insufficienti a disegnare i fenomeni sottostanti, a causa della loro incompletezza. L’unica domanda seria da porre a Fauci in quelle circostanze, conclude Kennedy, sarebbe stata “perchè non avete fermato subito la campagna vaccinale?”. Peccato che nessuno l’abbia mai posta. I media hanno fornito nei mesi successivi all’inizio delle vaccinazioni un completo, totale, incondizionato appoggio alle campagne nei vari paesi, nascondendo sistematicamente i dati sulle reazioni avverse ed enfatizzando in ogni modo e ad ogni occasione i casi di morti tra i non vaccinati.

Così, citando en passant i dati sulla breve durata dei vaccini e sull’anomale miocarditi nei giovani, Kennedy conclude la parte del suo libro dedicata al Covid, non prima di avere inserito una ottantina di pagine di note, citazioni, riferimenti a lavori scientifici a sostegno di quanto detto fin lì.

Basteranno contro le garrule dichiarazioni dei vari virologi da salotto nostrani o del nefasto ministro Speranza?

[continua… prossima puntata – probabilmente dopo l’estate – le restanti 700 pagine del libro, ovvero la prova generale del Covid: l’AIDS]

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