FONTE: Attilio Boron
Islanda: un pessimo
esempio che la destra e i media si sforzano di nascondere agli occhi
dell’opinione pubblica. Recupero della sovranità popolare, mancato
pagamento dei debiti, banchieri in galera! Questo è inaccettabile e
pericoloso, se nel bel mezzo dell’inquietudine che vive l’Europa si
produce un contagio. Quindi meglio continuare a parlare fino al disgusto
di Gheddafi e delle lussuose ville in cui lui e la sua famiglia viveva
prima della caduta del regime. E una volta che questa fonte di notizie
sarà esaurita, cercheremo nuove distrazioni. Qualsiasi cosa, purché
non si parli dell’Islanda.
Islanda: un modello silenzioso, senza trasmissione televisiva
Islandia: un modelo silencioso, sin televisación…
DI DEENA STRYKER
Insurgente
Si deve guardare all’Islanda. Rifiutare di sottomettersi agli interessi
stranieri: è l’esempio di un piccolo paese che ha chiaramente indicato
che il popolo è sovrano.
Un programma radiofonico
italiano parlando della rivoluzione in corso in Islanda ha detto che
era un esempio impressionante di quanto poco i nostri media ci raccontano
del resto del mondo.
Gli americani potrebbero ricordare che all’inizio della crisi finanziaria
del 2008, l’Islanda si dichiarò letteralmente in bancarotta. Le ragioni
sono menzionate solo superficialmente e da allora questo poco conosciuto
membro dell’Unione europea è ricaduto nel dimenticatoio. Come i paesi
europei cadono uno dopo l’altro, mettendo in pericolo l’euro, con ripercussioni
per tutto il mondo, l’ultima cosa che le autorità vogliono è che l’Islanda
si converta in un esempio.
Ecco perché: cinque anni di un regime puramente neoliberista hanno
fatto dell’Islanda (popolazione di 320.000 persone senza esercito),
uno dei paesi più ricchi del mondo. Nel 2003 tutte le banche del paese
sono state privatizzate, nel tentativo di attirare gli investimenti
stranieri, offrendo prestiti on-line, che avendo costi minimi
permettevano di offrire tassi di rendimento relativamente alti.
I conti, chiamati “Icesave“,
attrassero molti piccoli investitori inglesi e olandesi. Però, mentre
gli investimenti crescevano, cresceva anche il debito delle banche straniere.
Nel 2003 il debito dell’Islanda era pari a 200 volte il suo PIL, ma
nel 2007 raggiunse il 900 per cento.
La crisi finanziaria
globale del 2008 è stata il colpo di grazia. Le tre principali
banche islandesi, Landbanki, Kapthing e Glitnir, andarono in bancarotta
e furono nazionalizzate, mentre la corona islandese perse l’85% del
suo valore nei confronti dell’euro. Alla fine dell’anno l’Islanda
dichiarò bancarotta.
Contrariamente a quanto
ci si potrebbe aspettare, la crisi portò al recupero dei diritti sovrani
degli islandesi, attraverso un processo partecipativo di democrazia
diretta che alla fine ha portato a una nuova costituzione. Ma solo dopo
molta pena.
Geir Haarde, Primo
Ministro di un governo di coalizione socialdemocratica, negoziò 2,100
miliardi di dollari in prestiti, ai quali i paesi nordici aggiunsero
altri 2,5 miliardi. Tuttavia, la comunità finanziaria internazionale
richiedeva all’Islanda di imporre misure drastiche. Il FMI e l’Unione
europea volevano prendere in consegna il suo debito, dicendo che era
l’unico modo per il paese di pagare il debito ai Paesi Bassi e Regno
Unito, che avevano promesso di rimborsare i propri cittadini.
Le proteste e le rivolte
continuarono e alla fine hanno il governo dovette dimettersi. Le elezioni
si anticiparono ad aprile 2009, dando luogo ad una coalizione di sinistra
che condannò il sistema economico neoliberista, ma che subito dopo
cedette allo stesso che richiedeva che l’Islanda pagasse un totale di
3.500.000 euro. Tutto ciò richiedeva che ogni cittadino islandese pagasse
100 euro al mese per quindici anni, all’interesse del 5,5%, per pagare
un debito del settore privato.Fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Ciò che è
successo dopo è stato straordinario. La convinzione che i cittadini
devono pagare per gli errori di un monopolio finanziario che impone
di pagare i debiti privati a tutta una nazione andò in frantumi, la
relazione tra i cittadini e le istituzioni politiche subì una trasformazione
e, alla fine, ha portato i dirigenti islandese sullo stesso piano degli
elettori.
Il Capo di Stato, Olafur
Ragnar Grimsson, si rifiutò di ratificare la legge che avrebbe
reso i cittadini dell’Islanda responsabili dei debiti bancari e accettò
l’appello al referendum.
Naturalmente la comunità
internazionale non fece altro che aumentare la pressione sull’Islanda.
Regno Unito e Paesi Bassi minacciarono di isolare il paese con terribili
rappresaglie. Quando gli islandesi si recarono alle urne, i banchieri
stranieri minacciarono di bloccare qualsiasi aiuto dal Fondo Monetario
Internazionale. Il governo britannico minacciò di congelare i risparmi
islandesi e i conti correnti. Come disse Grímsson: “Ci dissero
che se rifiutavamo le condizioni della comunità internazionale, saremmo
diventati la Cuba del Nord. Ma se avessimo accettato, saremmo diventati
la Haiti del nord “(Quante volte ho scritto che quando i cubani
vedono lo stato deplorevole dei loro vicini di casa, Haiti, si considerano
fortunati?)
Nel referendum del
marzo 2010, il 93% votò contro il rimborso del debito. Il FMI congelò
immediatamente i prestiti. Ma la rivoluzione (non trasmessa in TV negli
Stati Uniti) non si fece intimidire. Con il supporto di una cittadinanza
furiosa, il governo avviò indagini civili e penali sui responsabili
della crisi finanziaria. L’Interpol emise un mandato di arresto internazionale
per l’ex presidente di Kaupthing, Sigurdur Einarsson, e per altri banchieri
coinvolti che fuggirono dal paese.
Ma gli islandesi non
si fermarono qui: si decise di redigere una nuova costituzione che liberò
il paese dallo strapotere della finanza internazionale e dal denaro
virtuale. (Quella che era in vigore era stata scritta nel momento in
cui l’Islanda ottenne l’indipendenza dalla Danimarca nel 1918, l’unica
differenza con la costituzione danese era che la parola “Presidente”
fu sostituita da “Re”).
Per scrivere la nuova
costituzione, il popolo islandese elesse 25 cittadini scelti tra 522
adulti che non appartenevano ad alcun partito politico, ma che erano
raccomandati da almeno trenta cittadini. Questo documento non è stato
il lavoro di un manipolo di politici, ma è stato scritto su Internet.
Le riunioni della Costituente furono trasmesse on-line, i cittadini
potevano presentare le loro osservazioni e suggerimenti, aiutando il
documento a prendere forma. La Costituzione, che deriva da questo processo
di partecipazione democratica, verrà presentata al Parlamento per l’approvazione
dopo le prossime elezioni. Alcuni lettori ricorderanno il collasso agrario
dell’Islanda del IX secolo che fu illustrato nel libro di Jared Diamond
“Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere“. Oggigiorno,
questo paese si sta riprendendo dal suo collasso finanziario in una
forma del tutto contraria ai criteri che generalmente si consideravano
inevitabili, come ha ieri confermato il nuovo direttore del FMI, Christine
Lagarde, a Fareed Zakaria. Al popolo greco hanno detto che la privatizzazione
del settore pubblico è l’unica soluzione. E i cittadini italiani, spagnolo
e portoghesi affrontano la stessa minaccia.
Si deve guardare all’Islanda.
Rifiutare di sottomettersi agli interessi stranieri: è l’esempio
di un piccolo paese che ha indicato chiaramente che il popolo è
sovrano.
Ed è per questo
che non appare nelle notizie.
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Fonte http://www.atilioboron.com/2011/08/islandia-elegir-entre-ser-cuba-o-ser.html
31.08.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di VINCENZO LAPORTA