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La Redazione

 

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IL VERO SCOPO DEL MASSACRO DI GAZA

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A cura di Davide
Il 3 Gennaio 2009
34 Views

DI JONATHAN COOK
Globalresearch

Hamas non può essere sconfitto e quindi deve essere messo in ginocchio

Sin da quando Hamas ha trionfato nelle elezioni palestinesi di quasi tre anni fa, le voci che circolavano in Israele sostenevano che era imminente un’invasione di terra totale della Striscia di Gaza. Ma anche quando l’opinione pubblica era pronta per un attacco decisivo contro Hamas, il governo ha fatto marcia indietro all’idea di un assalto frontale.

Ora il mondo attende che Ehud Barak, il ministro della Difesa, invii i carri armati e i soldati perché la logica di questa operazione sta spingendo inesorabilmente verso una guerra di terra. Tuttavia, i funzionari hanno preso tempo. Notevoli forze di terra sono ammassate sul confine con Gaza, ma in Israele si parla ancora di “strategie di uscita”, tregue e rinnovi del cessate il fuoco.

Anche se i carri armati israeliani si muoveranno con gran fracasso nei territori, avranno il coraggio di muoversi nel vero campo di battaglia del centro di Gaza? Oppure verranno usati semplicemente, come è stato in passato, per terrorizzare la popolazione civile delle periferie?
Gli israeliani sono consapevoli del motivo ufficiale del riserbo di Barak di far seguire ai bombardamenti aerei un attacco di terra totale. E’ stato loro ricordato innumerevoli volte che le peggiori perdite subite dall’esercito nel corso della seconda intifada avvennero nel 2002 durante l’invasione del campo profughi di Jenin.

Gaza, come gli israeliani sanno benissimo, è un campo profughi gigantesco. I suoi stretti vicoli, impossibili da attraversare per i carri armati Merkava, obbligheranno i soldati israeliani a combattere in campo aperto. Gaza, nell’immaginario israeliano, è una trappola mortale.

In modo analogo, nessuno ha dimenticato il pesante dazio pagato dai soldati israeliani durante la guerra di terra con Hezbollah nel 2006. In un paese come Israele, con un esercito cittadino, l’opinione pubblica è diventata indubbiamente ossessionata da una guerra nella quale buona parte dei propri figli verrà messa in prima linea.

Quella paura viene solamente aumentata dalle notizie diffuse dai media israeliani che Hamas sta pregando per avere la possibilità di coinvolgere l’esercito di Israele in un pericoloso combattimento. La decisione di sacrificare numerosi soldati a Gaza non è quella che Barak, leader del Partito Laburista, prenderà così alla leggera, con le elezioni tra sei settimane.

Ma c’è un altro problema che gli sta dando eguale motivo di esitazione.

Nonostante la retorica popolare in Israele, nessun alto funzionario crede realmente che Hamas possa essere sconfitto, sia dal cielo o con battaglioni di soldati. Hamas è semplicemente troppo radicato a Gaza.

Questa conclusione è stata riconosciuta nelle fiacche giustificazioni offerte finora per le operazioni di Israele. “Ristabilire la calma nel sud del paese” e “cambiare l’ambiente di sicurezza” sono stati preferiti alle precedenti dichiarazioni, come “estirpare l’infrastruttura del terrore”.

Un’invasione il cui vero scopo sarebbe il rovesciamento di Hamas richiederebbe, come si rendono conto Barak e i suoi funzionari, una rioccupazione militare permanente di Gaza.
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Ma uno stravolgimento del disimpegno da Gaza – partorito nel 2005 dalla mente di Ariel Sharon, all’epoca primo ministro – comporterebbe un enorme impegno militare e finanziario da parte di Israele. Ancora una volta occorrerebbe assumersi la responsabilità degli aiuti alla popolazione locale, e l’esercito sarebbe obbligato a svolgere pericolose operazione di vigilanza negli accampamenti di Gaza.

In effetti, un’invasione di Gaza per spodestare Hamas rappresenterebbe un’inversione di tendenza nella politica di Israele dagli accordi di Oslo dell’inizio degli anni ’90.

Fu allora che Israele consentì al leader palestinese da tempo in esilio, Yasser Arafat, di ritornare nei territori occupati nel nuovo ruolo di capo dell’Autorità Palestinese. Ingenuamente, Arafat pensava di guidare un governo ombra ma, in verità, diventò il più importante mercenario di Israele.

Arafat fu tollerato nel corso degli anni ’90 perché fece ben poco per fermare l’effettiva annessione di vaste zone della Cisgiordania da parte di Israele, attraverso la rapida espansione degli insediamenti e l’imposizione ai palestinesi di rigide limitazioni sugli spostamenti. Piuttosto Arafat si concentrò nel potenziamento delle forze di sicurezza dei suoi lealisti Fatah, contenendo Hamas e preparando una condizione di Stato che non arrivò mai.

Quando scoppiò la seconda intifada, Arafat dimostrò di non servire più ad Israele e la sua Autorità Palestinese fu via via indebolita.

Dalla morte di Arafat e dal suo disimpegno da Gaza, Israele ha cercato di consolidare la separazione fisica della Striscia dalla molto più ambita Cisgiordania. Anche se in origine non era tra le aspirazioni di Israele, il controllo di Hamas su Gaza ha contribuito in modo significativo a quello scopo.

Israele ora è fronteggiato da due movimenti nazionali palestinesi. Il primo è Fatah, di stanza in Cisgiordania e guidato da un presidente debole, Mahmoud Abbas, ed è ampiamente screditato e sottomesso. L’altro, Hamas, di stanza a Gaza, si è guadagnato sempre maggiore fiducia perché sostiene di essere il vero guardiano della resistenza all’occupazione.

Incapace di distruggere Hamas, Israele ora sta considerando l’idea di vivere a fianco del gruppo armato.

Hamas ha dimostrato di poter imporre il suo predominio su Gaza come fece una volta Arafat su entrambi i territori occupati. Il problema in discussione nel governo israeliano e nella stanza dei bottoni della guerra è se, come Arafat, Hamas può essere colluso con l’occupazione. Si è dimostrato forte, ma può rendersi utile anche ad Israele?

In pratica, questo significherebbe la sottomissione di Hamas piuttosto che il suo annientamento. Mentre Israele sta cercando di potenziare Fatah in Cisgiordania offrendogli una carota, sta utilizzando l’attuale massacro di Gaza come un grosso bastone con cui sottomettere Hamas.

L’obiettivo ultimo è un’altra tregua che fermi il lancio di razzi al di fuori della Striscia, come il cessate il fuoco di sei mesi che è appena terminato, ma a condizioni ancor più favorevoli ad Israele.

Il blocco selvaggio che per molti mesi ha privato la popolazione di Gaza di beni essenziali ha fallito il suo scopo. Piuttosto, Hamas si è rapidamente interessato ai tunnel per il contrabbando che sono diventati un’ancora di salvezza per gli abitanti. I tunnel hanno aumentato, in egual misura, le finanze e la popolarità di Hamas.

Non dovrebbe costituire una sorpresa il fatto che Israele non si sia nemmeno preoccupato di colpire la leadership di Hamas o la sua ala militare. Invece ha bombardato i tunnel, il forziere di Hamas, e ha ucciso un numero considerevole di poliziotti, i garanti della legge e dell’ordine a Gaza. Le ultime voci indicano che Israele sta ora progettando di estendere i bombardamenti aerei alle organizzazione di assistenza di Hamas, gli enti benefici che sono la base della sua popolarità.

La campagna aerea sta intaccando la possibilità di Hamas di ricoprire realmente il ruolo di governante di Gaza. Stanno indebolendo le basi del potere politico di Hamas. La lezione non è che Hamas può essere distrutto militarmente ma che può essere indebolito in patria.

A quanto pare Israele spera di convincere la leadership di Hamas, come ha fatto per diverso tempo con Arafat, che i suoi interessi più importanti saranno raggiunti collaborando con Israele. Il messaggio è: lasciate perdere il vostro mandato popolare di resistere all’occupazione e concentratevi invece sul rimanere al potere con il nostro aiuto.

Nelle nebbie di guerra, gli eventi potrebbero ancora intensificarsi a tal punto che una pericolosa invasione di terra non potrà essere evitata, specialmente se Hamas continuerà a sparare razzi su Israele. Ma qualunque cosa accada, è quasi certo che alla fine Israele e Hamas diranno di sì ad un altro cessate il fuoco.

Il problema sarà se nel farlo Hamas, come Arafat in precedenza, perderà di vista il suo compito principale, quello di obbligare Israele a porre fine alla sua occupazione.

Jonathan Cook è uno scrittore e giornalista e vive a Nazareth, in Israele. Il suo ultimo libro è “Disappearing Palestine: Israel’s Experiments in Human Despair” (Zed Books). Il suo sito web è www.jkcook.net

Fonte: http://globalresearch.ca/
Link: http://globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=11568
1.01.2009

Scelto e Tradotto da JJULES per www.comedonchisciotte.org

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