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La Redazione

 

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IL GRANDE TRUCCO

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A cura di Davide
Il 6 Marzo 2014
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DI HS
comedonchisciotte.org

La grancassa batte là dove il dente duole: da qualche giorno a questa parte si celebra l’Oscar a “La grande bellezza” come un tangibile segno del Rinascimento italiano mentre un paese in disfacimento vede pian piano decadere e sgretolarsi le sue autentiche bellezze paesaggistiche e monumentali. Dopo anni di magra – dall’ultimo guizzo “benignesco” de “La vita è bella” – era inevitabile che trombe e tromboni e il consueto e liturgico coro pomposamente “patriottico” risuonassero in un turbinio di elogi e dichiarazioni altisonanti che danno la misura della cifra grottesca raggiunta dall’Italia. Anche per evitare il senso del ridicolo ci sottrarremo all’obbligo di celebrare la truppa degli italici eroi comandati dal fiero Sorrentino, ma non per questo saremo tanto accanitamente cinici da evitare di riconoscere gli indubbi meriti e pregi di una pellicola che – nel bene e nel male – si presta a fornire un’interpretazione tragica e disperante dei tempi attuali – Ah ! Mala tempora… -.

Perché a nostro parziale e capzioso parere “La grande bellezza” non è un capolavoro, ma indubbiamente un bel film per la grande abilità del suo autore nel saper creare con ingegno e immaginazione quadri e quadretti che colpiscono direttamente lo spettatore e fanno la gioia dei suoi occhi. Non si può non riconoscere a Sorrentino – sicuramente il maggior talento registico italiano e uno dei migliori in assoluto sulla piazza – una rara inventiva nel far muovere vertiginosamente la MDP, nell’alternare primi piani espressivi e “panoramiche”, nell’aver confezionato l’opera con una fotografia che – quella sì – avrebbe meritato un’incetta di premi.

Regista tecnicamente ineccepibile e con una bella vis immaginifica, Paolo Sorrentino è soprattutto il più grande mago che esista al mondo, perché sotto l’involucro ricco di ghiottonerie cela un’anima superficiale e, forse, imbelle. Accompagna lo spettatore – mano nella mano – accanto al protagonista nella sua Odissea smarrita percorrendo il dedalo di bellezze spesso nascoste e poco note della capitale facendogli perdere la bussola e il filo della narrazione. Per questo, nella sua essenza, a nostro parere “La grande bellezza” sta soprattutto nel “Grande Trucco” concertato con i suoi “complici” per irretire il pubblico. Il trucco c’è… e, neanche tanto fra le righe, viene dichiarato dall’autore per bocca del protagonista interpretato dal sempre ottimo Toni Servillo, degno attore feticcio del blasonato regista campano.

Personalmente ho visionato la pellicola due volte – una al cinema e una qualche giorno fa in televisione – per cercare di formarmi un’interpretazione quanto più possibile scevra e monda da pregiudizi. Le dolenti note del presunto “capolavoro” emergono nella costruzione drammaturgica e nel contenuto “ideologico” che vi sono sottesi…

Malgrado i funambolismi e le ardite e sofisticate soluzioni tecniche e creative la struttura diegetica e narrativa della pellicola è molto più semplice di quanto si possa immaginare a una superficiale visione. Al centro costante del racconto un indolente animatore di feste e party della capitale e scrittore di un solo, celebrato romanzo di successo, Jep Gambardella, che al compimento del 65° anno di età si ritrova a fare i conti con il peso incombente della morte, dell’immenso senso di vuoto e dei fallimenti umani. Quando gli verrà detto che il suo antico, giovanile e unico amore è deceduto, la crisi del nostro deflagra… Quanto avrebbe potuto essere diversa la sua vita ? Quali prospettive avrebbero potuto aprirsi al di là del vuoto ? Nel corso della narrazione – con un senso circolare, di avvitamento quasi vertiginoso – osserviamo Jep Gambardella alternativamente passeggiare distratto per i vicoli di Roma, rifugiarsi nel caldo abbraccio dei ricordi dell’amore giovanile e presenziare ai suoi opulenti e volgarissimi ricevimenti in cui il movimento frenetico di una certa fauna umana fa da contrappunto all’immobile eterna bellezza dell’Urbe. Quasi per ironia in un finale carico di cattivo gusto e di pura bruttezza, Gambardella elaborerà la scontata soluzione al suo dramma esistenziale… Per i pochi che non l’avessero ancora visto ci esimeremo da rivelare alcunché, tranne che l’approdo finale del protagonista viene accostato a una sorta di percorso “spirituale”, ma in una particolare ottica…

Ad onore del vero bisogna riconoscere che il regista e gli sceneggiatori hanno saputo trasmettere il senso del Nulla e della Fine in cui il protagonista si immerge e rischia di affogare, ma i problemi non mancano, perché semplicemente Jep Gambardella non è personaggio in cui, sia pure parzialmente, lo spettatore si possa riconoscere. E’ una costruzione “artificiosa”, romanzata, “letteraria” che è puro parto della mente degli autori. I suoi “moventi” psicologici, culturali, morali non si comprendono, non perché sia ineffabile e misterioso, ma semplicemente perché è “incongruente” e irrisolto. In poche parole: “non esiste.” Vediamo perché…

Da giovane Jep Gambardella è stato lo scrittore di talento che ha partorito un romanzo di successo e acclamato dalla critica, con un debole per i salotti delle signore dell’alta borghesia. L’impegno civile e sociale non sono mai stati il suo forte, ma, ad un certo punto della sua vita, la sua vena artistica, la sua anima e il suo cervello si “spengono”… Giunto nella capitale si mette in testa di diventare il “re dei mondani”, di essere il più grande animatore delle famose “terrazze” romane in cui i personaggi del jet set e i vip si scatenano nelle danze, assistono a bizzarri spettacoli, intrecciano amicizie e relazioni… Mettendo assieme i frammenti di pellicola lo spettatore più accorto si dovrebbe chiedere perché uno scrittore di successo e di talento – sia pure noto per le frequentazioni dei salotti che “contano” – dovrebbe sostanzialmente abbandonare le sue iniziali ambizioni letterarie e, grazie alla rendita guadagnata con lo sfruttamento dei diritti d’autore, rinchiudersi nella sua tana per trasformarsi in un rinomato animatore di festini. E’ dominato dall’indolenza e dalla pigrizia ? La sua vena artistica era di corto respiro ? L’iniziale delusione d’amore ha deprivato di senso la sua vita svuotandola di qualsiasi prospettiva culturalmente ed umanamente più elevata ? Nessuna risposta è veramente soddisfacente, perché Gambardella fa una precisa scelta di vita che segnerà i suoi successivi quarant’anni senza – immaginiamo noi – ripensamenti o particolari riflessioni. Possibile che solo l’incombere dell’ombra della Fine e il peso degli anni finiscano per renderlo consapevole del suo Vuoto interiore e di quello che locirconda ?

Il punto vero è che tutto contribuisce a svelare l’artificiosità e, quindi, l’inautenticità di un personaggio che, come Sorrentino, inganna e finisce per mentire pure a sé stesso… L’estrema e inspiegabile contraddizione emerge verso la fine del film quando Gambardella afferma di aver cercato la grande bellezza, mentre la sua vita lo smentisce clamorosamente…

La dimensione intima e privata di un personaggio “inesistente” è il costante leit motiv della pellicola fino ad assorbire tutto il resto. Tanto è vero che gli intimi di Gambardella – il suo personale “cerchio magico” formato dai pochi amici di antica data – non solo sono quasi coetanei, ma sono quasi tutti afflitti dallo stesso senso di ineluttabile fallimento. Insomma delle piccole copie minori del protagonista ma privi del suo “fascino” indolente e cerebrale e, soprattutto ritratti e ritrattini banali e scontati, qualcuno quasi irrilevante e macchiettistico… C’è la redattrice nana, ci sono le signore snob e in disfacimento dell’alta borghesia e dell’antica aristocrazia papalina, c’è l’innocuo puttaniere e c’è il provinciale pieno di ammirazione con ambizioni intellettuali ed artistiche… Quasi in simbiosi con il protagonista, hanno “spento” la loro anima e il loro cervello da quarant’anni per vivere delle loro rendite e per condurre un’esistenza nel lusso e nel vacuo divertimento. In questo caso è ancor più difficile trovare qualche motivo che permetta di riconoscersi nelle miserie “private” di questi soggetti. Non mancano le tragedie e i drammi, ma che sono vissuti nell’ambito di un microcosmo lontano e inafferrabile… Davvero le miserie delle terrazze romane appartengono anche un po’ al comune spettatore ? O anche in questo caso qualcuno “gioca” barando ? Alla fine dei conti l’unico vero personaggio autentico è quello della brava Sabrina Ferilli, una borgatara volgare e infantile ma sincera, in dolente attesa – lei sì – della morte. Nell’economia del racconto questa parte viene imperdonabilmente tagliata per riservare lo spazio della pellicola all’onnipresente ed invadente protagonista.

Va precisato che la prevalenza della dimensione privata ed intima – incarnata soprattutto dal personaggio di Toni Servillo – dovrebbe rispondere ad una precisa esigenza ed urgenza poetica del regista e degli sceneggiatori che finisce per investire gli aspetti collettivi e sociali pur ineludibilmente presenti. Si diceva, appunto, che, comunque, “La grande bellezza” ritrae quel microcosmo sociale della capitale che non si identifica con i suoi abitanti così come non è assimilabile alla società italiana “in toto”. E’ l’universo delle terrazze romane ove si incontrano le gran dame dell’aristocrazia “nera”, rampolli delle famiglie dell’alta borghesia, mediocri artisti, letterati ed intellettuali, showmen della televisione, cantanti, registi e attori di belle speranze, modelle e subrettine, aspiranti “qualcosa”, arruffoni, intrallazzatori, amici di questo e di quello, ecc… In questo caso Sorrentino non si è inventato nulla e dal cilindro del cinema e della commedia italiana molto era già stato fatto, detto e ritratto da altri grandi autori come Federico Fellini (“La dolce vita”) o Ettore Scola (“La terrazza”). Mi rammento come, nell’imminenza dell’uscita della pellicola, fossero in molti a rimarcare imprudentemente ed enfaticamente la presunta “cattiveria”con la quale venivano ritratti i discutibili frequentatori delle terrazze romane e, da questo versante, è arrivata la più grande e cocente delusione, questa sì perfettamente in linea con l’attuale stato culturale e morale della società italiane e di chi dovrebbe assumersi la responsabilità di riflettere e analizzare l’odierno stato di cose. Per la verità nelle sue dichiarazioni Paolo Sorrentino non si è avventurato in dichiarazioni ardite su un presunto carattere di “costume” del suo film, ricordando che si tratta sempre e solo di un “romanzo”, quindi di pura fiction. Il regista ha sempre ribadito la sua totale estraneità al “bel mondo” e, quindi, la conseguente impossibilità di descriverlo con una certa puntualità e precisione e, visionando “La grande bellezza” c’è da credergli, anche se il nostro è un gran mago che sa barare con abilità…

L’accento posto sul vissuto privato e sentimentale dei personaggi che popolano la pellicola rivela uno sguardo inguaribilmente benevolo e indulgente e, in definitiva, sostanzialmente assolutorio. In effetti la vera e grande assente – nonostante qualche slogan dal carattere meramente pubblicitario – è la “cattiveria”, perché la celebrata opera di Sorrentino presenta qualche piccola ed insignificante incursione nel grottesco, ma non graffia e non punge nemmeno… Le creature delle terrazze romane non sono “mostruose”, ma, al contrario, sono semplicemente patetiche, fallite, in definitiva innocue… Affogano l’infelicità e il senso di vuoto nelle feste, nelle danze e nel movimento, ma, a quanto pare, a Sorrentino preme a ribadire che il Potere non abita in quelle terrazze e che la gente che conta sta altrove. Lo stesso Gambardella conosce tutto e tutti nella capitale e saluta familiarmente Antonello Venditti e l’attrice francese Fanny Ardant, ma poi, nell’intimità, si rifugia con un pugno di amici di vecchia data per i quali il tempo sembra essersi fermato. Insomma viene suggerito che si tratta solamente di un ambiente di disgraziati e di “poveracci” che possono permettersi di sopravvivere grazie alle loro rendite e tuffarsi in una vacua vita mondana, ma che, in fondo, condividono con l’umanità “altra” tragedie e sofferenze. Tuttavia è credibile pensare che soggetti come Jep Gambardella non esercitino un livello anche minimo di influenza e che siano totalmente “innocenti” ?

Naturalmente la questione non è quella di ritrarre in maniera compiaciuta sordide miserie umane fatte di corruzione e di bassezza morale, ma, al contrario, evitare un approccio monodimensionale e monocorde per cui in questa lunga notte tutte le vacche sono inevitabilmente nere. In definitiva ci si sarebbe aspettati una maggiore complessità e una più grande varietà di sfumature – dal bianco al nero – sotto l’elegante involucro, invece l’approccio degli autori tradisce una certa visione “politica” ed “ideologica”, visibile soprattutto in due particolari sequenze…

Nella prima – ma non in ordine cronologico – l’insospettabile, elegante e silenzioso vicino di casa di Gambardella viene arrestato dagli uomini della DIA sotto i suoi increduli occhi. L’uomo – uno dei latitanti mafiosi più ricercati nel mondo – gli si rivolge sprezzantemente affermando solennemente che “mentre gli altri si divertivano, lui mandava avanti il paese.” E’ la battuta più dichiaratamente assolutoria del film: la miopia e l’assenza di una classe dirigente – evidentemente “incapace di intendere e di volere”– hanno permesso alle mafie di occupare e di “sgovernare” la capitale e l’Italia. Infatti non c’è un solo riferimento alla misura della corruzione e del vizio che albergano anche nelle terrazze romane e regna sovrana una frenesia che confina con l’infelicità. Ma tale rappresentazione rende veramente giustizia allo spettatore ? La mafia è totalmente estranea a certi salotti, party e festini ?

Nella seconda sequenza ritroviamo gli amici del “cerchio magico” di Gambardella discutere e condividere le proprie miserie umane. Stefania, la ricca amica “snob” cinquantenne con un presunto radioso passato fatto di impegno civile e sociale, rivendica il suo passato anche “letterario” – ha scritto undici romanzi impegnati !!! – mettendo altezzosamente in mostra la sua presunta “superiorità morale”. Opportunamente l’ironico Jep le sbatte in faccia tutta la sua mediocrità e le ricorda che le sue irrilevanti creature letterarie sono state pubblicate solo grazie alle “amicizie di letto” nel Partito. Infine chiosa che, quindi, dovrebbe essere dovere anche suo condividere con gli amici una vita disgraziata e umanamente da cancellare. In questo caso Sorrentino mette in bocca al protagonista un pistolotto ormai scontato, anacronistico e fuori tempo senza avere neanche il coraggio di nominare un partito che, in quella forma, è ormai scomparso da tempo. Un altro indizio tangibile che per gli evidentemente “senili” personaggi de “La grande bellezza” il tempo si è fermato da trenta – quarant’anni ? Indubbiamente c’è stato un tempo in cui la buona borghesia dei ceti intellettuali, che frequentava e corteggiava assiduamente il Partito Comunista, animava i salotti buoni della capitale e non. In ossequio alla concezione gramsciana di egemonia culturale, il Partito accettava e ringraziava… Però, curiosamente, in una pellicola che non si fa mancare niente – neanche cardinali e santi – i politici – se mai potremo etichettarli con tale sostantivo – sono irrimediabilmente assenti. Naturalmente non intendiamo riferirci ai paludati e “dimessi” politici di partito degli anni Settanta, ma a quelli “cafoni”, sgangherati e volgari del presente… Vien da chiedersi il perché di questa “mancanza”. Distrazione ? Calcolo ? Esigenze di “bottega” ? Eppure sono gli autori ad introdurre di soppiatto e per vie traverse alcuni argomenti “politici”… Un tentativo di compiacere qualcuno ? A chi abbia un minimo di conoscenza degli ambienti e degli elementi che girano e gravitano nell’universo delle feste e dei festini romani di ogni sorta, saprà riconoscere che, invece, la presenza politica è piuttosto nutrita e questo lampante dato di fatto rende l’idea di quanto sia falsato e irreale il quadro “umano” ritratto da Sorrentino. Non sorprende, allora, che Mediaset – e, quindi, la Medusa, casa produttrice de “La grande bellezza” – si sia affrettata a rivendicare la compartecipazione all’Oscar per il miglior film straniero vinto da Sorrentino… Per una pellicola che frutta e frutterà incassi colossali… Il “berlusconismo” diffuso – non meramente confinato nel recinto dell’ormai ex Cavaliere – ha fatto breccia e ha cancellato il tempo e la storia per la gioia di grandi e piccini. La poetica assolutoria e “indulgente” che percorre “La grande bellezza” non può non essere gradita alle alte sfere…

Dobbiamo essere comprensivi e perdonare – in senso lato, si intende ! – Paolo Sorrentino, perché, in un certo senso artisti, poeti, scrittori e registi creano e realizzano “mentendo” agli altri e, soprattutto, a loro stessi…

Intanto, però, noi ci perdiamo nei dedali del Grande Trucco…

HS

Fonte: www.comedonchisciotte.org

6.03.2014

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