di Raniero Mercuri
Nuova York. Cinquantasette anni fa, o poco più. Il 17 aprile del ’67 l’italianissimo pugile d’Istria Giovanni Benvenuti, per tutti “Nino”, per noi “Nino”, trionfa al mitico Madison Square Garden contro l’americano Emile Griffith, campione in carica e idolo di casa. È campione del mondo dei pesi medi e la gioia da noi è immensa. È notte fonda in Italia e la Rai decide di non trasmettere la gara in diretta. E allora? Tutti incollati alla radio, al tempo amatissima narratrice a braccetto con la fantasia. Seguono l’incontro in quasi diciotto milioni, record assoluto di ascolti, eguagliato soltanto da ItaliaGermaniaquattroatre di calcio, semifinale mondiale 1970.
Nuova York. L’ 8 settembre 2024 l’italianissimo tennista di San Candido Jannik Sinner, per noi tutti Jannik Sinner, si giocherà a Flushing Meadows la prima storica vittoria di un italiano agli US Open, uno dei quattro mitici Slam (dal 1978) del mondo del tennis. E lo farà contro un americano, quindi idolo di casa, Taylor Fritz.
Sarà che gli abbiamo voluto subito bene a questo ragazzo dai capelli rossi e dalla carnagione chiarissima, riservato e ponderato, deciso e netto. Gli vogliamo bene perché rifiutò di partecipare come ospite a quella carnevalata di falso moralismo che è diventato il Festival di Sanremo, perché odia i social («i social non mi piacciono, non è lì la verità. Ai ragazzi dico di stare attenti.»). Perché, in quest’epoca di oscurantismo liberticida, non ha avuto paura né remore a fidanzarsi con Anna Kalinskaja, tennista russa e fiera di esserlo, che non ha voluto saperne di rinnegare il suo Paese per partecipare alle Olimpiadi di Parigi senza bandiera. E Jannik le è stato accanto, fedelmente. Ha dato in pasto ai media la bufala della tonsillite e non si è presentato ai Giochi. Certo, sarebbe stato bellissimo vederlo in campo ma lui ha detto no. Coerente a se stesso e a chi ha accanto. Non è stato così incolpevole complice di quella cerimonia d’apertura satanista.
Poi, hanno provato a sporcarlo un po’ con la storiella del doping ma non ci sono riusciti. Noi di certo, che ricordiamo ancora con il lutto al cuore il massacro mediatico a Marco Pantani, non ci siamo cascati.
Così domani sera, come fu per Nino, sogneremo ancora una volta di sconfiggere gli americani a casa loro. Ne saremo orgogliosi ed entusiasti. Grazie allo sport ci sentiremo ancora padroni di noi stessi.
Poi, mestamente, torneremo al ruolo di colonia, vittima come gran parte del mondo della violenza a stelle e strisce.
Per una notte però, ritireremo fuori le impolverate radioline dei nostri padri e sogneremo di essere ancora lì, a Nuova York. Dove un italiano vince e un americano perde.
Di Raniero Mercuri
07.09.2024
Raniero Mercuri. Docente e giornalista.