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La Redazione

 

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FACCIAMO COME LA GRAN BRETAGNA, DISSE L'ITALOPITECO

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A cura di Davide
Il 25 Giugno 2016
252 Views
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DI PAOLO CARDENA’

vincitorievinti.com

Alla luce del risultato del referendum in Gran Bretagna (per l’analisi del qual quale, considerando le profonde implicazioni, mi riservo qualche ora di ulteriore ragionamento prima di produrre un post più articolato), non poteva mancare l’Italopiteco che chiama il referendum anche in Italia.
Semplicemente impossibile. Scordatevelo. Pensatene un’altra.
Ieri, proprio mentre si votava in Gran Bretagna, l’indice FTSE 100 della borsa di Londra era sui massimi da novembre, come se nulla fosse, salvo poi precipitare oggi alle luce del risultato.

In Italia, questa calma (apparente) sarebbe impossibile, per il semplice motivo che il nostro paese non è la Gran Bretagna e non ha la sterlina, ma l’euro, ossia la moneta contro la quale il referendum verrebbe indetto.

Se venisse indetto un analogo referendum in italia (è evidente che il referendum sarebbe contro l’euro), già fin dalla decisione della data (cioè molti mesi prima), i mercati venderebbero debito italiano (e non solo) facendo schizzare lo spread e il costo del debito.
Come già scritto più volte in questo sito, nessun investitore sano di mente si sognerebbe mai di investire nel debito di un paese che, dalla sera alla mattina, potrebbe essere ridenominato in una valuta che incorporerebbe un valore inferiore rispetto a quello della valuta originaria. Quindi, perché rischiare? si chiederebbero gli investitori. E con un semplice clic sul pc dall’altra parte del mondo, venderebbero tutto il debito pubblico italiano (e non solo debito pubblico) che hanno in portafoglio e abbandonerebbero l’Italia.
Accadrebbe che l’Italia, che deve rinnovare ogni anno circa 400 miliardi di euro di titoli di stato, non avrebbe più investitori disposti ad acquistare titoli di stato; quindi farebbe default nel giro di qualche mese, ad essere ottimisti. Il che porterebbe a rilevanti conseguenze sociali, economiche, con riflessi sulla stabilità finanziari e sull’ordine pubblico. Insomma non esisterebbe nemmeno una serenità sociale necessaria per garantire il corretto svolgimento del referendum
Tenuto conto che che le banche italiane hanno in portafogli oltre 400 mld di titoli di stato, le vendite del debito italiano da parte degli investitori esteri metterebbero sotto pressione tutto il mercato obbligazionario, e i titoli di stato perderebbero di valore. Tutto ciò si rifletterebbe sui bilanci delle fragili banche italiane, aggravando in modo esponenziale una situazione già di per sé complessa.
Giova appena ricordare che la crisi dello spread del 2011, iniziò con la Deutsche Bank che vendette appena una decina di miliardi di titoli di stato, a cui seguirono vendite più massicce da parte di altri investitori istituzionali esteri.
In questa ipotesi (cioè nel caso di referendum) i multipli sarebbero assai superiori, e per un lasso temporale molto lungo, visto che per preparare un referendum occorrono dei tempi abbastanza dilatati. Durante il periodo di “gestazione” del referendum, il debito italiano sarebbe esposto a livelli crescenti di stress anche in ragione ai risultati dei sondaggi referendari. In questo lasso di tempo (assai lungo), l’Italia, essendo ancora nell’euro, non potrebbe neanche contare su una banca centrale nazionale idonea ad acquistare debito, sostituendosi così agli investitori esteri (cosa che invece potrebbe fare e magari farà la Bank of England).

Paolo Cardenà
24.06.2016
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