DI ROSANNA SPADINI
comedonchisciotte.org
Fine dell’empatia comunicativa e inizio della distopia sociale, indotta ad arte dalla meraviglia multimediale dei visual network. Il 1989 è un anno di svolta, è l’anno in cui la società dello spettacolo diventa schiava di se stessa, in cui lo spettacolo viene trasformato in strumento di disperazione e di morte e si rompe quel patto millenario dell’illusione scenica utilizzato fino a quel momento per la promozione culturale della società, ridotta ora a semplice scenografia teatrale. Un teatro che rinnega se stesso, un teatro che uccide.
Il senso dell’incertezza della “società liquida” lo si riconosce anche nell’esercizio ossessivo della “navigazione in rete”, dove ci si connette immediatamente con gli altri, ma in realtà con altrettanta facilità ci si disconnette, smantellando con un canc i legami interpersonali che ci disturbano.
Navigazione rischiosa e temeraria, in cui viene consentito all’individuo di essere in un altrove extraterritoriale e slegato dallo spazio fisico del suo corpo e dal tempo della sua coscienza. Lo dice anche Giorgio Agamben, illustre filosofo italiano, che ha sintetizzato in modo magistrale la vicenda di Timisoara e del “falso genocidio” che la polizia di Ceausescu avrebbe provocato appunto nel 1989, anno in cui si manifesta la nascita delle notizie/spettacolo, funzionali al sostegno delle guerre moderne.
Venne allestito una sorte di set cinematografico dell’orrore, per criminalizzare Ceausescu:
«Per la prima volta nella storia dell’umanità, dei cadaveri appena sepolti o allineati sui tavoli delle morgues [degli obitori] sono stati dissepolti in fretta e torturati per simulare davanti alle telecamere il genocidio che doveva legittimare il nuovo regime. Ciò che tutto il mondo vedeva in diretta come la verità vera sugli schermi televisivi, era l’assoluta non-verità; e, benché la falsificazione fosse a tratti evidente, essa era tuttavia autentificata come vera dal sistema mondiale dei media, perché fosse chiaro che il vero non era ormai che un momento del movimento necessario del falso. Così verità e falsità diventavano indiscernibili e lo spettacolo si legittimava unicamente mediante lo spettacolo. Timisoara è, in questo senso, l’Auschwitz della società dello spettacolo: e come è stato detto che, dopo Auschwitz, è impossibile scrivere e pensare come prima, così, dopo Timisoara, non sarà più possibile guardare uno schermo televisivo nello stesso modo» (Agamben 1996).
Nei mesi successivi si accertò che le notizie non provate dei giorni precedenti andavano drasticamente ridimensionate, che le foto dei cadaveri erano un “falso giornalistico” e che non c’erano state fosse comuni, i giornali rettificarono e la vicenda fu presto archiviata di fronte ai grandi eventi che si prospettavano: il collasso dell’URSS, la Prima Guerra del Golfo, ecc …
La guerra moderna dunque “sola igiene” del mondo, viene anticipata da eventi traumatici sapientemente orchestrati dal regime e funzionali agli step successivi, con la produzione del falso giornalistico, per suscitare attraverso il terrorismo mediatico l’indignazione della gente e poi di conseguenza l’attacco aereo e il massacro dei civili. Così è avvenuto anche nel 1991 durante la prima guerra del Golfo, sostenuta anch’essa dalle solite denunce false: un’agenzia pubblicitaria denunciava il fatto che i soldati irakeni “tagliavano le orecchie” ai kuwaitiani che resistevano, poi che gli invasori avevano fatto irruzione in un ospedale “rimuovendo 312 neonati dalle loro incubatrici e lasciandoli morire sul freddo pavimento dell’ospedale di Kuwait City.”
Il linguaggio dell’immagine diventa il luogo politico per eccellenza, il luogo del conflitto estremo, oggetto di una contesa e di una manipolazione senza precedenti, dove il rapporto tra la scenografia e la sfera dei mezzi puri o dei gesti cognitivi si emancipa dalla sua relazione ad un fine. Il video/teatro o la notizia/spettacolo perdono ogni tipo di senso didascalico, per dotarsi delle categorie della guerra, che prima di essere morte fisica segneranno la morte ontologica del teatro, così come è stato inteso da millenni. Il teatro muore nel momento in cui uccide la realtà: viene così realizzato il delitto perfetto !
Infatti nel 1991 gli psicopatici della CIA organizzarono una psywar (psychological warfare) per demonizzare Saddam Hussein agli occhi del suo stesso popolo e facilitare così l’attacco. Avrebbero dovuto diffondere in Iraq un video in cui veniva mostrato il dittatore iracheno mentre faceva sesso con un ragazzo, naturalmente ripreso da una telecamera nascosta, come se si trattasse di una registrazione clandestina. Il video venne effettivamente girato, con un sosia di Saddam e alcuni agenti della CIA camuffati da arabi. Poi il progetto venne bloccato, di fronte ad altre strategie di false flag.
Il 2 agosto 1990 la 1° guerra del Golfo inizia prima sui mass media, poi nella realtà, con il simbolico conflitto tra Bush e Saddam Hussein avvenuto attraverso i canali della comunicazione, in cui entrambi si scambiavano minacce e sfide, appelli rivolti all’estero in nome del diritto internazionale o dei comuni valori religiosi e culturali del mondo arabo. La radio funzionò anche come strumento di spywar, la “Voice of America” tentò di minare il morale dei soldati iracheni dando notizia di un avvelenamento dell’acqua dei pozzi del deserto.
Sul fronte interno venne applicata una strategia di news management sui media americani (e di riflesso su quelli mondiali), prima per ottenere l’approvazione dell’ONU all’intervento armato, poi per il consenso interno alla guerra. L’amministrazione Bush diffonde il dato della presenza di 250.000 soldati iracheni e 1.500 carri armati in Kuwait (ma i satelliti sovietici non li vedono).
Intanto il governo kuwaitiano in esilio si affida alla maggiore agenzia americana di pubbliche relazioni, la “Hill & Knowlton”, che cerca di influenzare l’opinione pubblica utilizzando tecniche di marketing commerciale, demonizzando Saddam Hussein con l’accostamento rispetto ad Hitler, che si rivelerà una delle strategie vincenti per la mobilitazione dell’opinione pubblica contro l’Iraq.
Prova della malvagità irachena è anche la testimonianza portata da una ragazza quindicenne kuwaitiana a Washington davanti alla Commissione Difesa, dice infatti che i soldati iracheni staccavano la corrente elettrica alle incubatrici degli ospedali, per fare morire i neonati kuwaitiani. Questa testimonianza si rivelerà un falso, la ragazza era in realtà la figlia dell’ambasciatore kuwaitiano all’ONU e aveva recitato un copione preparato dalla “Hill & Knowlton”.
In questo senso quella del Golfo è stata la prima guerra televisiva, perché ha sfruttato pienamente le possibilità del mezzo televisivo di essere sul campo, confezionare e vendere la guerra, a differenza del Vietnam, quando politici e militari non avevano capito come il nuovo media avrebbe potuto controllare il messaggio e distruggere un nemico appartenente al terzo mondo, e perciò senza voce. Da allora la leadership politica sembra avere appreso la lezione.
L’atto finale della guerra del Golfo trasmesso dalla televisione è la calata dei soldati americani da un elicottero per riconquistare l’ambasciata di Kuwait City. Di fronte a questa scena spettacolare, nessuno pone la domanda dell’utilità dell’azione (visto che la capitale era già libera da due giorni). Per evitare le pericolose interferenze dei giornalisti e dell’opinione pubblica il comando militare si serve dei due strumenti tradizionalmente a sua disposizione: la censura e la produzione di un flusso alternativo di notizie.
Tutti i corrispondenti accreditati presso il JIB (Joint Information Bureau) a Dhahran, (in Arabia, la sede del comando delle forze alleate), sono obbligati a firmare un documento in cui si impegnano a rispettare determinate condizioni, pena il ritiro dell’accredito. È proibito loro di andare al fronte senza una scorta militare, di fotografare o filmare morti e feriti, di dare informazioni su armamenti, equipaggiamento, spostamenti e consistenza numerica delle unità alleate e sulla consistenza dell’armamento nemico, di descrivere nei particolari le operazioni militari, di fornire dati sulle perdite alleate, di nominare le basi di partenza delle missioni, di intervistare i militari senza il preventivo permesso ufficiale.
Questo controllo quasi totale della censura militare è amplificato dalla nuova natura della guerra, guerra aerea, condotta con aerei e droni, che esclude la presenza fisica del giornalista. La guerra del Golfo è così oscurata per le cronache dell’informazione vera e propria, ma alla censura si riuscirà ad unire un’apparente ricchezza informativa, ottenuta dal news management militare. Il comando militare delle forze multinazionali tiene briefings quotidiani in cui si forniscono dati, numeri, analisi delle azioni del giorno e soprattutto le immagini della guerra aerea, computerizzate o riprese da cineoperatori militari, e quelle degli aviatori in partenza o di ritorno dalla missione.
Poi però una delle immagini più famose, simbolo della guerra, quella del cormorano che agonizza nel petrolio a causa dell’incendio dei pozzi kuwaitiani, ha destato forti dubbi. Com’era stato possibile filmare, se il territorio era in mano agli iracheni? Successivamente esperti ornitologi dissero che il cormorano non dimorerebbe nella regione in quel periodo dell’anno (Mirko Nozzi, Informazione e guerra).
Per arrivare ai giorni nostri in cui numerose false flag e spettacolarizzazioni della guerra moderna rimangono micidiali armi di distruzione di massa. Mentre viviamo da spettatori stavolta coinvolti sullo scenario di una terza guerra mondiale, negli ultimi mesi ci sono state somministrate diverse bufale mediatiche, che dovevano predisporre la demonizzazione del nemico e la giusta motivazione dell’intervento. Prima il “reality show” avvenuto a Kiev nel febbraio 2014 di cui si attribuiva la responsabilità ad un “sano desiderio di rivoluzione europeista”, poi il Boeing MH17 abbattuto si diceva dai separatisti, poi l’invasione delle truppe russe in territorio ucraino, invasione mai avvenuta.
E le false flag sono poi avvalorate dai soliti vampiri, assatanati di sangue umano. Infatti a Cernobbio, il 5 settembre, si è presentato il senatore dell’Arizona John McCain, che ha detto – “Dovremmo vergognarci per non aver aiutato l’Ucraina di fronte a una chiara e aperta invasione da parte della Russia di Putin, l’ex generale del Kgb che si sente investito di un destino storico. E non venite a dirmi che questa non e’ un’invasione vera e propria. L’Ucraina ha accettato il cessate il fuoco perché sta perdendo, perché non l’abbiamo aiutata a combattere contro un nemico più forte e agguerrito di lei”.. “Di fronte al grido di aiuto dell’Ucraina – ha detto ancora McCain – l’amministrazione Obama ha deciso di fornire agli ucraini giubbotti antiproiettili che non servono un granché contro i carrarmati e gli europei non hanno fatto assolutamente nulla”.
Dunque il senatore McCain, avvoltoio di carriera, sempre presente in scenari che preannunciano l’imminenza di una guerra, non dice la verità naturalmente, non dice che le “truppe naziste” di Kiev sono state finanziate da USA, foraggiate dalla NATO, con la complicità dell’UE, e che nonostante i poderosi sostegni militari, sono state sbaragliate dai separatisti, meno riforniti di armi ed equipaggiamenti. Il senatore McCain non dice che non c’è stata nessuna invasione della Russia, ma anzi è vero il contrario, il territorio russo è stato letteralmente circondato da basi missilistiche americane. Per di più gli Usa hanno costretto l’UE all’imposizione di sanzioni economiche alla Russia, assolutamente demenziali, che danneggeranno fortemente la sua economia, per le esportazione di alimentari e manufatti rispedite al mittente e mettendola a rischio di insufficienza di risorse energetiche nel prossimo inverno.
Insomma di episodi di video/stragismo ne abbiamo visti e sentiti tanti, da quel dannato 1989 in cui è iniziata l’”eutanasia del reale attraverso le immagini”. I regimi totalitari l’avevano già utilizzata per la propaganda politica di mietitura del consenso, ma mai in maniera così massiccia e spudorata, manipolando la realtà stessa per poi ucciderla in diretta. Ma un’altra novità degli ultimi tempi è che i più diretti avversari degli USA, Vladimir Putin e ISIS, si sono attrezzati alla grande per poter fronteggiare l’egemonia mediatica del mondo occidentale.
Ispirato dai media controllati dallo Stato del regime sovietico, anche il presidente Vladimir Putin sta facendo uno sforzo concertato per “rompere il monopolio anglo-sassone dei mass media” e per “illuminare all’estero le politiche statali” del Cremlino. A tal fine, sta investendo somme incredibili di denaro nei media russi. Per esempio la Russia sta attualmente espandendo la sua emittente estera RT (precedentemente noto come Russia Today ), e la News Agency Ruptly. Lanciata nel 2005, RT è attualmente disponibile in inglese, spagnolo e arabo, e viene posizionato come alternativa ai media internazionali occidentali, come la CNN e la BBC.
Il governo USA aveva bloccato alcune volte la diffusione del canale Russia Today sul territorio nordamericano, dato che l’emittente si è sempre distinta dai media controllati dalle corporation per la sua indipendenza da grandi finanziatori americani, e ha trattato i problemi di politica internazionale dando libertà di espressione a economisti e geopolitologi “fuori dal coro”.
Siamo nel bel mezzo di una guerra di propaganda mediatica spietata. RT è diventata uno strumento assolutamente necessario per la Russia, ai fini di gestione della politica estera, ed il Cremlino sta sfidando gli USA con una guerra di propaganda di altissima qualità, che continuamente smentisce il flusso di notizie yankee a senso unico.
RT si è già affermata con successo nei nove anni dalla sua creazione, ha recentemente superato anche la CNN quando si tratta di video visualizzati su YouTube. Con quasi 1,2 miliardi di vedute, la BBC è l’unico mezzo di comunicazione prima di RT. In Gran Bretagna, RT ha più spettatori rispetto al livello europeo di notizie Euronews e in alcune grandi città degli Stati Uniti, il canale è il più visto di tutte le emittenti straniere. La marcia trionfale del broadcaster di Putin è iniziata in una ex fabbrica nel nord-est di Mosca e il suo compito è stato fin da subito: “Rompere il monopolio dei mass media anglo-sassone”.
Secondo Peter Pomerantsev, produttore televisivo e saggista, Putin sta reinventando la guerra del XXI secolo, e la propaganda viene utilizzata come arma principale. La Russia starebbe conducendo una “guerra non lineare” in una strategia di “avant-garde”, basata sul presupposto che il conflitto nel mondo globalizzato di oggi è multidimensionale, e gli Stati-nazione non sono più schierati contro altri Stati-nazione.
Allo stesso modo, anche l’insurrezione dello Stato Islamico irakeno sta impiegando nuove sofisticate tecniche di propaganda. Nel suo sapiente utilizzo di mezzi di comunicazione diversi, il gruppo ISIS ha utilizzato numerosi video, immagini scattate da terra di droni, e messaggi in multilingua sui social media. Ha utilizzato anche servizi come JustPaste per la pubblicazione di riassunti di battaglia, SoundCloud per rilasciare report audio, Instagram per condividere immagini e WhatsApp per diffondere la grafica e video. Ha adottato poi la strategia di intimidire i nemici con immagini shock di decapitazioni (vere o presunte) dimostrando grande competenza tecnologica.
Infatti la campagna d’informazione dell’ ISIS è diventata molto più sofisticato rispetto a quella di Al Qaeda; i suoi video ben congegnati sono ben lontani da quelle sgranate immagini statiche di Osama Bin Laden & com. significativa è la pubblicazione di un flusso costante di storie dell’orrore su Facebook e Twitter, utilizzando l’hashtag #ThinkAgainTurnAway.
L’insurrezione ribelle ha attentamente costruito una narrazione che giustifica la propria lotta contro le divisioni nazionali dei confini mediorientali tracciate dalle potenze occidentali, dopo la prima guerra mondiale e che definisce “partizioni Crusader”, adattando terminologia informatica ad eventi storici (segnale di provenienza culturale dichiaratamente yankee). L’ISIS ha continuato a sostenere che il compito di una leadership araba moderna deve essere quello di contrastare la strategia angloamericana del “divide et impera”, che impedisce al popolo musulmano di unirsi “sotto lo stesso Imam portando la bandiera della verità”.
Dunque nella “War of the Worlds” del terzo millennio, è stata realizzata sotto i nostri occhi la perfetta “eutanasia del reale”, e secondo quanto diceva Jean Baudrillard, l’immagine fantasmagorica e multimediale, riprodotta milioni di volte, su milioni di teleschermi accesi 24 ore su 24, ha ucciso la realtà globalizzata, compiendo così “Il delitto perfetto”.
The game is over, the game begins again.
Rosanna Spadini
Fonte: www.comedonchisciotte.org
13.09.2014