Di Belisario per ComeDonChisciotte.org
Da sempre la propaganda crea le sue innumerevoli “vulgate” innanzitutto via semplificazione. Quando si approfondiscono le analisi, si scopre che le prove storiche della falsità delle varie “vulgate” sono perlopiù ampiamente disponibili, ma di fatto vengono analizzate solo dagli specialisti della materia. A colpi di “vulgate” – una sopra o dentro l’altra, modello matrioska russa – si finisce così per perdere il filo di questioni assolutamente essenziali.
Il 1 maggio di 2004 è la data del simultaneo ingresso nell’UE di 10 Paesi: Rep. Ceca, Slovacchia, Ungheria, Polonia, Slovenia, Cipro, Malta ed i 3 Baltici.
Qualche mese prima, il 29 marzo 2004, diversi dei citati Paesi (Bulgaria, Romania, Slovacchia, Slovenia ed i 3 Baltici) erano entrati nella Nato, seguendo quelli (Rep. Ceca, Polonia, Ungheria) già entrati nel marzo 1999.
E’ un cambiamento epocale per il funzionamento dell’UE. Nell’ UE pre 2004, bastava che due grandi Paesi, o un grande Paese e due medi o piccoli, non fossero d’accordo, che la Commissione nella maggior parte dei casi non presentava o ritirava la proposta di provvedimento di turno.
Dal 1 maggio 2004, i 10 nuovi soci, quasi tutti Paesi dell’Est e contemporaneamente membri Nato, spostarono definitivamente l’equilibrio a favore della Commissione UE. Via fondi di coesione, fondi per lo sviluppo rurale ed altri finanziamenti UE, tutti i Paesi dell’ Est Europeo hanno ininterrottamente ricevuto, ogni anno dal 2004, fondi di importi pari ad oltre il 5% del loro Prodotto Interno Lordo annuale. E’ come se l’Italia, dal 2004 ad oggi, avesse ricevuto ogni anno 100 miliardi di euro (5% del nostro Pil).
I fondi per tale ininterrotta e perdurante, ventennale bonanza – un autentico secondo Piano Marshall, del quale pero’ non si parla – sono stati, dal 2004 ad oggi, pagati dalle quote nazionali versate dai Paesi contribuenti attivi dell’ UE, e cioè, nell’ordine: Germania, Gran Bretagna (fino alla Brexit), Francia, Italia, Paesi Bassi, etc, ossia dall’ Europa Occidentale: la stessa che finanzia integralmente tutte le istituzioni dell’UE.
Un simile, gigantesco finanziamento dall’ Europa Occidentale all’ Europa dell’ Est dovrebbe evidentemente implicare una qualche priorità politica a favore dei Paesi dell’ Europa Occidentale, come fondatori dell’ UE e soprattutto come finanziatori. In sintesi: sono loro che hanno fondato la baracca, e sono loro che ne pagano il conto.
Ma tale meccanismo o sviluppo naturale è saltato del tutto.
Infatti, il momento ed il contesto istituzionale e giuridico del versamento delle quote nazionali alla Commissione UE da parte dei Paesi dell’ Europa Occidentale sono totalmente separati dal momento e dal contesto istituzionale e giuridico della corresponsione di tali contributi ai Paesi dell’ Est.
La corresponsione, cioè il versamento a pioggia di importi complessivamente equivalenti al 5% del Pil del Paese ricevente, è effettuata ogni anno dagli augusti burocrati della Commissione UE.
Il prevedibile risultato, noto a centinaia di funzionari, ovviamente anche italiani, impegnati in diversi, delicati negoziati comunitari, è stato, molto semplicemente, la sistematica tendenza dei Paesi dell’ Est, a partire dal 2004-2005, a votare quasi sempre a favore delle proposte della Commissione, e con attitudini anche piuttosto originali, quali rilasciare dichiarazioni spesso estremamente critiche delle proposte nell’ambito del dibattito negoziale, per poi però votare a favore. Come se il piano delle dichiarazioni potesse essere agevolmente disgiunto da quello del voto.
La Commissione UE si è così rafforzata esponenzialmente. Erano finiti i tempi in cui piccole combinazioni di Paesi quali Francia, Belgio e Danimarca, o Italia, Spagna e Austria, per non parlare di Germania e Francia, potevano di fatto bloccare i suoi provvedimenti ed imporne o il ritiro o la modifica.
Al tempo stesso, i Paesi dell’Est, sicuri delle fonti di finanziamento divenute automatiche, hanno per lungo tempo mantenuto un atteggiamento di estrema deferenza (solo) nei confronti della Commissione UE: i recenti, noti casi di resistenze e contrasti con Ungheria e Polonia sono eccezioni, non la regola. Come comprensibile: è delicato contrapporsi ad un organismo che decide sul versamento a pioggia di contributi equivalenti o maggiori del 5% del proprio Pil.
E così i Paesi dell’ Europa Occidentale non esercitano di fatto alcun ruolo assimilabile a quello di chi nella storia – Urbe et Orbi – paga il conto. Quel ruolo è esercitato dalla Commissione UE.
Propedeutico e strumentale al disconoscimento di tale evidente situazione è il sorvolo della propaganda pro UE sulle dimensioni epocali del trasferimento di risorse dall’ Europa Occidentale all’ Europa Orientale in corso dal 2004. I relativi dati sono disponibili, ma non vengono mai citati dalla “vulgata”.
L’opinione pubblica del nostro Paese è una delle prime vittime della “vulgata”. E’ dagli anni 90 che l’Italia è il quarto (pre Brexit) e poi il terzo contribuente attivo dell’UE, ma la stragrande maggioranza degli Italiani non lo sa: e ciò grazie alla propaganda filo UE – in Italia principalmente della sinistra.
Il famoso pacchetto di aiuti anti Covid, da cui il PNRR etc, ci piazzerà eccezionalmente in attivo sul fronte contributi UE solo per qualche anno, a fronte di un ininterrotto passivo trentennale.
Il contributo italiano all’ UE nel 2020 è stato di 18 miliardi, e la quota italiana del costo del MES è di 14 miliardi. Il famoso reddito di cittadinanza pesa per soli 8,5 miliardi e la manovra 2022 del Governo Meloni è stata per miseri 35 miliardi. Ma la maggioranza degli Italiani pensa che l’Italia sia mantenuta dall’UE – l’esatto contrario della realtà.
Con la guerra russo-ucraina, tra i Paesi dell’ Est, Polonia ed i tre Baltici hanno assunto una linea di estrema ostilità nei confronti della Russia, come se volessero regolare in termini nazionalistici gli amari conti della Seconda Guerra Mondiale e dell’occupazione sovietica. Insieme ai Dem USA ed alla GB, Polonia ed i 3 Baltici stanno cercando di estendere un fronte estremamente ostile, facilmente distinguibile da quello di Germania, Francia, Italia, Paesi Bassi, ed opposto a quello dei Paesi effettivamente neutrali (Croazia e Serbia, e solo per alcuni parziali profili, Ungheria, Austria e Svizzera).
L’alfiere europeo di tale fronte è la Polonia, che notoriamente, nella sua coscienza nazionale, ritiene di essere una delle colonne portanti dell’identità storica europea e occidentale. Che tale convinzione sia effettivamente sostenibile, e quanto essa sia condivisa dagli altri Paesi Europei, è come noto una amara o vexata quaestio, ma sorvoliamo. I tre Baltici, parimenti finanziati dall’UE a colpi di oltre il 5% del Pil annuale, hanno dimensioni demografiche ed economiche molto ridotte.
La Polonia è cresciuta esponenzialmente dal 2004: il suo Pil, con 38 milioni di abitanti, è ormai un terzo di quello italiano (1); in due decenni, Varsavia si è costruita uno skyline di grattacieli come una media città statunitense. La Polonia ha anche appena elevato (2) il suo budget militare annuale al 3% del Pil (con un incremento del 50% rispetto al 2022).
Uno si domanda: perchè mai la Polonia dovrebbe continuare a ricevere fondi a pioggia pari a circa il 5% del suo Pil? E’ quanto meno ovvio che l’UE sta indirettamente finanziando anche le Forze Armate Polacche. La stessa domanda, mutatis mutandis, vale anche per gli altri Paesi dell’Est.
Il sopraillustrato quadro non può che portare all’ insufficienza patologica della classe politica e di Governo dei Paesi (Germania, Francia, Italia, Olanda, etc) che dal 2004 finanziano ininterrottamente non solo le istituzioni UE, ma anche i Paesi dell’Est: nel conflitto russo-ucraino, Polonia ed i 3 Baltici, spalleggiati da USA e GB, hanno ormai una linea autonoma e divergente dalla loro, intorno alla quale stanno cercando di coagulare altri Paesi (Bulgaria e Romania in primis), sempre – vale la pena ripeterlo – finanziati da loro.
Gli USA non pagano, ma stanno comunque esercitando un crescente ruolo politico presso i Paesi dell’Est, come attestato dal recentissimo vertice di Biden (Varsavia, 21 febbraio 2023) con i Paesi del cd “Bucharest Nine” – come li chiamano negli USA – ossia Rep. Ceca, Slovacchia, Ungheria, Bulgaria, Romania, Polonia ed i 3 Baltici.
Il segnale è visibile ad un cieco, ma la nostra augusta stampa non ne parla: qual è la logica e l’ambito di un incontro limitato a Paesi dell’Est ed USA, ossia con l’esclusione dei Paesi dell’ Europa Occidentale? Di cosa dovrebbero trattare, più agevolmente, tra loro, i Paesi dell’Est Europa con gli USA, senza i Paesi dell’ Europa Occidentale? Da notare che all’interno dei Paesi dell’ Est, l’unico segnale di parziale divergenza da tale approccio è provenuto, more solito, dal Presidente ungherese Orban che – Biden o non Biden – a Varsavia ha spedito il suo vice.
Complimenti, Scholz, Macron, Draghi, Rutte – per non parlare degli ultimi arrivati, Giorgia e Guido! Avanti tutta!
Dopo aver tollerato senza reagire: una Commissione UE occupata dagli USA, una Presidente della Commissione che rilascia continue dichiarazioni guerrafondaie senza alcun mandato, il tentativo del Presidente ucraino Zelensky di far scattare la guerra Nato-Russia lanciando un missile in Polonia ed accusando falsamente la Russia, il sabotaggio terroristico del gasdotto North Stream, l’azzoppamento dell’economia europea a colpi di sanzioni, cosa vi aspettavate? Un rafforzamento del vostro ruolo istituzionale e politico?
Eccoli, i risultati: sempre più scavalcati dagli USA, che sempre più comandano, nella Commissione UE e nell’ Est Europa. Noi Paesi dell’ Europa Occidentale, ci limitiamo a continuare a pagare il conto. In tutti i sensi.
Di Belisario per ComeDonChisciotte.org
25.02.2023
NOTE
(1) Poland Gross National Product (GNP) | Economic Indicators | CEIC (ceicdata.com)
(2) Poland to increase defence spending to 3% of GDP from 2023 (janes.com)