Cosa dice la scienza a proposito del Covid? Vademecum.

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(Andrea Cavalleri)

 

Dubito che spiegare bene le cose alle masse inebetite e terrorizzate serva a qualcosa, ma almeno per i medici che volessero informarsi, questo collage di citazioni può avere una certa utilità.

La mia esperienza personale mi dice che se una mia amica che canta nel coro della parrocchia, scomparsa da mesi e poi ricomparsa, ha giustificato la sua assenza dicendosi terribilmente impaurita per la sorte che potrebbe toccare a sua madre di 102 anni, siamo andati troppo oltre.

Tuttavia deve essere il più possibile chiaro che i soprusi che stiamo subendo NON avvengono in nome della scienza.

La prima cosa da sapere è la seguente: qual è la voce della comunità scientifica?

Di certo non sono le interviste in TV, sono invece le cosiddette peer review, pubblicazioni sottoposte a revisione tra pari.

Di norma (anche se si sono verificate dolorose eccezioni) uno studio che voglia essere pubblicato su una rivista specializzata deve superare il vaglio dei referees, tipicamente due revisori anonimi, indipendenti ed esterni alla redazione, che sono scienziati già specialisti nel settore in cui si vuole pubblicare l’articolo.

Per una rapida ma completa esposizione del metodo peer review si può vedere qui:

https://storicamente.org/peer_review

Ovviamente, per essere reputato accettabile, lo studio deve essere condotto secondo criteri rigorosi, più o meno codificati per ogni disciplina, il cui metodo deve essere esposto nell’articolo stesso candidato alla pubblicazione.

Gli studi di tipo clinico, che cioè indagano l’efficacia dei trattamenti sui pazienti, devono essere randomizzati e condotti in doppio cieco. La spiegazione di queste procedure qui: https://www.centrostudigised.it/studio_clinico.html

Queste premesse servono per far comprendere il valore delle citazioni che farò, che si riferiscono solo ed esclusivamente a pubblicazioni peer review basate su metodi rigorosi e trasparenti.

 

I pilastri della narrativa covidolocaustica

 

Ci hanno raccontato che è comparso un nuovo Sars-Coronavirus che miete stragi.

E che:

  • l’agente patogeno letale viene individuato con un test basato sulla PCR.
  • Il virus è pericolosissimo perché ha una diffusione enorme, infatti persino i portatori sani (detti “pazienti asintomatici” per non usare l’aggettivo “sano”) sono contagiosi.
  • Le misure utili a prevenire il contagio sono, tra le altre, l’uso di mascherine chirurgiche e il “distanziamento sociale” (strano lapsus freudiano, in quanto si dovrebbe parlare di distanza fisica tra le persone, mentre col termine “distanziamento sociale” in lingua italiana si esprime la differenza tra ricchi e poveri).
  • Si fa ricorso alle misure preventive perché non esistono cure efficaci contro la malattia.

 

Verifiche scientifiche sui 4 pilastri: punto 1)

La prima domanda che ci si deve porre è se esiste uno studio scientifico che sostenga la validità del metodo PCR per la diagnosi di infezione.

La risposta è sì, si tratta del cosiddetto Corman-Drosten Paper, pubblicato sulla rivista Eurosurveillance il 23 gennaio 2020.

Il problema è che tale articolo era stato presentato il 22 gennaio, il giorno precedente alla pubblicazione, rivelando in tal modo che, per mancanza di tempi tecnici, non era stato sottoposto ad alcuna revisione.

Finalmente, dopo mesi (come richiedono le indagini approfondite e serie e non le boutade da Novella 2000) è uscita una revisione paritaria ad opera di un team internazionale di 22 scienziati

https://cormandrostenreview.com/report/ che demolisce totalmente la validità del test PCR.

Tale procedura è adottata nel 70% dei test in uso, che risultano quindi del tutto non validi.

Tra i problemi rilevati si cita che il test

– non è specifico, a causa dell’errata progettazione del primer

– è enormemente variabile

– non è in grado di discriminare tra virus interi e frammenti virali

– non ha controlli positivi o negativi

– non ha una procedura operativa standard

– non sembra essere stato adeguatamente sottoposto a revisione paritaria

– non è mai stata individuata una soglia di positività.

L’ultimo punto è particolarmente critico, in quanto aumentando il numero di cicli di amplificazione si possono ottenere risultati positivi ad libitum.

 

Verifiche scientifiche sui 4 pilastri: punto 2)

Quella della trasmissibilità del virus ad opera degli asintomatici è un’ipotesi che venne fatta per spiegare la rapidità di diffusione del virus, anche se non tutti gli scienziati la condividevano.

Comunque si trattava di una pura congettura senza alcun elemento di prova.

Finalmente è stato pubblicato in merito il primo studio rigoroso (e su Nature, considerata la più autorevole rivista scientifica del mondo!), che potete trovare qui:

https://www.nature.com/articles/s41467-020-19802-w

I fatti sono che 300 persone “asintomatiche” sono state tracciate nei 1.174 contatti ravvicinati che hanno avuto con altrettante persone.

Questi 1.174 erano noti per non essere mai stati positivi al Covid e, a seguito dei contatti con gli asintomatici, nessuno di essi ha manifestato positività.

In pratica, il primo esperimento scientifico che si è potuto condurre sull’argomento ha stroncato la leggenda della contagiosità dei portatori sani, detti impropriamente “asintomatici”.

Finora gli studi rigorosi, fondati sull’osservazione di dati certi, vanno in una direzione sola, che è diametralmente opposta alla narrativa dominante.

 

Verifiche scientifiche sui 4 pilastri: punto 3)

Anche in questo caso, partiamo dall’esaminare lo studio a favore dell’uso delle mascherine, studio che… dov’è? Perbacco, non c’è!

Se dunque l’uso delle mascherine non è supportato da studi scientifici, da chi è stata diffusa questa credenza? Da ciarlatani, venditori di pentole televisivi ed ex soubrette invecchiate?

Perché ad esempio il dottor Fauci dice: “In questo momento la gente non dovrebbe indossare le mascherine, Non c’è alcuna ragione di indossarle”. Si può sentirglielo dire qui.

https://www.youtube.com/watch?v=MXIejfEDm1w

Vediamo invece cosa è stato pubblicato su riviste peer review.

È del 2020 uno studio che indaga sull’efficacia delle mascherine per inibire la trasmissione del Covid

https://www.acpjournals.org/doi/10.7326/M20-6817 la cui conclusione è che le mascherine effettivamente aiutano nella strabiliante misura dello 0,3%! (cioè nulla, si parla di fluttuazione statistica).

Potrebbe sembrare un’amara sorpresa, quella per cui, purtroppo le mascherine non incidono nella prevenzione delle infezioni, come avviene, ad esempio in sala operatoria.

Ma, avviene?

Esistono 14 studi randomizzati e pubblicati su peer review in rapporto alle sale operatorie e infezioni ospedaliere, condotti tra il 1975 e il 2015.

Tutti concordano nelle conclusioni che le mascherine chirurgiche in sala operatoria non hanno alcuna efficacia nel prevenire infezioni postoperatorie (in alcuni studi l’uso delle mascherine era stato seguito da un numero di infezioni maggiore rispetto ai chirurghi che avevano operato senza mascherina). Questi 14 articoli scientifici sono citati e riassunti qui

https://www.ingannati.it/2020/08/26/ancora-sulla-fallacia-della-teoria-del-contagio/

 

Quanto sopra per ciò che riguardava le mascherine. Veniamo adesso agli arresti domiciliari, chiamati col termine inglese di lockdown.

Si è sentito un gran clamore mediatico teso a dire che si trattava di una misura tradizionale già ampiamente adottata.

Dal punto di vista storico è un falso plateale: sempre sono stati isolati i malati e mai i sani.

Ovviamente, trattandosi della prima applicazione storica di un simile provvedimento non esistevano studi al riguardo.

La prima indagine è stata di tipo statistico, pubblicata su The Lancet nel luglio 2020:

https://www.thelancet.com/journals/eclinm/article/PIIS2589-5370(20)30208-X/fulltext

Sono risultate le seguenti evidenze: le rapide chiusure di frontiera, i lockdown completi e lo screening di massa non hanno avuto nessun effetto (nessuno!) nel ridurre la mortalità percentuale della popolazione (morti per milione).

Ma in questi mesi qualcuno ha provveduto a qualcosa di più specifico. Ed ecco la pubblicazione

https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa2029717

Si tratta di un esperimento condotto dalla Icahn School of Medicine del Mount Sinai Hospital in collaborazione con la Marina militare statunitense.

Un gruppo di circa 1.850 reclute ha accettato di sottoporsi a un lockdown di tipo militare (rigorosissimo e con osservanza delle misure prossima al 100%), con un gruppo di controllo di circa 1.300 reclute.

Il risultato è stato che il gruppo di controllo, soggetto a misure meno rigide, ha contratto il virus un po’ meno frequentemente rispetto al gruppo in lockdown severo.

La conclusione al punto 3) è che, a onta delle chiacchiere di politici e imbonitori televisivi, la scienza ci racconta un’altra storia, ovvero che le cosiddette misure preventive adottate in questi mesi non servono a niente.

 

Verifiche scientifiche sui 4 pilastri: punto 4)

È stato pubblicato uno studio sull’International Medical Journal, qui:

https://www.seronijihou.com/article/recovery-trial-and-hydroxychloroquine

a firma del professor Raoult e altri nove scienziati, che smonta lo studio Recovery della OMS, che accusava l’idrossiclorochina di nefandezze varie.

Nella sua pubblicazione Raoult documenta di aver usato 600 mg al giorno di idrossiclorochina, per un massimo di 10 giorni, in 1.061 pazienti con Covid-19 riportando 8 decessi, con un risultante tasso di mortalità dello 0,75%.

Le differenze con lo studio Recovery constano del fatto che in quel caso fu somministrata una dose quadrupla del farmaco a pazienti in stadio di malattia già avanzato, mentre la cura (in trial clinico) di Raoult (e migliaia di altri medici “per uso compassionevole”) prevede l’uso precoce dell’idrossiclorochina, in combinazione con azitromicina ed eventualmente eparina a basso peso molecolare.

Quindi lo studio Recovery ha riscontrato danni ai pazienti non causati dall’idrossiclorochina, ma dalla somministrazione errata, per tempi e quantità, del principio attivo.

Esistono certamente altre cure efficaci contro il Covid, come la terapia con plasma iperimmune, l’ozonoterapia, la lattoferrina e l’uso di erbe medicinali che tanto successo ha avuto in Africa; purtroppo non se ne possono esibire gli studi perché per queste cose ci vuole tempo e le pubblicazioni ancora non ci sono.

È però interessante notare che mentre le cure non vengono praticate poiché non esistono ancora gli studi clinici a riguardo, delle corsie preferenziali sono state aperte per l’uso di vaccini, che richiederebbero studi preventivi ancora più lunghi.

Questo fatto desta, e a ragione, i peggiori sospetti: infatti mentre una cura che avesse effetti indesiderati può sempre essere sospesa, il vaccino è irreversibile, una volta iniettato non si può più estrarre e produce i suoi effetti, positivi o negativi che siano.

 

Conclusioni

In questo articolo non c’è praticamente nulla di mio, quindi anche per le conclusioni attingerò da autori che si sono già espressi magistralmente sull’argomento.

I fautori del lockdown continuano a dirci di dar retta alla scienza. È ciò che stiamo facendo. Quando i risultati contraddicono la loro narrativa, costantemente favorevole ai lockdown, fingono che gli studi non esistano…

(Jeffrey A. Tucker, giornalista)

Ma perché dei solidi risultati sperimentali non fanno breccia nell’informazione e nel sentire popolare, consentendo alla politica di gestire la situazione in modo antiscientifico e per giunta in nome della scienza stessa?

La risposta a questo enigma l’ha data James Harff, già direttore della Ruder Finn.

Prima della citazione, due parole sulla Ruder Finn, che è una delle più grandi società private di pubbliche relazioni al mondo, con co-quartier generale negli Stati Uniti e in Cina; lavora indifferentemente per aziende, governi e organizzazioni non profit.

Il suo titolare, David Finn, ha scritto un articolo intitolato “Perché mentiamo”, che inizia con la frase: Dire la verità non è uno dei dieci comandamenti.

Ebbene quando si tratta di far accettare alle folle una certa visione della realtà (anche se completamente falsa) … noi sappiamo perfettamente che la prima affermazione è quella che conta. Le smentite non hanno alcuna efficacia.

(James Harff, direttore della Ruder Finn)

 

Se la manipolazione dell’opinione pubblica è una scienza, allora è l’unica scienza che nell’affare Covid ha totalizzato il 100% di successo.

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