Conversation about the end of time

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(la complessità geopolitica fra mainstream, contro-informazione e singolarità)

di Zory Petzova, ComeDonChisciotte.org

Z.P.: Nel nostro amichevole interagire, entrambi ci siamo resi conto che, con le elezioni americane, il modo di interpretare eventi, fatti e personalità politiche si è fatto ancora più standardizzato. Alla polarità ideologica dei media ufficiali, che è superfluo qualificare, si contrappone una forma mentis che spesso si dichiara alternativa, si presenta come contro-informazione, ma siamo sicuri che le due correnti siano poi tanto diverse?

X.X.: In entrambi i casi è come se si trattasse di due etichette culturali, e non di una ricerca di oggettività, ma mentre gli operatori del mainstream sono vincolati economicamente dai datori di lavoro, ciò è meno comprensibile per la contro-informazione. Manca la premessa di una posizione di neutralità, ci si scorda che la realtà, nel suo mutare, non segue i nostri modelli ideologici, ma crea un coacervo di variabili intrecciate e poco coerenti, per cui è doveroso decifrarla di volta in volta.

Z.P.: E’ una consuetudine vedere la geopolitica come una scacchiera, dove uno si immedesima con i giocatori per prevedere o interpretare le loro mosse. Ma ultimamente trovo più consono vederla come la mega scena di un delitto, a cui bisogna approcciarsi come dei detective, cercando dettagli ed elementi che sfuggono alla prima vista, per poi ricostruire dinamiche e meccanism senza filtri precostituiti. Spesso il colpevole non è quello indiziato a prima lettura. Almeno così ci insegnato i migliori classici del genere giallo. Così come, per analogia con la geopolitica, si potrebbe dire che il vincitore finale spesso non è quello più accreditato dalla vulgata ufficiale.

X.X.: Mi hai fatto ricordare Conan Doyle che io considero un genio assoluto. Alcuni autori dovrebbero essere immortali, perché oggi sarebbe davvero curioso ambientare Sherlock Holmes e il suo fedelissimo Watson in alcune scene piene di mistero, fra politica e sanità ci sarebbe l’imbarazzo della scelta. Siamo nell’epoca in cui ogni evento si trasforma in big mystery senza soluzione, ecco perché il proliferarsi di tante di quelle teorie chiamate complottiste. E a pensare Sherlock disponeva solo di un taccuino, tutto il resto era brillante accume e una ferrea logica positivista.

Z.P.: L’acume investigativo è indispensabile, ma credo che più generalmente la visione geopolitica faccia parte del problema filosofico della rappresentazione della realtà, che qui possiamo semplificare dicendo che, nella interpretazione dei fenomeni, noi non possiamo astenersi del tutto dalle nostre passioni personali e inclinazioni caratteriali. Bisogna esserne consapevoli di questi margini di soggettività, che comprendono però anche i colpi di genio, come nel caso del nostro detective. In ogni modo, i soggetti dialoganti, pur influenzati da modelli culturali, non devono essere indotti professionalmente alla falsificazione della realtà, cioè devono essere in buona fede. Il non interesse economico e carrieristico dovrebbe essere la condizione minima per accettare come interlocutore fair play sia un esponente del mainstream che uno della contro-informazione.

X.X.: Ciò fa capire che solo l’informazione indipendente può essere attendibile. Per paradosso l’informazione deve rimanere povera, deve rimanere dilettante, deve essere a-gerarchica per garantire una qualità. Ogni fonte di finanziamento privato la metterebbe a rischio, ma anche ogni direzione, è un controsenso che sia finanziata anche dallo stato. Qualcuno aveva detto che l’informazione con la I maiuscola dovrebbe dire ciò che il potere teme, e visto il totale degrado della tv pubblica, possiamo dire che per ora questo compito è stato assolto solo dalla rete.

Z.P.: Mi sono sempre chiesta come è che i media occidentali siano così sincronizzati fra di loro. Da almeno un decennio vige un unico comune denominatore che è la propaganda anti-sovranista, anti-populista, anti-Russia e anti-Putin, ora anti-Trump, e anti tutto ciò che non è conforme al pensiero unico del mondialismo. La contro-informazione invece si definisce attraverso l’anti imperialismo anglo-americano, elogiando il modello cinese, compreso il suo passato maoista; non sdegna la Russia, dando per scontato il suo tandem con la Cina, grazie a cui sarà messa la fine del dominio anglo-americano. Il Blocco atlantista contro l’Eurasia. E’ una visione binaria e antiquata, che omette la parte essenziale di ogni osservazione, ossia quella delle sfumature, ma oltre tutto omette di vedere le divisioni trasversali che segnano tutte le grandi strutture politiche e nazionali, dove ci sono blocchi e schiarimenti interni in profondo conflitto fra di loro, e non si tratta solo degli Stati uniti. Anche la Cina è interessata da divisioni interne fra il potere centrale, che tenderebbe verso un sistema nazionalista poco influenzabile dall’esterno, e alcuni poteri locali di stampo globalista che vorrebbero emanciparsi dal Pechino.

X.X.: C’è questa tendenza oramai consolidata nella contro-informazione di ricondurre la Cina ai buoni e USA/UK ai malvagi. Ma, come hai detto tu, questa divisione binaria non è reale. E’ una propaganda bi-polare dove il mainstream europeo si dichiara anti Trump, sapendo che quest’ultimo realizzerà una sistematica diminuzione dei finanziamenti alla NATO, con cui si andrà a indebolire anche la UE e il trattato di Aquisgrana. Certamente l’Impero anglo-sassone è una realtà, e la Brexit ne è stata la conferma, ma la questione è ben più complessa se si pensa che le intenzioni di Trump non sono di espansione militare, ma di ridimensionamento, fra cui il suo ultimo atto simbolico di ritiro delle truppe dall’Afghanistan. Mentre dall’altra parte abbiamo la contro-informazione che gioisce per la crescita economica della Cina, credendo che in questo modo il Pecchino (contro il Washington) sarebbe il garante della pace nel mondo. Ma la più grande miopia della contro-informazione, secondo me, è la tesi qualunquista, cioè quella secondo cui all’UE e all’Italia non dovrebbe importare più di tanto delle elezioni americane perché “tanto con Biden o con Trump è la stessa cosa.”

Z.P.: Solo chi non conosce in profondità i processi delineatisi negli ultimi anni può dire che fra le due presidenze non ci sia alcuna differenza in termini di conseguenze dirette e indirette per il mondo, e quindi anche per l’Italia. Accantonando per ovvi motivi i media mainstream che, come abbiamo visto, sono riusciti per la prima volta nella storia a schierarsi in modo schiacciante per uno dei due candidati, dichiarandolo vincitore prima di un qualsiasi verdetto istituzionale, possiamo constatare che nel campo della contro-informazione c’è una gran bella confusione. Perché i ‘compagni’, pur di non darla vinta a Trump (che detestano perché ricco), hanno dimostrato due cecità fatali: 1) non hanno voluto tener alcun conto degli enormi brogli oramai ufficializzati, da cui queste elezioni sono state vanificate, dimostrando di non essere per niente preoccupati per il gravissimo discredito delle procedure democratiche (probabilmente a loro poco importa della legalità del voto), e 2) per non dare alcun merito a Trump, sono riluttanti a riconoscere il suo contributo in termini di equilibrio geopolitico (l’intesa con la Russia) e di pacificazione del Medio oriente (ritiro militare da Siria, patto di pace fra Israele e Palestina), che porterebbe alla costituzione di quel multipolarismo che la stessa contro-informazione promuove come modello auspicabile per il futuro. Praticamente vanno contro la loro propria logica.

X.X.: Ti dirò di più: per strani motivi anche nella contro-informazione c’è una non troppo velata predilezione per Biden, come se non fossero a conoscenza di chi egli fosse. Serve forse a ricordare che Biden è il perfetto prodotto del vecchio establishment di cultura imperialista, favorevole a tutte le guerre di export di democrazia dell’ultimo ventennio, promotore di destabilizzazione in Libia e nelle ex repubbliche russe, imputato per corruzione in Ucraina e cv. Ai compagni, però, ricordarsi di questi ‘particolari’ non conviene, perché a loro piace che Biden sia l’amico dichiarato della Cina, ma tanti di loro si giustificano con il fatto che Biden porterebbe avanti l’agenda green – un’altra etichetta utile per dissimulare l’imbarazzante confusione.

Z.P.: Alla fine mainstream e contro-informazione convergono verso la stessa predilezione presidenziale. E posso anche capirli, perché per i gusti fini degli opinionisti ‘colti’ Trump è inqualificabile. La loro confusione deriva dal fatto che Trump non è un politico, bensì prestato alla politica dall’alto ceto imprenditoriale, troppo esuberante per via dell’enorme carisma e sicurezza di sé, troppo imprevedibile e al contempo inflessibile a compromessi – tutte caratteristiche che i gusti fini del discorso politico, abituati alla mediocrità dei protagonisti da discutere, non sanno come trattare, per cui non possono che rimanere incerti, spiazzati e infine ostili verso una figura del genere. In tutti questi anni hanno omesso però di porsi la domanda cruciale: perché uno come Trump sia entrato in politica? Sulla richiesta di chi, e con quale missione? O forse credono che un totale outsider avrebbe tentato la ‘allettante’ occasione di diventare il presidente degli Usa solo per un puro capriccio personale?

Per quanto riguarda l’agenda green, come sappiamo c’è poco di ‘green’ nell’industria delle batterie elettriche e dei prodotti hi-tech; tale agenda significa una maggiore tassazione fiscale per le imprese e accelerazione ulteriore della corsa ai metalli rari, che diventerà l’economia imperante. Un’economia in totale favore della Cina, sia in fase di lavorazione del prodotto finito che in fase di consumo, per il semplice fatto dell’enorme quota di acquirenti cinesi. Il conflitto per i fossili sarà trasferito sui metalli rari e l’accaparrarsi delle miniere più importanti del globo, dove le nuove alleanze geo-economiche saranno decise senz’altro dalla Cina, ma non sono da escludere attriti di carattere geopolitico.

X.X.: Io credo che se alla presidenza dovesse rimanere Trump, gli Usa saranno ancora per lunghi anni il protagonista principale della scena geo-politica e geo-economica. E’ ancora presto per dare per vinta la prima economia del mondo e il suo potenziale economico.

Z.P.: Credo che negli Usa ci sarà spazio per entrambi i modelli energetici, ma non è quello che dividerà la società. Perché dopo le elezioni abbiamo già una società che è giuridicamente divisa, non solo politicamente. A discapito di ogni previsione, le elezioni sono state un gran successo per Trump, credo abbia ricevuto 3 milioni di voti in più rispetto a 4 anni fa, e considerando la probabile frode di voti- forse ancora di più. Mentre sembra inverosimile che un Biden, non particolarmente vitale e convincente con il suo programma elettorale, con una vice come Harris ultra ambiziosa e poco amata dagli stessi dem, abbia preso un numero di voti maggiore persino di quello di un giovane Obama ai tempi dell’esordio.

X.X.: Si, ci sono delle anomalie che fanno pensare a una grossa manipolazione elettorale. Ma al netto di ipotesi che devono essere presto confermate, possiamo dire che in grosse linee la divisione dietro i due candidati è geo-economica: dietro Trump sta il così detto capitale nazionale, cioè l’industria e il ceto produttivo, la middle class. Mentre dietro Biden stanno le élite globaliste con i loro interessi- economici e finanziari, sparsi in tutto il mondo, per le quali gli Usa sono solo il quartiere generale, la sede centrale storica, ma non l’ultima. Con Trump l’economia americana tornerà a crescere, con Biden non si sa.

Z.P.: Infatti, trovo di un’ipocrisia insopportabile quando Biden si rivolge agli americani dicendo che sarà il presidente di un’America unita, nello stesso frangente in cui Kamala Harris minaccia che i sostenitori di Trump saranno schedati e perseguitati. E’ assolutamente impossibile che ci sia una base su cui le due Americhe possono incontrarsi. Ma forse dobbiamo chiederci: quale è la vera America, e quindi quella che avrebbe la priorità storica di essere rappresentata alla Casa bianca? Al netto degli elettori di Trump cosa ne rimarrebbe dell’America? Ne rimane il terziario, gli speculatori e chi vive di sussidi. Ma può un’economia con pretese egemoniche reggersi su questo? Sappiamo bene che è l’industria, e più generalmente l’economia reale, quella che crea occupazione, classe media, coesione sociale e prosperità nazionale.

X.X.: Credo che anche se dovesse andare via dalla presidenza, Trump resterà operativo e molto attivo, ma oltre tutto inizierà a crescere il trumpismo, il suo movimento, che acquisterà dimensioni storiche. E detto questo, sento che quasi non mi dispiacerebbe vedere un Biden in difficoltà. Ma poi temo che l’insufficienza dei dem sia talmente grave che continueranno a non vedere la realtà, nascondendosi, come al solito, dietro alla narrazione surreale dei media.

Z.P.: Il movimento trumpista è storico già solo considerando che Trump abbia vinto le elezioni (personalmente ne ho la certezza), avendo contro tutti i media: nessun presidente fin ora aveva consolidato una base elettorale così numerosa e compatta, qualcosa che era visibile già in campagna elettorale, con un’affluenza di persone mai vista prima. Inoltre, il partito dei repubblicani, che allo stato attuale è purificato da ogni substratto corrotto, ha una posizione molto solida in entrambe le camere, e nelle amministrazioni della maggior parte degli Stati. Ma vedi, il mondo non può continuare a essere governato dai media, che non solo non tengono conto della realtà, ma cercano di crearla dal nulla, perché questo porterebbe a una dissonanza insostenibile, a un brutto crollo cognitivo di massa. Nel mondo agiscono delle forze reali e potenti, che spostano materia, flussi umani, denaro, dove le tv possono essere tranquillamente spente e silenziate. Credo che una rete digitale pluralista e priva di censura sarà il futuro della comunicazione, e il partito repubblicano si sta impegnando in questa direzione. I media tradizionali hanno decretato già il proprio fallimento.

X.X.: Fin ora siamo riusciti a non nominare la pandemia, ma sappiamo che essa è a tutti gli effetti un espediente geo-economico, universalmente politico. E’ formidabile come la virulenza di un virus possa variare a piacimento di media ed esperti, a seconda di come vanno le vicende politiche. Credo che geo-politicamente il target principale della pandemia siano state proprio le elezioni americane, ma quello che aveva confermato i miei sospetti è come la seconda ondata sia partita contemporaneamente in tutti i paesi del mondo, paesi con condizioni climatiche, sociali, demografiche, naturali molto diverse, eccetto la Cina, che sembra aver cancellato oramai perfino la memoria del trauma.

Z.P.: Senza dubbio abbiamo avuto un fenomeno politico, con ricadute medico- sanitarie intenzionalmente aggravate, gestite in modo da creare un numero maggiore di morti, e quindi di giustificare la pandemia sia come numeri statistici che come fonte di paura. Ma sai quale è il paradosso più grande? La facilità con cui le élite globaliste abbiano cambiato il loro registro nei confronti dei giovani. La ragione ideologica dei poteri globalisti è stata per decenni la libera circolazione di moneta, merci e flussi umani, fra cui i flussi migratori e l’Erasmus delle ultime generazioni studentesche. Per poi fermare il mondo all’improvviso, paralizzandolo, e disincentivando ogni progetto di mobilità per i giovani, rendendo perfino la vita sociale un tabù. In realtà le élite hanno dimostrato di non avere bisogno di coerenza ideologica per legittimarsi, perché esse possono sopravvivere, anzi- possono ingrandire i loro profitti facendo a meno delle relazioni umane. La pandemia in realtà non è un’inversione di paradigma, ma un’ulteriore scalata nell’alienazione dei consumi, dove determinati consumi saranno imposti come obbligatori e inderogabili, ingerendo oltre tutto nel campo della salute.

X.X.: Sia nel mainstream che nella contro-informazione ha trapelato la tesi che se dovesse vincere Trump, gli Usa tornerebbero nel secolo scorso, visto che dietro lui sta l’America bianca, cattolica e protestante. Secondo te, quali sono i probabili scenari globali in relazione alle scelte statunitensi?

Z.P.: Credo che i scenari immaginabili siano principalmente due: 1) in caso di presidenza dem, sarà mandata avanti l’agenda mondialista, la quale però cercherà di trasferirsi in modo sempre più stabile in Europa, perché gli Usa, terremotati da movimenti e guerriglie civili con popolazione ben armata, si renderanno un luogo insicuro e scomodo per alcune elite. I topi più previdenti abbandoneranno la nave incagliata nella palude. Una gran parte delle corporazioni e dei poteri finanziari hanno già le loro sedi in Europa, visto che l’EU è stata costituita come l’anello di congiunzione fra l’Oltreoceano e la Cina. Si rafforzerà l’asse euroasiatica del globalismo, forse tentando di collocarsi sempre più stabilmente nell’Asia centrale. Non è escluso che in un futuro non lontano Kazakhistan diventi uno dei nuovi quartieri generali delle élite globaliste, facendo realizzare il sogno geopolitico di lunga tradizione anglo-sassone di quello che viene considerato il Heartland della terra, il luogo del dominio strategico del mondo. Questo implica ovviamente il conflitto costante con la Russia ed eventualmente la cooptazione delle sue oligarchie. Considera che oggi abbiamo un Putin già stanco, anche se in buona salute, ma quello che preoccupa è l’assoluto vuoto di leadership che si aprirebbe dopo una sua eventuale scomparsa, vale anche per Lavrov, insostituibile come capacità e spessore diplomatico. 2) Il secondo scenario in caso di guida repubblicana è quello di dissoluzione del progetto globalista e di una contrazione fisica, seguita dalla conformazione di massici blocchi geo-economici in corrispondenza geografica dei vari continenti. Questo scenario presuppone il ritorno al sovranismo come modello di Stato, ma anche come libertà di disporre del proprio corpo e pensiero su scala individuale, la dissoluzione dell’UE in quanto costruzione puramente burocratica e il ritorno alla libera trattativa fra i vari paesi, anche in campo di alleanze geopolitiche, con una prevalente tendenza di reciproca astensione da conflitti militari.

X.X.: Se permetti, avrei anche un terzo scenario da aggiungere. Che forse ritengo quello più probabile. Non è escluso che il mondo cada in uno stato di costante precarietà e crisi, in una specie di “out of time”, ma nel senso distopico. Dove ogni protagonista, ogni forza economica e militare cercherà di prevaricare sugli altri competitors per il puro gusto di dominio, senza mirare a un ordine costruttivo. Le élite politiche sovranazionali e nazionali non hanno alcuna idea di un futuro comune, se non di un futuro solo per se stesse. Ci sono poche eccezioni, e vorrei credere che non saremo lasciati soli, anche faccendosi forza fra di noi. Ma anche se ci saranno dei laboratori politici dove verranno create delle buone idee, non trovando un potere economico che possa portarle avanti, queste idee resteranno solo sulla carta. Il mondo rischia di andare in un clinch immobilitante, ma teso, come nel pugilato, e non saprei per quanto tempo potrà rimanere senza esprimere una nuova egemonia.

Z.P.: In realtà, noi non possiamo che pensare per analogia, basandoci sul passato e su esperienze pregresse. Ma dobbiamo riconoscere che il futuro è inconoscibile, perché la storia non si ripete mai, si ripete solo come polemos, come scontro fra forze duali, ma le sue configurazioni sono sempre inedite. Ci sono però leggi ontologiche, quelle che regolano il funzionamento della realtà, che vogliono sì che le dittature, e le repressioni in generale, non possano andare oltre una soglia di sopportazione. E’ vero che una dittatura soft power può durare più a lungo perché non percepita come tale, ma nel momento in cui cercherà di uscire allo scoperto con misure inedite di repressione e coercizione, essa crollerà. Ogni dittatura accumula un discredito storico tale da farla indebolire da dentro, diventa autodistruttiva. Ma allo stesso tempo, un potere ‘debole’ pervasivo e corrompente, propagatosi in modo capillare su scala globale, può essere spazzato via solo da una forza militare molto potente. E attualmente l’unico paese che può farlo sono gli Usa, forse anche la vittima maggiore di tale potere. Tutto ciò che verrà dopo non potrà che essere un processo di sanificazione e di ripresa generale. Sono le leggi della fisica, della natura, non è un wishfull thinking, per quanto la metafisica possa essere di conforto. E un’ultima nota: è la follia demiurgica a far divenire il mondo, non le cospirazioni della soft power. Grazie della conversazione…

X.X.: E’ l’imprevedibilità del demiurgo che libera il mondo, aggiungerei anch’io. Grazie a te…

22 novembre 2020

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