Aggiornamento Il Più Grande Crimine 9
DI PAOLO BARNARD
paolobarnard.info
CI voleva una sosta alle tre del mattino in un Fini grill lungo un’autostrada
italiana. Nevica, ho fame, non c’è anima viva. Ed è qui, sotto al neon di
questo banale luogo, che capisco quello che finora non mi era arrivato, che
capisco quanto abbia vinto il Vero Potere, e quanto finita sia l’era
plurisecolare dei popoli protagonisti del loro destino. Spiacente, le notizie
sono pessime, ma quanto segue è fondamentale per un solo motivo: vivere e
morire sapendo cosa accade. Almeno quello.
Ci
sono due dipendenti dietro al banco, lui non è di queste parti, lo si vede
lontano un miglio, ma è italiano. Lei, sempre italiana, è una copia un po’
sottolivello di Julia Roberts, ma accidenti che somiglianza. Mangia una
burrella mentre pulisce un forno, io ordino un panino alla cotoletta di pollo.
La musica è orribile, una specie di techno plasticata made in China, eppure
devo a quei suoni dementi l’innesco della mia conversazione coi due. “Ma non diventate scemi con sta colonna
sonora?” Lui: “Gli tirerei una bomba”,
e ride. “E spegnerla?” incalzo,
mentre con lo stesso fiato gli ricordo che il panino me lo deve scaldare bene,
giusto quanto basta a non mangiare un pane caldo e una cotoletta gelida. Lui “La musica, la mettono su in ufficio, e non
abbiamo le chiavi… un’altra gentilezza per noi in sto bel lavoro”.
Flash
back di 200 anni. In Europa furoreggiavano le idee di Thomas Robert Malthus, un
economista che si occupò di teoria del valore del lavoro (prima di Marx).
Pensava, questo gentleman, che la soluzione per i problemi dei lavoratori di
allora, una massa di schiavi poco sopra l’animalità nella sussistenza, era di
decimarli di fame, malattie, stenti vari, per compassione. Non scherzo. Egli
aveva formulato una teoria (del tutto fantasiosa) secondo la quale la crescita
della popolazione era geometrica, mentre quella dei beni alimentari era
aritmetica, per cui non ci sarebbe mai stato da mangiare a sufficienza per
garantire benessere a tutti. Allora che fare? Bè, disse Malthus, se la plebe
viene accudita con sanità, igiene, abitazioni decenti e salari minimi essa
figlierà di più, crescerà di numero a fronte di beni alimentari insufficienti e
farà la fame ancor peggio. Per cui compassione vuole, declamò l’economista, che
rimangano come stanno e si auto riducano decimandosi nella miseria e nella
malattia, soffriranno di meno. Voilà. Non è uno sketch noir di Aldo Giovanni e
Giacomo, non accadeva sotto Attila l’Unno. E’ tutto vero e lo possiamo datare
solo due vite consecutive di due centenari fa, in piena Europa civilizzata, non
in Mongolia sotto un re pazzoide. Ma quei lavoratori ce l’hanno fatta, cioè in
quelle condizioni inimmaginabili e con un Potere incomparabilmente soverchiante
che trovava plausibile simili idee, seppero ribaltare la propria storia, in
un’epica di coraggio che nessuno scrittore potrà mai rendere su carta.
Attenzione, oggi un operaio di Pomigliano che decidesse di imitare quegli eroi
di 200 anni fa rischierebbe il licenziamento, un sacco di problemi economici
pesanti, anche disperazione per la ricerca di un altro lavoro, chiuso nel suo
appartamentino, forse con un aiuto dalla famiglia o forse no, la sera al bar
depresso giustamente. Il suo omologo ai tempi di Malthus sapeva che il pegno
per la ribellione al Potere era di essere pestato dai gendarmi fino a
spaccargli femori, clavicole e cranio, e se sopravviveva crepava poi in una
cella fetida, il corpo spariva in una fossa di calce viva, sua moglie e i suoi
bambini rimanevano nei tuguri fra i maiali e i cani a morire di fame, lei non
avrebbe superato i trent’anni fra tubercolosi e setticemie, i bimbi sarebbero o
morti di freddo una notte, oppure dovevano essere venduti a una compagnia
mineraria a lavorare. Fine della ribellione dell’operaio. Questo gli sarebbe
toccato, a lui e ai suoi pari, cioè pene atroci lungo la breve strada delle
perdita della loro vita che si trascinava dietro, sempre fra pene
incalcolabili, quella di chiunque essi amassero di più. Ma non si fermarono. Ho
scritto ciò affinché nessuno osi argomentare l’usuale cretinata secondo cui
quegli uomini e quelle donne seppero agire contro il Potere perché “non avevano nulla da perdere”, ovvero la
pietosa scappatoia retorica di chi non ha le palle per vedere che razza di
patetici vigliacchi siamo diventati 200 anni dopo quegli esempi eccezionali.
Patetici vigliacchi incapaci di pagare alcun prezzo per il cambiamento.
Il
panino è rovente, colpa mia. Mi parte una curiosità. Di questi tempi in cui mi
occupo del piano settantennale di deflazione degli stipendi voluto dal Vero
Potere, cosa guadagna un tizio che lavora in un Fini grill? Glielo chiedo.
Dapprima i due esitano presi in contropiede dalla domanda, e tergiversano con
battute scontate. Allora li aggiro ai fianchi e riparto con le ore di lavoro:
part time? Full time? Determinato o indeterminato? Salta fuori che lei è part,
lui è full con 40 ore, entrambi determinato. “Insomma, dai, siete contenti per la paga?”. Li ho scaldati quanto
basta e mi dicono no, secco. “Ma siete
sopra o sotto i mille?” Lui mi guarda e io scruto la risposta negli occhi,
forse mi dice una buona cifra, non ha la faccia di uno che becca mille miseri
euro al mese: “Meno di mille, a conti
fatti”. Rinculo. Eh? Lei: “Sai cosa
vuol dire? Macché fare un mutuo, io non ce l’ho fatta neppure a farmi dare un
cellulare a rate”. A lui in realtà danno qualche spicciolo più dei mille,
ma il rimborso di benzina e autostrada è una miseria forfettaria, e così
finisce che in tasca gli arrivano i due zeri e non i tre. Ok, penso, sono
elementi perfetti, ora gli racconto tutto. Questo è un test importantissimo per
me, e lo è perché sarà il cinquecentesimo che faccio di questo tipo, e vediamo
se andrà come gli altri. Io, il comunicatore attivista, sono qui di fronte
all’Italia, perché questa è l’Italia
vera, e ora io sono il giornalista che sperimenta live come trasmettere il disvelamento del Potere a due sue vittime,
ovvero come esso li ha aggirati, annichiliti e fottuti. Non c’è Facebook di
mezzo, non ci sono i blogghettari di mezzo, non godo qui dell’esenzione
stracomoda di chi affida le sue illuminate parole a un popolo fantasma di
lettori che non avrà mai di fronte. Non sono al dibattito col pubblico dei
sessanta cittadini – cioè il drappello dello 0,1% degli italiani di Repubblica,
il Manifesto, Comedonchisciotte, David Icke e bla bla. Ok, questi sono l’Italia
vera. Parto, anche se sto panino mi sta ustionando.
Prima
cosa che gli dico è che mi occupo di economia, la seconda è che i loro guai
vengono da lontano, che c’è un motivo preciso per cui sono a meno di mille al
mese, che quella risicata paga non è affatto una necessità economica
giustificata dalla crisi. Julia Roberts fa subito la donna media, e questo mi
dispiace tantissimo. Cioè, con la faccia inconfondibile del ‘io di politica non
capisco niente’ si stacca dalla conversazione e va a fare altro con in mano una
scatola di Pocketcoffee da sistemare. Lui invece mi segue. Continuo, ora gli
devo spiegare come accade che il circolo vizioso del wage deflation, produca investment
deflation, che causa disoccupazione,
che causa il fenomeno marxiano della reserve
army of the unemployed, che scatena altra wage deflation, che porta a una competizione
al ribasso dei salari e che porta dritto al loro stipendio, il tutto nel
disegno neomercantile e neoagrario che il Vero Potere ha imposto
agli Stati, senza parlare della folle parabola del asset price inflation che ha soffocato l’economia produttiva a
favore del pension fund capitalism, con
l’aggravante della perdita della
sovranità monetaria, cioè il disastro dell’euro, coi suoi responsabili occulti sparsi fra Trilaterale
e Bilderberg, cioè ancora il fatto che oggi lo Stato non può assolutamente
più spendere a deficit per rimediare
ai sopraccitati disastri creando net
financial assets che aiuterebbero proprio quelli come lui, ecc. ecc. Ok.
Tutto questo astruso costrutto è assolutamente necessario spiegare, al fine di
dargli gli strumenti per capire chi e cosa veramente lo sta fottendo, perché se
non conosce chi è il vero nemico del
suo reddito e come si muove non potrà
mai cambiare nulla.
So
bene che non posso fare tutto ciò nel tempo di un panino già a metà, ma so che
devo almeno iniziare a trasmettere il primo mattone, o forse il secondo, per
aprirgli la prima consapevolezza da cui poi partire. Lo farò in parole
veramente chiare, esempi chiarissimi che ho in mente da mesi, ok, ora lo
faccio. Pronti, via.
Paolo
Barnard, bla bla bla…. Lui “Eh, sì,
l’Europa, sì, ma cosa fa lo Stato per me eh? Eh?”. P.B., no, guarda
aspetta, lo Stato qui non c’entra più nulla, bla bla bla… Lui: “E Craxi? Eh? Quanto mi ha rubato a me Craxi?
Perché tu dici del debito, ma l’ha fatto Craxi il debito pubblico, e se quei
soldi li davano a noi per lavorare…” (questo è vittima di Travaglio,
ecco i danni che fa quell’ignorante, nda).
P. B., Craxi non c’entra, e Tangentopoli ha sottratto al massimo l’1% del PIL
di allora, bla bla bla… Lui: “Ma senti un
po’, tu sai cosa si prende lo Stato per il mio stipendio? Si prende
altrettanto, cioè io prendo mille e lui si prende mille di tasse. Allora, se
invece si prendesse 500 e il resto lo desse a me…” P.B., giusto, ma oggi abbiamo
l’euro e le tasse non le possono più calare, sai perché? Perché Tremonti l’euro
lo deve prendere in prestito dai privati bla bla bla… E lui di seguito con la
storia di cosa spendono per le auto blu, per la Casta, e se torniamo alla lira
poi c’è l’inflazione, e guarda l’America che ha moneta sovrana ma sta a pezzi,
ma poi sono le banche che ci mangiano sopra… Io: sì, in parte è vero, però, no
quello no, aspetta ti ho appena detto quella cosa lì, ripeto, capisco che ti
hanno sempre detto così e cosà, ma bla bla bla… bla bla bla… e giù esempi,
esempini, due più due, tre più tre, fino alla resa, perché lui mi sta seguendo
sempre di meno, e non siamo neppure arrivati ad acquisire il primo concetto,
che era che il governo oggi non c’entra più nulla col suo stipendio. Neppure
questo è passato. Infatti il volenteroso uomo che ha accettato di ascoltarmi,
sicuramente più che intellettivamente sveglio, mi sdogana con un bel “tanto era così con mio padre, ci rubavano in
tasca, ed è così oggi con me, non cambia niente, va là…”. Gli dico: “Senti, ti va di leggere un paio di cose con
calma per capire meglio?”. Ripete: “Non
cambia niente, va là…”. Sipario.
Esco,
nevica. E mi si apre il cielo, un cielo nero. Le altre 499 volte sono finite
tutte così. Cioè sono finite con la persona che mi fa capire con assoluta
chiarezza che l’ammontare delle cose da sapere per capire, dunque per agire
sulla causa, è troppo, è troppo
specialistico. Non ha tempo, non ha
l’energia, non ha l’abitudine mentale, non può farcela a comprendere. NON PUO’.
Punto. E sono mesi che ricevo email da tutta l’Italia scritte da ragazzi o
lavoratori che mi dicono sempre la medesima cosa: “Ci proviamo a spiegare, ma li perdiamo per la strada… ci sbadigliano in
faccia… ci danno del matto… insultano Berlusconi”.
Sono
in auto, mi chiamo Paolo Barnard, nel settembre del 1989 sognai che il mio
mestiere poteva cambiare le cose, e che io sarei stato uno di quelli che lo
avrebbe permesso, io, parte del drappello degli attivisti per Un Mondo
Migliore. Quello che ho fatto in 22 anni, cioè la quantità di iniziative, non è
neppure raccontabile, per il semplice motivo che me ne ricordo un terzo, sono
troppe. A metà percorso compresi che il Potere non stava dove tutti credono che
stia. Ok, avrei diretto i cittadini al posto giusto. Poco dopo compresi cosa il
Potere aveva fatto ai cittadini contemporanei, li aveva tutti paralizzati, veri
zombie ambulanti incapaci, primi nella storia dell’umanità, di agire per
cambiare il loro tempo. Ok, avrei trovato l’antidoto. Stanotte, nel parcheggio
di questo Fini grill sotto la neve bagnata, con il parabrezza che piange
lacrime di acqua a rivoli grossi come un dito sullo sfondo di un cielo nero
stellato solo dalle luci dei piloni, capisco cosa veramente ci ha battuti e
perché io sono del tutto inutile: le
cose da sapere per cambiare veramente la nostra storia sono troppe, troppo
specialistiche, e la gente non ha il tempo, non ha l’energia, non ha
l’abitudine mentale, non può farcela a comprendere. Ma se non comprende,
perderà sempre, non c’è via d’uscita da questo.
Capisco
che dietro al piano nascosto del Vero Potere per annientare Stati, leggi e
cittadini partecipativi, e che credevo fosse il muro contro cui finiva il suo
cunicolo di intrighi, vi è un’altra idea. Cioè esiste in realtà un altro muro,
che forma un’intercapedine nascosta entro la quale vive quell’idea, e non me
n’ero reso conto. Ora la vedo, e mi stordisce talmente che non avvio neppure il
motore dell’auto nonostante il gelo. Seguo solo le lacrime d’acqua sul
parabrezza.
Mi
torna alla mente la frase di Giuliano Amato, quando al Centro per la Riforma
Europea di Londra, il 12 luglio del 2007, commentò il Trattato di Lisbona, che è
quella Carta-Colpo di Stato che ha sottratto la democrazia a milioni di europei
senza che nessuno ne sapesse nulla. Disse il ‘Dottor Sottile’: “Fu deciso che il documento fosse
illeggibile… “. Ecco, questa è l’idea custodita in quella intercapedine, il
fondo del male. Significa che il Vero Potere ha lavorato per rendere impossibile alla quasi totalità degli esseri
umani capire come fa ciò che fa, perché il Potere sa che se non lo capiamo non
potremo mai agire per combatterlo. Ovvero: a noi arrivano le conseguenze
strazianti del suo volere – l’erosione dei diritti, la massificazione della
povertà, la sottrazione totale della nostra autodeterminazione sul lavoro,
nella salute, sul nostro destino entro la breve vita che abbiamo – ma ci ha
reso di fatto impossibile comprendere da dove ci arrivano quei mali facendoli
scaturire da percorsi talmente intricati da essere sia inspiegabili che
incomprensibili al 99% di noi. “Fu deciso
che il documento fosse illeggibile… “, cioè non l’avrebbero compreso i
politici, tanto meno i cittadini, e chiunque si fosse arrangiato per spiegarlo
sarebbe stato accolto con incredulità, noia, irritazione, o come un folle, da
parte di persone per le quali è tutto
troppo specialistico e non possono farcela a comprendere. Punto. Come i due
dipendenti del Fini grill che ho alle spalle ora.
Ma
state capendo la portata di questo? Sapete cosa significa in pratica? Significa
che anche se mai venisse quell’immaginario giorno in cui milioni di esseri
umani – precedentemente intontiti come zombie che vagano nell’Esistenza
Commerciale e nella Cultura della Visibilità massmediatica – si svegliassero e
in numeri sempre maggiori tornassero a partecipare, a reclamare, a saper pagare
i prezzi della rivoluzione… anche
mai accadesse una tale immaginaria cosa, tutto sarebbe comunque vano, non
scalfirebbe in modo significativo il Vero Potere, perché tutta quella massa
umana attiva marcerebbe contro gli obiettivi sbagliati, non avendo mai potuto comprendere da quali intricati meandri proviene
il loro male. In un esempio immediato: anche se l’uomo cui ho appena
parlato al Fini grill si trasformasse magicamente in un attivista senza paura e
decidesse domattina di scagliarsi anima e corpo a reclamare un salario decente,
finirebbe a stremarsi contro l’insignificante governo, contro l’impotente
Tremonti, o contro le fandonie sulle tasse, sul debito dello Stato, o magari
per ottenere l’inutile bolla di sapone del federalismo fiscale. Passerebbe anni
a dare la sua vita per nulla. Il Vero Potere, indisturbato, rimarrebbe saldo al
comando.
Il
Vero Potere ha colpito ogni aspetto della nostra vita, ma non lo ha fatto con una
manovra semplice, diretta, visibile, tale cioè da poter essere capita da quasi
tutti e combattuta. Lo ha fatto costruendo meccanismi immensamente complicati,
scatole cinesi impossibili da seguire, piazzandoci davanti agli occhi
responsabili fasulli come fossero fantasmi di borotalco, e nascondendo la vera
origine dei mali dietro a labirinti che quasi nessuno fra i cittadini è in
grado di percorrere – cioè di capire o di spiegare agli altri – per arrivare a colpire quella origine.
Il
bracciante europeo contemporaneo di Malthus, o quelli della rivoluzione
industriale ottocentesca, i nostri contadini dei latifondi meridionali che sono
giunti fino all’incomparabile dipinto che ne ha fatto Ignazio Silone, tutti
questi miserabili dei secoli scorsi, avevano di certo immensi svantaggi
rispetto a noi, e li ho descritti prima. Ma un vantaggio avevano, ed era
d’importanza capitale: l’origine dei loro mali era elementare da comprendere,
era alla luce del sole e composta di strutture semplici, tanto esse erano
arroganti e sicure della propria invincibilità. Per chi sputava i polmoni sotto
ciminiere infernali e a tavola trovava una polenta scondita con attorno cinque
faccine luride e affamate; per chi lavorava i campi con metodi cavernicoli e un
giorno al mese doveva aspettare fuori dalla porta del padrone al freddo fino al
momento in cui egli si degnava di aprirgli per strappare dalle sue mani ogni
singolo profitto del suo lavoro; per l’uomo che doveva mordersi l’anima e
prestare la moglie alle luride richieste del prete del villaggio perché se quel
porco non lo certificava come buon cristiano i padroni non l’avrebbero mai
assunto… per tutti questi era chiaro chi fosse il Vero Potere, come agiva e i
percorsi per strappargli le rivendicazioni; chiaro come un buco al centro del
sole. Bastava alzare lo sguardo, non ci si sbagliava. C’era un obiettivo –
smettere di morire da schiavi; un nemico – il padrone, il latifondista, il
prete; c’era un unico scontro frontale sulle ali delle idee della giustizia
sociale, anch’esse semplici come il pane. Così poterono arrivare ai gangli del
loro male, e cambiare la loro storia. Il Vero Potere ha imparato quella
lezione. Eccome che l’ha imparata.
Se
prima, per renderti schiavo e senza diritti, gli occorreva un titolo
d’autorità, un capitale, i gendarmi, e poco altro, oggi per arrivare a sostanzialmente
lo stesso risultato (in rapporto alla modernità ovviamente) si sono inventati
percorsi che assomigliano al districarsi fra i 178.243 cavi del collisore di
particelle di Ginevra. Ma con la diabolica abilità di farci apparire come fonte
del male le stesse semplici strutture di una volta: il governo, i padroni, la
polizia, e poco altro. E siamo all’epilogo.
Vorrei
accendere il motore della mia auto, veramente vorrei non aver pensato. Fra
un’ora sarò a casa, davanti al mio pc, io, uno del gruppo di quelli che voleva
Un Mondo Migliore. E adesso? Tu che vivi l’alienazione di questo sistema, tu
per cui ho scritto dall’agosto del 2010 Il Più Grande Crimine con questi nove
aggiornamenti, tu che sei di quelli della vera
Italia del lavoro a rotoli, della sanità opzionale, delle scuole nel burrone… a
te cosa dico adesso? Posso forse dirti che con una pinza, un cacciavite e ‘olio
di gomito’ potremo cambiare i circuiti dei megaprocessori di Ginevra che ci
controllano? Non posso, è impossibile. Dovrei fermarti una sera al ritorno dal
tuo lavoro al Fini grill e condurti attraverso le settemila pagine dei manuali
informatici necessari a capire e a
combattere quella macchina infernale. Tu, stremato dai panini, dalla musica
techno di plastica, e dalla sfiducia, mi manderesti a quel paese. E come te i
milioni di altri. Eppure senza quello studio non si ferma neppure una lucina di
un led in quel mostro di cavi e circuiti.
Hanno
vinto loro, lo dico con immensa serietà. Quella intercapedine, quella idea… che
incredibili bestie che sono stati. Li ammiro da un certo punto di vista, la
perfezione del male suscita ammirazione per la sua immacolata forma senza
errori.
Sarò
ancora davanti a questo pc a scrivere altri aggiornamenti sul Più Grande
Crimine, per due motivi: primo, perché l’ho visto e una volta visto non posso
staccarmene. Secondo, perché devo lottare contro la depressione, e il
Citalopram non lo prenderò mai più. Non funziona.
Paolo Barnard
Fonte: www.paolobarnard.info
Link: http://www.paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=206
1.02.2011