DI NICOLETTA FORCHERI
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Il parallelismo ha del paradossale ma non può non saltare agli occhi leggendo l’articolo di Feltri di qualche giorno fa. Barnard “scaricato” dalla Rai perché citato in giudizio per un report sugli informatori farmaceutici e il caso Berlusconi multato per il lodo Mondadori a risarcire De Benedetti con 740 milioni di euro hanno forse più di un punto in comune. Nel caso Barnard, una multa – sproporzionata perché chiaramente ingiusta – a vantaggio degli interessi multinazionali farmaceutici. Nel caso Berlusconi, una multona sproporzionata a tutto vantaggio di certa finanza internazionale (Debenedetti e i suoi amici). Nel primo caso, la posta in gioco è la libertà di stampa del giornalista, e la possibilità di esercitare la sua professione: un vaso di carta schiacciato dallo strapotere del vaso chimicofarmaceutico; nel secondo ne va della possibilità di un politico democraticamente eletto di esercitare il suo mandato, annullata o attaccata dallo strapotere di certa finanza. Certamente vi è il galvanizzato “conflitto di interesse”, sicuramente le colpe di Berlusconi sono infinitamente più gravi di quelle di Barnard, il quale ha fatto solo il suo mestiere di scrupoloso cronista, mentre il primo nel suo mestiere di imprenditore – prima di darsi alla politica – qualche reato lo avrà indubbiamente commesso, ma non meno tipicamente di tutta una classe di imprenditori, non dico italiani ma mondiali.
Non ho letto la sentenza Barnard, però quel che salta agli occhi è la non motivazione di giustizia per il suo caso e la pena spropositata in ambo le sentenze rispetto alla colpa – presumibilmente vera ( Berlusconi) o inesistente (Barnard).
Il grosso sbaglio di tutta la sinistra od opposizione che dir si voglia, è quello di far finta di presupporre, artificiosamente, che giustizia e legalismo siano coincidenti, lungi dall’essere vero. Me lo spiegò a un’udienza una giudice in cui ero la convenuta per un cavillo – il non invio della mia patente – belga – di cui mi era stato detto a voce che ero esentata : la giudice mi ripetè con forza e prepotenza che la legge non è la giustizia. Mi scadette immediatamente l’immagine che avevo dei giudici di pace, che pensavo vicini al popolo, da carica con certa aurea e indipendenza, a pedissequo servitore dei mille cavilli e sofismi legali dello Stato. Per chiarire il suo concetto a me visibilmente miscredente, spiegò di come lei stessa fu multata ingiustamente da giovane perché aveva indossato un bikini, in un’epoca in cui vigeva ancora il divieto. Non era giusto ma era la legge. E io che pensavo che un giudice dovesse giudicare secondo giustizia… Che ingenua!
Nel caso Barnard si sono cambiate le regole in tavola, al primo brutto passo è stato negato quel che era sempre stato garantito ai giornalisti: ma si sa, il processo di precarizzazione e di esproprio dal lavoro è attivamente e rapidamente in essere – anche per loro – quarto pilastro che dovrebbe essere indipendente delle nostre democrazie – sorte che seguirà anche certa politica. Chissà che anche nel caso Berlusconi non siano state cambiate le carte in tavola? Non era stato raggiunto un accordo all’epoca della spartizione di Mondadori e Espresso/Repubblica tra Debenedetti e Berlusconi? Non era stata seguita una legge antitrust, voluta da Craxi e Andreotti, che prevedeva la separazione tra le diverse società ai due divrsi proprietari? Che bisogno c’era allora di corrompere un giudice?
Quel che è in atto non è tanto l’attacco di certa magistratura politicizzata a un politico o a un giornalista, bensì l’attacco della magistratura “finanziarizzata” alla libertà di stampa – che la stessa finanza detiene – e alla politica – che essa corrompe.
Nicoletta Forcheri
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9.10.2009