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La Redazione

 

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1947, Colonia Italia: “IL PARLAMENTO NON PUO’ CONTROLLARE LA MONETA”

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A cura di Redazione CDC
Il 13 Dicembre 2020
6056 Views

CDC STORIA

Con questa rubrica CDC vuole sfuggire all’eterno presente imposto dalla propaganda mainstream e guardarsi indietro, senza filtri: troverete sempre documenti storici e studi indipendenti, nella loro interezza, senza elaborazioni o commenti redazionali.

Per non dimenticare, ma per ricordare che Oggi è figlio di Ieri, e che ciò influenzerà inevitabilmente il nostro Domani.

Appendici del Titolo III della Parte seconda – Argomenti o articoli non entrati nella Costituzione – Autorizzazione del Parlamento per battere moneta

[Il 24 ottobre 1947, nella seduta pomeridiana, l’Assemblea Costituente prosegue l’esame degli emendamenti agli articoli del Titolo terzo della Parte seconda del progetto di Costituzione: «Il Governo».]

Passiamo agli emendamenti aggiuntivi.

L’onorevole Romano ha proposto due articoli aggiuntivi. Il primo (art. 90 bis) è del seguente tenore:

«Il Governo non può battere moneta senza la previa autorizzazione del Parlamento».

L’onorevole Romano ha facoltà di svolgerlo.

Romano. Pare che l’articolo aggiuntivo proposto sia stato appreso da qualcuno come una stranezza; ebbene, penso che non vi sia nulla di strano giacché una norma consimile è esistita anche in Inghilterra. Ho voluto appositamente controllare un commento della Costituzione inglese in modo da essere sicuro del precedente costituzionale.

Per illustrare l’emendamento aggiuntivo proposto, ritengo necessario richiamare i precedenti legislativi riguardanti gli istituti di emissione. La legge fondamentale, che regolava i tre istituti di emissione, cioè Banca d’Italia, Banco di Napoli e Banco di Sicilia, legge che in gran parte regge tuttora l’unico istituto di emissione, è quella del 10 agosto 1943, n. 449, che fu detta di riordinamento degli istituti di emissione.

Insieme con varie modificazioni successive essa venne fusa in un primo testo unico del 1900 approvato con regio decreto 9 ottobre 1900, n. 373, ed in un secondo testo unico del 1910, approvato con regio decreto 28 aprile 1910, n. 204.

Modificazioni di capitale importanza del testo unico del 1910 si ebbero col regio decreto 17 giugno 1928, n. 1377, decreto col quale furono sanzionati gli accordi conclusi il 5 maggio 1928 tra il Tesoro e la Banca d’Italia. Altre modificazioni pur esse importanti si ebbero nel 1935 in ordine alla circolazione dei biglietti. In ultimo vi è stato il decreto di riforma bancaria del 1936 per effetto del quale, oltre ad essere state mutate la figura giuridica e la costituzione della Banca d’Italia, nuove norme sono state stabilite nei riguardi del suo ordinamento, delle sue operazioni e delle sue funzioni.

Nell’articolo primo del decreto del giugno 1928 si legge: «Saranno presi accordi tra il Ministero delle finanze e la Banca d’Italia per evitare aumenti di circolazione negli stessi margini risultanti dal rapporto proporzionale considerato nell’articolo 4 del regio decreto-legge 21 dicembre 1927, n. 2325».

Quindi l’istituto unico di emissione, supremo regolatore del mercato, ha il dovere di mantenere la circolazione dei propri biglietti in determinati limiti e di non accrescerla in modo non rispondente al migliore andamento del mercato monetario.

In tal maniera il limite della circolazione effettiva rimaneva affidato alla prudenza dell’Istituto di emissione, che doveva tener conto del mercato monetario e della riserva, che veniva distinta in ordinaria e straordinaria. Questo sistema fu temporaneamente modificato nel 1935, disponendosi la sospensione in linea provvisoria ed eccezionale dell’obbligo della riserva (regio decreto-legge 21 luglio 1935, n. 1293, e regio decreto-legge 5 settembre 1935, n. 1647).

Col sistema fino ad oggi adottato siamo venuti a trovarci nella condizione di non conoscere il volume della massa circolante, anche perché, dopo l’invasione del nostro territorio, hanno funzionato più torchi in Italia: quello italiano, quello tedesco e quello americano. Altra confusione è stata originata dall’abbandono delle nostre intendenze in Jugoslavia e in Africa.

Penso che sia venuto il momento di tenere una buona volta conto che a parità di circolazione e di volume di merci le variazioni dei prezzi sono proporzionate a quelle della quantità di moneta.

Tutto ciò mi ha indotto, col conforto del precedente avanti accennato, a proporre una norma che possa costituire un freno alla circolazione cartacea. Nell’emissione della moneta il legislatore deve preoccuparsi di costringere il Governo ad una condotta seria. La carta moneta è un credito, fonte di questo credito è la fiducia. Le industrie, l’agricoltura ed il commercio ruotano intorno a questa fiducia.

La vita di questa fondamentale attività dell’uomo si svolge appunto in quel complesso di operazioni che avvengono attraverso le banche, le quali sono diventate tanti sistemi planetari ruotanti intorno a quegli astri di fiducia che sono le banche di emissione. Lasciare incontrollata l’emissione di carta moneta significa lasciare aperto il varco a pericoli diversi. Quando un Governo intende preparare una guerra fa prima girare il torchio e con la carta-moneta mette in moto gli alti forni. Allo stesso espediente ricorre quando vuole attuare un protezionismo industriale.

Il Parlamento, rimasto estraneo a questi atti, che incidono nella vita del Paese, viene a trovarsi in un secondo tempo di fronte al fatto compiuto. Penso quindi che sia doveroso controllare l’emissione della carta moneta, giacché la fiducia nella moneta è in rapporto alla condotta più o meno seria del Governo. Controllare questa condotta è dovere dei Parlamenti.

Oggi prevale la tendenza a tutto controllare, anche quando il controllo costituisce un intralcio.

Invece per l’emissione della moneta ci si rimette alla prudenza dell’istituto di emissione.

Se la moneta rappresenta in qualche modo la fiducia che si può riporre in un popolo, questo ha il diritto ed il dovere di vigilare e controllare a mezzo dei suoi rappresentanti la nascita della moneta, strumento onnipotente ed onnipresente della vita economica del Paese.

(Commenti).

Presidente Terracini. Invito la Commissione ad esprimere il proprio avviso sull’articolo aggiuntivo 90-bis proposto dall’onorevole Romano.

Tosato. La Commissione non può accettare questo articolo aggiuntivo.

Presidente Terracini. Lo pongo in votazione.

(Non è approvato).

24.10.1947

Fonte: https://www.nascitacostituzione.it/05appendici/06p2/03p2t3/03/04/index.htm

ANTONIO ROMANO, DEMOCRAZIA CRISTIANA

UMBERTO TERRACINI, PARTITO COMUNISTA ITALIANO

APPROFONDIMENTI

La nascita della Costituzione. Le discussioni in Assemblea Costituente
a commento degli articoli della Costituzione –  A cura di Fabrizio Calzaretti

Pubblicato da Jacopo Brogi per ComeDonChisciotte.org

 

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