DI MASSIMO FINI
In Italia non si sa più se siano più liberticidi, faziosi e cretini quelli di destra o quelli di sinistra. Prima c’è stata la vicenda del magistrato Carlo Fucci che, ricevuta un sms irriverente e irridente nei confronti dell’onorevole Berlusconi l’ha girata ad alcuni conoscenti.
Per questo episodio alcuni esponenti della destra hanno chiesto le immediate dimissioni del Fucci da segretario dell’Associazione nazionale magistrati mentre il ministro Guardasigilli, il leghista Roberto Castelli, ha avviato un’inchiesta e si è riservato di “assumere eventuali iniziative disciplinari”. Ora, il contenuto di un Sms come di una telefonata o di una lettera fa parte della corrispondenza privata, e inviolabile, e non è in alcun modo sindacabile e censurabile. Lo dice a chiare lettere la Costituzione repubblicana all’articolo 15: “la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili.
La loro limitazione può avvenire solo per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge”. Per mere ragioni di opportunità politica soggetti che ricoprano cariche istituzionali o particolarmente delicate possono incontrare limiti alla loro libertà di espressione in pubblico.Ma mai e poi mai nel privato che è – e ci mancherebbe altro che non fosse – una sfera di libertà inviolabile come garantisce la Costituzione. Il caso non doveva nemmeno nascere.
Adesso è sotto accusa il giocatore della Lazio Paolo Di Canio che alla fine del derby vittorioso con la Roma, in piena trance agonistica, avrebbe fatto il saluto romano ai suoi tifosi, il che configurerebbe il reato di “apologia del fascismo”. C’è un’inchiesta della magistratura e una della Figc, si stanno esaminando con grande accuratezza fotografie e filmati per capire se Di Canio ha alzato un braccio solo o tutti e due, se il braccio era proprio teso o un po’ piegato, se il saluto era veramente romano. Tutto ciò mi ricorda un esilarante episodio accaduto durante il Ventennio, a Genova, e di cui uno zelante quotidiano dell’epoca dava conto. Dunque, un bambino della scuola materna era stato pescato a dire “blutto, blutto Mussolini”. Si erano fatte delle indagini e si era scoperto che a inculcargli quelle parole era stato il padre che fu chiamato dalla polizia e strigliato a dovere. Concludeva il giornale, senz’ombra d’ironia: «Adesso il bambino, rieducato a sani sentimenti fascisti, dice “blavo, blavo Mussolini, eia eia allalà”».
Nell’attuale democrazia italiana, dove son diventati tutti liberali, senza nemmeno conoscere l’abc del liberalismo, non dico il pensiero di John Locke, di Stuart Mill, di Montesquieu ma quello di Benedetto Croce, di Luigi Einaudi e persino di Giovanni Malagodi, dove si son persi anche i fondamentali della cultura liberale e della stessa costituzione, viviamo un’epoca di cupo conformismo bipartisan in cui sono messi al bando l’ironia, la satira, il cachinno, che anche i regimi totalitari han sempre tollerato (nella Jugoslavia di Milosevic c’era, sui giornali, nelle radio per non parlar del teatro, una feroce satira contro l’autocrate di Belgrado, sua moglie, i suoi figli) e la libera espressione di idee politiche che non siano “correct” e persino dei sentimenti. Non si può più nemmeno odiare in questo Paese, si vogliono mettere le manette, oltre che alle idee, anche ai sentimenti, cosa che nemmeno Stalin e Hitler avevano preteso.
I dittatori si contentavano di avere tutto il potere, non pretendevano di essere anche amati. In quanto al reato di “apologia di fascismo” è una fattispecie di tipica cultura fascista. È infatti una norma liberticida. In una democrazia autentica tutte le idee, per quanto possano apparire abnormi, hanno il diritto di cittadinanza purché – questo è il solo e decisivo discrimine non siano fatte valere con la violenza. La democrazia deve accettare anche idee che le sono completamente antitetiche. È il prezzo che paga a se stessa. Diversamente non si differenzia da altri sistemi, per esempio da una Repubblica islamica come quella iraniana, dove ci sono vari partiti, un Parlamento in cui si dibatte con molta vivacità ed è accettata ogni idea purchè non sia contraria alla teocrazia.
Massimo Fini
Fonte:www.ilgazzettino.it
11.01.05