Di Raffaele Varvara, ComeDonChisciotte.org
Sul finale dell’articolo precedente invitavo a unire teoria e pratica, pensiero e azione secondo la teoria dei 3 livelli della rivoluzione di Marco Guzzi.
Il primo è il livello individuale in cui ognuno di noi avverte qualcosa che non va e si mette in ricerca; Il secondo è il livello culturale in cui i singoli trovano aggregazione in associazioni, gruppi, testate giornalistiche, per portare i propri comuni percorsi iniziatici su un piano divulgativo/culturale.
Il terzo livello è il livello politico in cui le istanze, i bisogni, le aspirazioni del primo e del secondo livello, si trasformano in aggregazione politica per rompere la storia con l’attuazione della rivoluzione.
Se i primi due livelli sono decisamente avviati, perché il terzo livello fatica a scattare? Già solo alla pronuncia delle parola “politica” e dalla parola “partito” scatta una reazione pregiudizievole quasi inconscia. Ciascuno di noi, non è immune dal potere dell’etichetta: “partito politico = malaffare”.
Del resto, la ragion popolare che ha portato alla vittoria del SI, è la risultante delle tantissime persone che di politica non ne vogliono più sentir parlare, dei disillusi, degli arrabbiati, dei manipolati dalle TV, di quelli che da 30 anni vedono peggiorare inesorabilmente le loro condizioni di vita e, comprensibilmente, scelgono di tagliare la propria rappresentanza perché la sentono ormai inutile, lontana o addirittura dannosa.
È così radicata dentro di noi questa etichetta che quando ai genitori della mia fidanzata dissi: <<Milito in un partito politico>> la reazione è stata la stessa di se avessi detto che: <<Faccio il contrabbandiere!>>
Contemporaneamente, in questi casi, scatta il, da me ri-battezzato, “gesto dell’impastatrice”: se è vero che il linguaggio del corpo influisce per il 70% nella comunicazione, scattano le 5 dita capovolte a girare come un’impastatrice (con più velocità) per indicare qualcosa di “losco”, avvezzo alla “truffa”.
Successivamente, da parte dell’interlocutore arrivano le più disparate richieste:
1. <<Mi devi sistemare di qua>>,
2. <<Mi devi fare questo piacere>>,
3. <<Ti posso fare da portaborse?>>
.Fa ridere si, ma poi ti rendi conto che non è mica facile, contrapporre a questo marciume di senso, la spinta contro-culturale di un’idea di politica come arte nobile al servizio della comunità.
Dobbiamo ripartire proprio da quella cosa lì che in questi giorni le case editrici sono impegnate a ri-stampare: la Costituzione. Il partito politico è l’unica configurazione riconosciuta dall’ art. 49 della Costituzione per concorrere a determinare la politica nazionale. Il partito, dunque, unisce le energie del primo e del secondo livello e sintetizza il passaggio dal secondo al terzo livello.
Militare in un partito politico vuol dire andare in piazza a rompere il silenzio e gridare nel deserto, vuol dire cominciare l’impresa titanica di rianimare le coscienze, vuol dire condividere un esperienza di straordinaria sintonizzazione delle anime e l’orgoglio di appartenenza ad una storia comune, comune in noi pochi. Pochi e fermamente consapevoli di essere portatori di novità. La novità è piccola, la nuova cosa è piccola è indifesa, è umile ma potente perchè porta dentro di se tutta l’energia che renderà il neoliberismo cenere del passato. I risultati delle elezioni “sono piccoli” perché noi siamo umili, appena nati, gli ultimi arrivati! Ma la novità che annunciamo è che l’uomo di matrice egoico-bellico-materialista sta per volgere al termine mentre dentro di noi sta nascendo un nuovo modo di stare al mondo, un nuovo modo di essere coscienti di sé nel mondo presente.
Chi milita in un partito vive in gestazione. Quando si è in attesa di un bambino tutto ciò che fa la mamma lo si fa a beneficio di ciò che di nuovo in lei va divenendo.
La nostra vita di partito è una vita in attesa di un progetto politico/culturale rivoluzionario che vuole avvenire e divenire attraverso di noi. Quindi, essendo “in gravidanza”, operiamo unicamente a beneficio del nuovo e ci asteniamo da qualsiasi cosa che possa fare male al nascituro. A beneficio della nostra creatura ci vediamo, ci incontriamo, organizziamo iniziative, incontri seri e cene goliardiche, al contempo evitiamo di rimanere isolati ognuno nella propria remota trincea, perché oggi serve a poco!
Usciamo dall’isolamento in cui, nostro malgrado, siamo finiti perché ci hanno ammalati! Se adesso il primo comandamento è il distanziamento, allora la prima pratica insurrezionale è aggregarsi!
Ora serve innalzare il livello delle nostre lotte, per arrivare a percorrere il 3° livello della rivoluzione, traendo forza dal nucleo di passione e di anelito intimo, profondo e comune in ciascuno di noi. Unitamente serve la consapevolezza per cui non conta lo zerovirgola alle elezioni, conta quanto futuro abbiamo nel nostro pensiero, quanto potenti e radicali siano le nostre parole, quanto di quello che diciamo oggi tra 30 anni sarà ancora valido e si potrà ascoltare come qualcosa ancora di attuale, quanto un partito popolare riuscirà a incanalare le energie del primo e del secondo livello in un percorso di massiccia partecipazione democratica.
Adesso come adesso, articoli, libri, eventi culturali, interviste sono necessarie ma non sufficienti per contrapporsi al lento e inesorabile declino della democrazia con la giusta resistenza.
La dittatura sanitaria è pronta a sferrare ulteriori colpi, dunque se alle azioni del primo e del secondo livello della rivoluzione non si associa l’esempio, l’impegno, la passione, l’entusiasmo, la disciplina, la pazienza, l’umiltà e il sacrificio che contraddistinguono il terzo e decisivo livello della rivoluzione e che vuol dire fare politica e militare in un partito, assisteremo inermi all’avanzata del nemico.
Bisogna dotarsi di queste doti interne per percorrere un cammino che prevede, prima di giungere al paradiso, come il sommo Dante, il passaggio dall’inferno di un presente pesante.
Non importa dove, militate e mettetevi a disposizione della storia!
Raffaele Varvara, ComeDonChisciotte.org
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Pubblicato da Jacopo Brogi per ComeDonChisciotte.org