Alcuni interessanti spunti di storia dell’abitare e di come le esigenze delle famiglie siano state orientate dai potenti.
Adesso tecnologia e cambiamenti sociali stanno modificando le case: la crisi della famiglia fa il paio col tramonto della suddivisione domestica degli spazi.
di Franco La Cecla
Nulla rappresenta meglio la modernità dell’abitare quanto l’invenzione e la fortuna di uno spazio che a noi sembra ovvio: il corridoio. L’idea di uno spazio che serva a distribuire l’accesso alle stanze della casa è un’invenzione della fine dell’Ottocento e viene sperimentato nelle case per le classi lavoratrici. È uno spazio teso a dare una disciplina di vita a classi che si ritenevano immorali e pericolose. Serve a dividere lo spazio del sonno dei figli da quello dei genitori (a quel tempo si era convinti che l’incesto fosse inevitabile) e a separare in attività diverse i luoghi della casa.
In quegli anni il problema è fissare le famiglie in singoli nuclei, spezzare l’idea dell’abitare in gruppo, rendere i domicili controllabili da esattori delle tasse e polizia. E soprattutto chiudere le famiglie in casa, combattere l’abitudine all’osteria e al lavatoio comune. Quando Garibaldi arriva a Palermo nel 1860 scopre una città che vive nei cortili e nei vicoli. I piemontesi prenderanno seri provvedimenti, con i carabinieri, perché tutto ciò avesse fine.
Negli stessi anni, il re di Francia vive in un palazzo reale dove non c’è distinzione di stanze, né corridoi. I palazzi reali, ma anche i palazzi dell’aristocrazia del tempo hanno le stanze, come si dice, a cannocchiale, una di seguito all’altra. Il re dorme dove gli capita, mangia dove viene apparecchiato e spesso fa le sue funzioni corporali in pubblico. L’appartamento nasce invece dall’esigenza di appartare, di separare, di distinguere, come se ci fosse un grande pericolo nella commistione di funzioni e attività. Pericolo che l’aristocrazia non corre. Le classi più umili, ma anche la nascente borghesia, devono invece imparare a comportarsi come si deve e l’appartamento serve all’uopo. Da questa idea di educazione attraverso la casa prende l’avvio la grande ricerca sugli spazi interni che avrà il suo culmine nel Bauhaus e nella ricerca di moduli abitativi consoni all’uomo e alla donna moderni.
Dall’America, negli anni 60, arrivano gli elettrodomestici e la cucina all’americana che arreda un’intera stanza. La nuova casa sarà funzionale nella cucina, lavabile nel bagno, rappresentativa nel salone, pacchiana e buonista nella stanza da letto, svedese nella camera dei bambini. La borghesia italiana avrà come segno di distinzione il corridoio, ma soprattutto l’ingresso, uno spazio inutile e sprecato, ma che fa distinzione. Questa casa, che approda in Italia negli anni 50, attraversa il trentennio successivo senza grandi modificazioni e si espande uguale e monotona su tutto il territorio nazionale. Le stesse trapunte lucide, lo stesso mobile a specchio nella camera da letto, gli stessi salotti e lampadari e la stessa camera dei ragazzi con letti a castello. Il boom del mobilificio italiano offre alla maggioranza una compensazione in barocca pacchianeria nell’arredamento e a una minoranza un po’ di design internazionale. Bisogna aspettare la metà degli anni 80 perché questo modello entri in crisi. La famiglia cambia impercettibilmente: divorzio e una certa mobilità rendono alcuni spazi più elastici. La cucina e la stanza da pranzo spesso si fondono. Prendono importanza il congelatore e il forno a microonde. C’è meno tempo per cucinare, spesso i figli di un precedente matrimonio alterano il ritmo regolare di pranzi e cene. E poi si esce di più, in tutta Italia. Viene a cadere il modello di casa come custodia, dove difendere e controllare le famiglie. Con l’invenzione del telefono portatile cade uno dei pilastri costituenti il motivo di stare a casa. Lì non si ricevono nemmeno più le telefonate. Gli interni devono essere pronti ai cambiamenti nella composizione della famiglia e alla mobilità del lavoro.
In più, l’idea che la casa debba contenere beni durevoli tramonta. Ikea e la nuova mobileria suonano il funerale, sia del mobile di valore e pesante sia del design troppo caro. L’innovazione è che la casa si riempie di ninnoli e di gadget. La camera dei figli è piena di orrendi pupazzi. I meno ricchi continuano a consolarsi con chincaglieria di falsomurano e falsoetnico. L’ingresso, il corridoio hanno sempre meno senso. I single si fanno avanti con i loro monolocali e i loro loft. Si torna alla casa come spazio aperto da riempire con mobili spostabili e smontabili. Sembra un’innovazione. È invece un ritorno all’ancien régime. Se da una parte la famiglia e la distribuzione degli interni sono in crisi, dall’altro non c’è un ritorno evidente alla vita comunitaria e di vicinato. Il vero mobile che sfonda in questi anni è la porta blindata. Quella che per lo più, se è capace di tenere fuori i ladri, non è in grado di trattenere la fuga dei figli.
Franco La Cecla
Class – dicembre 2004 – Abitare