Di Raffaele Varvara, per Comedonchisciotte
Aggressioni e violenze a carico del personale sanitario, soprattutto nei pronto soccorso, sono talmente ricorrenti e sistematici che configurano una vera e propria piaga sociale dei nostri tempi. Nel 2024, in Italia, ci sono stati 25.940 episodi di violenza su personale sanitario,+33% rispetto all’anno precedente. Il 73% degli aggrediti sono donne (1).
La cronaca convenzionale presenta sempre da un lato gli aggrediti, i sanitari vittime sacrificali di un sistema ridotto all’osso, dall’altro gli aggressori, esagitati, squilibrati che improvvisamente danno sfogo ai loro istinti distruttivi. Lo sappiamo: l’informazione mainstream ricorre a questa tecnica riduzionistica, semplificatoria, per banalizzare i fatti e fomentare divisioni tra categorie o tifoserie, spesso bollate con etichette altamente stigmatizzanti.
La realtà è molto più complessa: nei contesti di cura, tra curanti e curati, l’episodio di violenza è solo l’esito di una lunga escalation conflittuale spesso innescata proprio dai sanitari; l’aggressione dunque è la punta dell’iceberg di un sommerso di frustrazioni, privazioni, burnout; a dichiararsi in “burnout” è il 50% dei sanitari come emerge dalla survey condotta da Fadoi – Federazione dei medici internisti ospedalieri, su un campione rappresentativo di oltre duemila professionisti sanitari (2). Il burnout dei sanitari non è da confinare a un problema del singolo medico o del singolo infermiere, bensì rappresenta una questione di sanità pubblica che ha un impatto significativo sugli esiti di salute degli assistiti. L’ansia, la depressione, l’irritabilità, la deprivazione delle energie motivazionali, la tossicità degli ambienti di lavoro, la percezione del professionista di essere inserito in un sistema-tritacarne volto non alla valorizzazione delle sue competenze ma unicamente al raggiungimento del massimo profitto, sono le principali cause scatenanti gli episodi di aggressione. Le relazioni di cura tra curanti e pazienti, risultano sempre più conflittuali poichè contaminate da questo mix di passioni tristi che causano l’escalation, un climax crescente di sfiducia, attacchi verbali e poi aggressioni fisiche.
Al comitato Di Sana e Robusta Costituzione giungono quotidianamente segnalazioni di maltrattamenti, abusi e ricatti. Emblematica la segnalazione giunta dall’ospedale di Erba (CO), dove una signora è stata allontanata in malo modo dai sanitari che ponevano divieto di far visita a sua mamma ricoverata in Pronto Soccorso da 5 giorni: è stato necessario l’intervento conciliativo di de-escalation conflittuale del Difensore Clinico del comitato per calmare i sanitari e spegnere un focolaio violento che sarebbe potuto essere l’ennesimo episodio in pasto alla propaganda mainstream e alla macchina del consenso politico. I politici di sistema usano approcciarsi alla risoluzione di questa piaga sociale con le solite misure “cosmetiche”: aumento dei presidi di polizia nei PS, body cam addosso agli infermieri, l’arresto in flagranza degli aggressori, la giornata nazionale contro le violenze negli ospedali (prossimo 12 marzo), sono solo pezze ai sintomi dei problemi, non la cura dei fattori scatenanti profondi.
La soluzione per ridurre le aggressioni deve essere invece una terapia sistemica che consideri la complessità del fenomeno; urge prendersi cura di chi cura con processi di elaborazione del burnout. Esistono percorsi di cura per sanitari che però curano i sintomi del burnout esclusivamente in chiave individuale-biografico-familiare; questi percorsi di cura non considerano che sta crollando un intero sistema di mondo e che di conseguenza il peso di quei disagi non può essere affrontato riduzionisticamente in maniera individuale, addossando la colpa al singolo professionista sanitario. Questi processi di elaborazione, quasi mai coinvolgono, i fattori storici e politici che influiscono in maniera determinante sulla salute dei sanitari e rappresentano le con-cause delle loro sofferenze. Se non si esprimono questi collegamenti, si rischia di far soffrire e di far sopportare l’enorme drammaticità della questione collettiva, come se fosse solo un problema di natura individuale, astratta e sciolta dai legami con i fattori storico-politici contemporanei. Per curare chi cura, servono percorsi di condivisione terapeutica, di socializzazione e politicizzazione del dolore, per collegare quei disagi alla fase storico-collettiva che viviamo e guarire con una terapia sistemica.
Rianimare il corpo professionale delle professioni sanitarie, così da garantire la tenuta del SSN, curare il burnout e ridurre le aggressioni sarebbe la più grande opera pubblica degli ultimi decenni ma le terapie per la sanità, nelle manovre finanziarie dei vari governi negli ultimi decenni sono, per usare un paragone clinico, come un antibiotico sottodosato per un paziente in sepsi conclamata, nulle rispetto al fabbisogno.
La commissione europea pensa a scorporare dal PIL le spese militari per il riarmo; semmai è la salute, unico diritto che la nostra Costituzione ritiene “fondamentale”, che non può sottostare al pareggio di bilancio o alle variazioni del PIL e che meriterebbe un rifinanziamento pari a quello necessario per la difesa comune europea.
Le aggressioni nei pronto soccorso sono il riflesso della violenza insita in ogni scelta di questa classe politica bellicista, feroce, sanguinaria ma ormai, evidentemente, terminale.
Di Raffaele Varvara, per Comedonchisciotte
07.03.2025
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