I coloni israeliani che si oppongono al ritiro Gaza hanno adottato come simbolo della protesta una stella di David arancione, in memoria della stella gialla che i nazisti imposero agli ebrei in Europa. Per loro, l’evacuazione degli insediamenti e’ equivalente alla Shoah, e’ una persecuzione degli ebrei e un tentativo di cancellarne l’identita’ nazionale. Un editoriale di Ha’aretz
DI ZVI BAREL
Un distintivo arancione? E perché no? Lasciamo pure che i coloni della Striscia di Gaza e della Cisgiordania indossino un distintivo, se gli fa piacere, giallo o arancione, a forma di stella di David o magari a forma di ameba. Se lo sono guadagnati onestamente quando, senza alcuna costrizione e con piena fiducia nel salto nell’abisso che stavano per compiere, si sono insediati nel ghetto dei territori occupati. Perché Yesha (acronimo di Giudea, Samaria e Gaza) è laggiù, non qui. Qui abbiamo uno Stato sovrano, legale e riconosciuto a livello internazionale: laggiù abbiamo invece la terra ghettizzata degli erranti, dove le leggi di Israele altro non sono altro che un consiglio, e spesso un male da sradicare. Lo Stato di Israele farà i conti con la nomea nazista conferitale dai suoi “figli diletti”. Dopo tutto, non è la prima volta che i coloni tacciano di nazismo i soldati della forza di difesa israeliana. Per i sopravvissuti dell’Olocausto, che ce l’hanno fatta malgrado il martirio portato da Dio ad Auschwitz (ed è lo stesso Dio ora invocato contro la sovranità dello Stato dai suoi emissari dell’insediamento di Gush Katif e del Consiglio di Yesha), la nascita dello Stato di Israele è fonte di rassicurazione. Ma qui non si parla della Terra di Israele, bensì dello Stato di Israele, quello che pretende, giustamente, che il diritto al ritorno dei palestinesi non venga esercitato all’interno dei suoi confini e che, per continuare a sopravvivere, chiede anche la revoca del «diritto al ritorno» di 7.500 coloni in terra nemica.
E’ altrettanto vero che l’abbandono di Gaza divide la nazione, separandola in due correnti di pensiero: la prima, piccola e rumorosa, con poche migliaia di sostenitori, aveva sempre creduto di essere riuscita a fagocitare lo Stato e ora, scoperto il proprio errore, si sente orrendamente vilipesa; la seconda, grande e silenziosa, composta di quasi sei milioni di persone, non ne vuole più sapere della droga che le è stata iniettata per quasi 40 anni come ricetta per una presunta salvezza: questa maggioranza cerca di liberarsi dal dybbuk (un’anima in pena che, secondo il folklore ebraico, si insedia nelle persone per comandarle) che la possiede.
E’ quindi sbagliato ritenere che Sharon stia separando la nazione. E’ la nazione stessa che si sta separando da questa sua parte superflua, da questa stella di David appesa ai territori come un cappio al collo dello Stato. Sharon è stato solo uno spettatore che, preso atto della posizione della stragrande maggioranza, ha scelto di assecondarla.
Lo Stato di Israele sta vivendo, seppure con molto ritardo, il processo che ogni impero affronta quando si accorge di avere i giorni contati. La Gran Bretagna ha lasciato l’India e la Mezzaluna Fertile, la Terra di Israele e l’Egitto; la Francia se n’è andata dall’Estremo Oriente e dall’Algeria; l’Italia ha abbandonato la Libia e l’Etiopia; l’Africa ha scacciato i suoi dominatori; e questi non sono che alcuni esempi. Ognuno di questi imperi era sicuro che avrebbe mantenuto per l’eternità i territori conquistati, quale promessa divina per una cultura superiore. Per Israele, il processo di recupero è appena cominciato.
Non ci si sta riprendendo da una vera e propria malattia, ma semmai da un’illusione che ha distorto il senso comune, i confini fisici dello Stato e la capacità di discernimento tra legalità e illegalità, tra sogno e realtà. Per decenni, questa illusione ha narcotizzato decine di migliaia di persone che ora chiedono allo Stato: come puoi proibire questa droga all’improvviso, senza neanche un processo di disintossicazione? Dacci almeno un referendum, e saremo redenti; dacci il diritto di violare la legge, e ci comporteremo bene; rinchiudici in carcere, oh splendido Stato. Perché senza le dune di Gaza, senza i colpi di mortaio, senza il fumo denso e le vittime tra i bambini, non vale più la pena di vivere.
In un momento come questo, lo Stato è imbarazzato e confuso. Dopo tutto, lo si accusa di tradire il sionismo, la fede, i valori e l’ideologia, tutto insieme e a più riprese. Gli si chiede di togliersi dalla testa la realtà e di continuare a rimuginare sulla mitologia delle origini. In qualsiasi culto, il guru infonde terrore ai suoi seguaci per far sì che non lo abbandonino, e “l’Ordine di Gaza” non fa certo eccezione. I suoi leader minacciano di combattere contro tutto il paese e il suo esercito finché non sarà chiaro che i coloni non possono essere sconfitti. E’ proprio questo il momento in cui, in simili circostanze, l’uomo di medicina, devoto e potente, si alza e grida: «Via spirito maligno, esci da questo corpo!».
Zvi Barel
Fonte:www.liberazione.it
28.12.04
Traduzione di Sabrina Fusari