VECCHI E NUOVI VIZI AMERICANI DA NORTHWOOD ALLA GUERRA PREVENTIVA

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DI MARIO CONSOLI

La storia, se la si avvicina con un approccio disincantato e onesto, è sempre origine di importanti e istruttivi insegnamenti.Gli Stati Uniti d’America hanno aggredito l’Iraq per difenderci tutti dalle armi di distruzione di massa con le quali Saddam Hussein minacciava il pianeta. Ma queste armi nessuno le ha trovate.Non ci sono mai state.
E’ ormai ufficiale: erano la spudorata menzogna di George W. Bush
e di Tony Blair usata come pretesto per scatenare una guerra che, in ogni caso, per motivi molto diversi,volevano fare.Non è una novità:
gli USA si sono sempre comportati così e le loro piratesche scorrerie,in spregio ad ogni trattato internazionale, hanno riempito quasi duecento anni di storia.Duecento anni di scorrerie USA
Tra il 1836 e il 1853 gli yankees se la prendono con il vicino Messico al quale tolgono, con ripetute, gratuite aggressioni, i territori dell’Utah, dell’Arizona, della California e del New Mexico con Tucson.
Nel 1914 la marina americana cannoneggia Vera Cruz e 3000 marines scendono a terra imponendo un nuovo Presidente filo-USA, Venustiano Carranza. E’ il tempo della disperata lotta di liberazione nazionale di Pancho Villa e di Emiliano Zapata, per piegare la quale l’esercito nordamericano entrerà in Messico nel marzo 1916 e vi rimarrà per un anno.

Tra il 1849 e il 1913 la marina da guerra degli Stati Uniti irrompe nelle acque territoriali di Haiti. Nel 1915 i marines occupano tutta l’isola per rimanervi sino al 1934, quando ormai la popolazione autoctona è completamente sottomessa agli americani e al grande capitale internazionale che la sfrutta come manodopera a bassissimo costo (20 centesimi di dollaro per un’intera giornata di lavoro).
Gli americani nel 1898 si annettono Puerto Rico, le Hawaii, Guam e assumono il controllo delle Filippine.

Per realizzare il taglio del famoso istmo, con un golpe del 1903, gli statunitensi strappano dalla Colombia una provincia, costituendo con essa un nuovo stato, Panama, di cui prendono possesso.

Nel 1916 occupano il Nicaragua e la Repubblica Dominicana. L’anno dopo si impossessano delle Isole Vergini.

Con la Seconda Guerra Mondiale si impadroniscono totalmente degli arcipelaghi delle Caroline, delle Marianne e delle Marshall (più di 2000 isole), oltre a Ryukyu, Bonin, Volcano, Marcus e Wake.
Nel 1960 la flotta USA interviene per imporre al Guatemala un governo favorevole agli interessi americani.

E poi, una moltitudine di interventi indiretti. Decenni di ricatti finanziari, di grossolana corruzione dei governi locali e di piratesche azioni commerciali, per comandare su tutto il continente americano – Nord e Sud – e fiaccare ogni velleità indipendentista.
Ma i marines sono sempre irrequieti e il presidente Ronald Reagan non resiste alla tentazione di impiegarli ancora in azioni dirette, e così li rivediamo in azione nel 1982-3 a Beirut, sempre nel 1983 a Grenada e nel 1989, proprio come ai vecchi tempi, a Panama.

I rapporti tra Cuba e gli Stati Uniti

Nella casistica sin qui riportata, abbiamo tralasciato la più grande isola caraibica perché, per il tema che vogliamo sviluppare, Cuba merita un discorso a parte.
Nonostante i numerosi fermenti indipendentisti fomentati dall’aristocrazia creola, ancora per tutto il XIX secolo l’isola rimase sotto il dominio spagnolo.

I vicini Stati Uniti, infiltratisi con sempre maggiore prepotenza nei gangli economici e commerciali cubani – è del 1854 il cosiddetto Manifesto di Ostenda, con il quale un importante gruppo di diplomatici statunitensi proponevano l’acquisto e l’annessione di Cuba – manifestavano un peloso interesse per l’indipendenza dei creoli e aiutavano, fornendo denari e armi, ogni tentativo insurrezionale.
Nel 1868, col proclama di Yara, Carlos Manuel de Céspedes scatenò la prima guerra d’indipendenza, che dopo dieci anni si concluse con una resa di fronte a non sostanziali concessioni da parte di Madrid.
Nel 1879 si ebbe un nuovo tentativo di rivolta – la guerra pequena – che nel 1880 fu soffocato nel sangue.
E’ del 1895 l’inizio della seconda guerra d’indipendenza.
Tre anni dopo negli Stati Uniti, nonostante il “partito della guerra” fosse molto attivo a divulgare false notizie relative ad atrocità commesse dagli spagnoli, la maggioranza degli Americani, compreso il presidente William McKinley, erano contrari ad un intervento armato.

L’affondamento del Maine

Fu una notizia, ad arte fatta rimbalzare in ogni angolo degli Stati Uniti, a mutare radicalmente il sentimento popolare e a costringere il governo all’azione. Il 15 febbraio del 1898 la corazzata americana “Maine”, all’ancora nel porto dell’Avana, affondò a seguito di una devastante esplosione.
Attribuito l’attentato agli spagnoli, il “partito della guerra” prevalse e al grido “Ricordate il Maine, all’inferno la Spagna” gli USA battono la flotta di Madrid di fronte a Santiago (3 luglio) e i marines, sbarcati in forze, occupano l’isola.
Attraverso i prestiti della Speyr & C. – una banca ebraica di New York -; attraverso nuove occupazioni militari (1906); attraverso la repressione delle rivolte operata con l’intervento dei marines prontamente sbarcati dalle vigili navi che non smettevano mai di perlustrare le coste dell’isola; attraverso l’imposizione (anche via militare – 1916) di presidenti “amici”; da allora, da quel 3 luglio 1898, Cuba restò una dipendenza coloniale controllata dal grande capitale americano e dalla malavita italo-ebraica di New York, fino al 1° gennaio del 1959 quando, con la precipitosa fuga del dittatore Fulgencio Batista negli Stati Uniti, trionfa la rivoluzione di Fidel Castro e di Ernesto Che Guevara.

Ma l’affondamento del Maine non fu opera degli spagnoli. Molti storici, riportando la testimonianza di un sopravvissuto, sostengono che l’esplosione fu provocata da un incendio spontaneo nel magazzino del carbone che si trovava molto vicino alla santabarbara della nave. Altri sono propensi a ritenere che una mano, inviata dalle alte sfere, forzò il destino nella direzione voluta dal “partito della guerra”.
Sia nell’un caso che nell’altro, quello del Maine fu un pretesto, e gli Americani all’utilizzo dei pretesti si sono sempre dimostrati molto affezionati.

L’Operazione Northwoods

Spostiamoci nel 1962. Cuba è quanto mai una spina nel fianco degli USA. La rivoluzione castrista ha attecchito e agli affaristi della mafia, delle banche ebraiche e degli ambienti di Wall Street il territorio dell’isola è interdetto.
Il “partito della guerra” si agita, opera all’interno del Pentagono e preme sulla Casa Bianca. E’ presidente John F. Kennedy. La CIA, autorizzata dal governo, attua un piano ereditato dalla precedente amministrazione Eisenhower: armare e organizzare una spedizione militare sull’isola di esuli cubani (1400 uomini). Il 17 aprile 1961 essi tentano di sbarcare alla Baia dei Porci, ma ricevono una sonora batosta dalle truppe regolari dell’Avana.
Fidel Castro ha vinto anche questa battaglia, ma stretto dalla morsa di un totale isolamento economico e politico destinato a durare decenni, proclamata la Repubblica Socialista di Cuba, è costretto a siglare un accordo di mutua assistenza con l’Unione Sovietica.
A Washington i nervi stanno per saltare. Kennedy ritiene la CIA responsabile del fallimento dello sbarco, ma non vuole cedere a quei falchi del Pentagono che gli rimproverano di non aver autorizzato una copertura dell’US Air Force all’azione dei 1400 cubani anticastristi.
E’ così costituito un Gruppo Speciale Allargato incaricato di guidare la lotta anticastrista. Le azioni, rigorosamente segrete, concepite e varate da questo organismo, vengono genericamente nominate “Operazione Mangusta”.

Il gruppo è composto da Robert Kennedy, fratello del presidente, assistito dal suo consigliere militare generale Maxwell Taylor, dal consigliere per la sicurezza nazionale George McBundy, dal segretario di stato Dean Rush, assistito dal consigliere Alexis Johnson, dal segretario alla difesa, generale Robert McNamara, assistito dal consigliere Rosswell Gilpatric, dal direttore della CIA John McCone e dal capo di Stato Maggiore Interforze, generale Lyman L. Lemnitzer.
E’ proprio quest’ultimo il più accanito assertore di una dura azione militare e, per convincere il recalcitrante presidente, ìdea un dettagliato piano per la creazione di pretesti sufficienti a scatenare un’azione militare.

L’operazione viene chiamata Northwoods (Boschi del Nord) e, in un particolareggiato documento, per non incappare in nuovi fallimenti, vengono previsti tutti i dettagli del progetto. Bombardamenti, sequestri, pirateria aerea, abbattimento di velivoli e vittime statunitensi; tutte imprese da attribuire alle forze armate castriste e da gettare pesantemente sul tavolo delle decisioni della Casa Bianca.
“Un pretesto come quello del Maine”, come sfrontatamente scritto nel documento.

Qualche dettaglio sull’affaire North-woods per dare al lettore una precisa idea di cosa si era ideato e si stava per organizzare.
Una serie di incidenti attorno alla base americana di Guantanamo, con attacco di “amici” travestiti da militari castristi, esplosioni all’interno della base, sparo di colpi, lancio di granate, danni alle installazioni, cattura di finte squadre d’assalto e di finti gruppi di miliziani, affondamento di una nave all’entrata del porto, cerimonie funebri, in pompa magna, delle finte vittime, per eccitare l’opinione pubblica statunitense.
E ancora, far saltare un’imbarcazione battente bandiera USA, senza equipaggio e telecomandata, in qualche punto delle acque cubane, preferibilmente nei pressi dell’Avana o di Santiago.
“La presenza di aeroplani o navi cubane che stanno solo indagando sulle intenzioni della nostra imbarcazione potrebbe facilmente far credere che la nave era stata attaccata”.
“Una lista delle perdite sui giornali americani provocherebbe una provvidenziale ondata di indignazione nazionale”.
E ancora, “Sviluppare una campagna terroristica comunista-cubana nell’area di Miami, nelle città della Florida e persino di Washington”. “Affondare un’imbarcazione di cubani in rotta per la Florida”.
E poi, attentati contro esuli cubani rifugiati negli Stati Uniti; un’azione piratesca “basata a Cuba, sostenuta da Castro” simulata contro una vicina nazione caraibica. Gli aerei utilizzati (appositamente costruiti in segreto per l’azione) dovranno somigliare, in ogni dettaglio, ai MIG cubani.
E inoltre, distruzione di un aereo presentato all’opinione pubblica come carico di studenti in vacanza, simulando un attacco dei MIG di Cuba. E così via.

L’operazione è già pronta all’inizio del 1962 ed è previsto che scatti entro pochi mesi. Il piano è presentato dal generale Lemnitzer al ministro della difesa McNamara il 13 marzo.
Ma le alte sfere politiche di Washington sono molto preoccupate per gli sviluppi internazionali, sempre più tesi, con l’Unione Sovietica. La famosa “crisi dei missili” – che fece temere al mondo intero lo scoppio della terza guerra mondiale – è dell’ottobre 1962.
Il progetto Northwoods non viene considerato adatto a quei momenti e Robert McNamara lo boccia. Lemnitzer si fa minaccioso; volano paroloni. Ma, tant’è, il progetto è bloccato e nei sei mesi che seguono è guerra aperta tra Casa Bianca e Stato Maggiore Interforze. Lo scontro si conclude con l’allontanamento del generale Lemnitzer – che viene inviato a comandare le Forze Armate statunitensi di stanza in Europa – e lo scioglimento del suo staff.

Oggi è legittimo domandarsi, col senno del poi, chi veramente vinse quello scontro.
Kennedy il 22 novembre 1963 viene assassinato a Dallas e, tra la vasta rosa di ipotesi avanzate su chi fosse il mandante, c’è anche quella che attribuisce la responsabilità ad alcuni ambienti del Pentagono. Lemnitzer e gli altri ideatori dell’Operazione Northwoods rimasero invece, a lungo, tutti in carriera.
Lemnitzer, tornato in patria, lo troviamo accanto al presidente Gerald Ford in ruoli di primissimo piano.
Tra l’altro dirige un potente gruppo di pressione, il CPD, “Comitato sul pericolo attuale”, lavorando a contatto di gomito con George Bush padre, allora direttore della CIA e con Paul D. Wolfowitz, attuale sottosegretario alla difesa e responsabile delle operazioni in Afganistan.
Il generale William H. Craig, il più stretto collaboratore di Lemnitzer al tempo dell’Operazione Northwoods, diviene direttore della potente National Security Agency.
Prima di partire per l’Europa, l’ex capo di Stato Maggiore Interforze dà l’ordine – come consuetudine in casi del genere – di distruggere tutte le copie del documento dell’operazione bocciata dalla Casa Bianca.
E così fu, in tutti gli uffici e in tutti gli archivi interessati.
Una sola copia sopravvisse; quella consegnata da Lemnitzer il 13 marzo 1962 a McNamara, per ottenere l’autorizzazione ad agire. Il ministro della difesa la conservò nel suo archivio personale, e lì rimase per parecchi anni.

Nel 1992, a seguito del clamore suscitato nella pubblica opinione americana dal film JFK di Oliver Stone – incentrato sull’assassinio di Kennedy e sulle relative indagini sin allora svolte – il presidente Bill Clinton ordina l’apertura di moltissimi archivi risalenti al tempo dell’amministrazione Kennedy, compreso quello personale di McNamara.
E’ in questa occasione che il documento sull’operazione Northwoods è stato trasferito nell’Archivio della Sicurezza Nazionale, un Istituto Ricerche indipendente, non governativo, che raccoglie i documenti declassificati, acquisiti in forza del Freedom of Information Act (Atto sulla libertà d’informazione).
Di lì si è potuti giungere alla sua pubblicazione.

Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, di fronte all’incredibilità delle versioni ufficiali fornite dalla Casa Bianca, dalla CIA e dal Pentagono, in molti si sono domandati cosa davvero fosse successo; di chi veramente fosse la responsabilità di quei gravi atti terroristici.
E qualcuno ha cominciato persino ad adombrare inquietanti analogie con l’operazione Northwoods.
Il giornalista del Moscow Time, Chris Floyd, porta a conoscenza dei lettori l’esistenza di un “Gruppo di azione attiva e preventiva”, il P2OG, ai diretti ordini del Defense Science Board del ministro della difesa USA Donald H. Rumsfeld. Sembrerebbe che il Gruppo, già operativo nel 2000, fosse stato istituito per “eseguire missioni segrete studiate per stimolare reazioni nei gruppi terroristici, inducendoli a commettere atti violenti per poi esporli al contrattacco delle forze USA”.
Ed ancora, più esplicitamente: “Il governo degli Stati Uniti sta progettando di usare copertura, deviazione ed operazioni militari segrete per provocare sanguinosi attacchi terroristici contro gente innocente”.
Combattere il terrorismo, causandolo.
Inquietanti analogie!
Alla fine degli anni Novanta, negli ambienti vicini alla Casa Bianca, circolava un documento recentemente rivelato da alcuni coraggiosi giornalisti, nel quale si affermava che all’America, per dominare il mondo e le sue risorse, serviva “un evento catastrofico e catalizzante, come una nuova Pearl Harbor”.
Tremende premonizioni!
E una sequela incredibile di libri sono dati alle stampe in ogni parte del mondo con le confutazioni più dettagliate della versione ufficiale sugli attentati dell’11 settembre. Documentazioni fotografiche, ricostruzioni minuziose per smontare pezzo su pezzo le verità del governo USA.
Solo qualche cenno, per dare al lettore la dimensione di quanti e quali sospetti hanno suscitato questi lavori editoriali e giornalistici.
Van Romero, uno dei massimi esperti nel crollo di edifici, vice presidente del New Mexico Tech Institute, ha affermato: “La mia opinione è che dopo l’impatto degli aerei con le torri ci siano state alcune cariche esplosive piazzate all’interno dei grattacieli che hanno provocato il collasso delle torri”.

In Francia, Germania, Italia e in altri paesi sono stati pubblicati libri (ci riferiamo particolarmente alle opere di T. Meyssan, G. Reisegger, C. C. Walther e G. Wisnewski) con ricchissime documentazioni fotografiche che dimostrano, tra l’altro, come nessun aereo abbia potuto colpire il Pentagono, come si è voluto far credere, ma che si sarebbe trattato di un missile.
In una lunga intervista radiofonica concessa ad Alex Jones, presentando il suo libro “L’11 settembre e la CIA”, l’ex ministro della difesa ed ex ministro della tecnologia nei governi tedeschi e componente della Commissione parlamentare tedesca sui servizi segreti dal 1969 al 1994, Andreas von Bülow, è stato molto esplicito: si è posto molte domande alle quali non è riuscito a trovare esaurienti e credibili risposte.
“Nel 2001 è successo più di 60 volte che dei caccia siano saliti in volo per sistemare la rotta degli aeroplani che avevano qualche irregolarità. L’11 settembre c’erano quattro aerei che per due ore hanno volato ed erano in grado di restare in quota; hanno volato per un’ora in direzione ovest e poi sono tornati indietro. Le forze militari aeree non sono state capaci di bloccarle. E’ una cosa che non riesco a credere”.
Come mai – si è chiesto ancora von Bülow – è stato documentato che nove dei diciannove terroristi indicati come i dirottatori dei famigerati aerei, sono ancora vivi?

Come mai, la mattina dell’attentato, George Bush padre ha incontrato il capo della famiglia Bin Laden a Washington, all’Hotel Ritz Carlton? Come mai l’FBI ha pagato per le abitazioni, il trasporto, le carte di credito di coloro che sono stati indicati come i dirottatori?
Come mai pubblici funzionari come il sindaco Willie Brown e i Capi di Stato Maggiore dell’Esercito sono stati avvisati di non volare, quel giorno, su New York?

Come mai, per indagare sulla relazione tra Bill Clinton e Monica Lewinsky, il partito repubblicano ha stanziato dai 60 ai 70 milioni di dollari, mentre per indagare su quanto accaduto l’11 settembre il governo ha messo a disposizione solo 600 mila dollari? Inoltre, sia Bush che il suo vice Cheney ripetutamente hanno chiesto ai membri del Congresso di non perdere tempo [!] ad indagare in merito a quegli attentati.

Lo statunitense Michael C. Ruppert, ex ufficiale della polizia giudiziaria di Los Angeles, famoso per aver denunciato il ruolo della CIA nei traffici di droga, ha pubblicato un libro sull’argomento: “Crossing the Rubicon”.
Ruppert si spinge molto più in là degli altri e spara cannonate a tutto alzo: indirizza il suo dito accusatore direttamente contro il vice presidente Richard Cheney.
“Gli attacchi dell’11 settembre sono stati il risultato di una deliberata pianificazione e di operazioni orchestrate da dirigenti identificabili all’interno del governo degli Stati Uniti e dei settori dell’energia e della finanza, allo scopo di realizzare un attacco paragonabile a quello di Pearl Harbor, per dare all’impero americano il pretesto per guerre, invasioni e conseguenti confische delle riserve di petrolio e gas naturale nonché delle vie di comunicazione fondamentali per trasportarli”.
“Richard Cheney è il principale sospetto degli omicidi di massa dell’11 settembre: non solo è uno dei pianificatori degli attacchi, ma quel giorno disponeva di un sistema di comando, controllo e comunicazione completamente indipendente, che aveva la preminenza rispetto a qualsiasi ordine impartito dal Comando Militare Nazionale Centrale (NMCC) o dalla Situation Room della Casa Bianca”.
“Il servizio segreto disponeva di schermi radar che davano ai suoi uomini e al vice presidente, da cui essi non si separarono mai, informazioni in tempo reale uguali o migliori di quelle disponibili al Pentagono”.
Un certo numero di pubblici ufficiali a livello nazionale e della città di New York, tra cui il sindaco Rudolph Giuliani, si sono resi conto per 20 minuti che il volo 175 si stava dirigendo verso Manhattan e non hanno fatto niente – assolutamente niente – per ordinare l’evacuazione o allertare gli occupanti del World Trade Center. Un ufficiale dell’esercito fu costretto ad abbandonare il posto nel bel mezzo degli attacchi per chiamare privatamente il fratello che lavorava al WTC e dirgli di uscire.
Sull’11 settembre si è dunque detto di tutto ed anche i commentatori sostanzialmente prudenti, come il giornalista Giulietto Chiesa, hanno finito con l’affermare: “Di quale storia si è trattato, in verità, non possiamo sapere, ma tutta la storia che ci hanno raccontato non regge alla più elementare delle disamine”.

Non sappiamo se qualche documento imprudentemente conservato da un odierno McNamara sarà scoperto, nei prossimi decenni, in un nascosto archivio, dando certezze a indagini che oggi hanno tutta l’aria di stabilizzarsi sul livello delle ipotesi e dei sospetti.
Dobbiamo quindi chiedere soccorso, ancora una volta, alla tecnica analitica del “cui prodest?”.
In America si ricordano bene le conseguenze che si ebbero dopo l’attentato del 1995 ad Oklahoma City. C’è chi, a questo proposito, ha scritto che “si percepisce l’attuazione tangibile del moderno terrorismo di stato”.

Nel 1996, infatti, è approvata negli USA la Legge antiterrorismo e sulla pena di morte effettiva. Il quarto emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, con ciò, fu praticamente gettato nella spazzatura e gli americani si accorsero di essere molto meno liberi di prima.
Conosciamo bene, anche qui in Italia, come vanno certe cose. All’inizio degli anni Novanta si voleva varare una certa legge – nota come Legge Mancino – ma per farlo era necessario che ci fosse un’atmosfera di indignazione tale da far passare il provvedimento senza che nessuno si soffermasse sul reale contenuto dei singoli articoli.
Si inventò così l’Operazione Runa, una storia di cospirazioni montata da polizia, magistratura, stampa e autori di pamphlet compiacenti. Con la tecnica del “sbatti il mostro in prima pagina” innocui ragazzi e intellettuali non allineati – compreso chi scrive quest’articolo – furono criminalizzati da quotidiani e telegiornali e molti di loro, dopo pesanti restrizioni della libertà, si ritrovarono sul banco degli imputati nelle aule del Tribunale di Milano.

A questo punto, mentre la nuova legge passava sia alla Camera che al Senato, liscia come l’olio, il processo si sgonfiava completamente – proprio come avviene con le gravidanze isteriche -, questa volta nel più assoluto silenzio dei mass-media, e lo stesso Pubblico Ministero, il famoso magistrato Ferdinando Pomarici, chiedeva l’assoluzione per i principali imputati.
Intanto la legge Mancino, una legge liberticida, assurda, indegna di un paese civile, rimaneva e rimane sulla testa di tutti gli uomini liberi come una perenne spada di Damocle.
In America, dove notoriamente tutto è big, l’effetto dell’11 settembre si è concretizzato, all’interno degli Stati Uniti, con provvedimenti ben più pesanti: da quel momento, a briglia sciolta, si è arrestato, incarcerato, “fatto sparire” chiunque, cittadino americano o no.
Guantanamo dispone di parecchie gabbie che sono state velocemente riempite di persone cui non viene riconosciuto alcun diritto: né avvocati, né possibilità di comunicare con i familiari, né normali interrogatori, né regolari processi. E, ci si può e deve domandare, quante altre Guantanamo sono state, da allora, in segreto, organizzate dentro e fuori il territorio USA?

Dunque, mentre palesemente nessun beneficio il crollo delle Torri ha portato ai popoli arabi, abbiamo assistito ad un veloce rafforzamento del potere della Casa Bianca, del Pentagono, della CIA e dell’FBI.

La guerra preventiva

Ma l’11 settembre ha prodotto molto di più che una sterzata liberticida all’interno degli Stati Uniti d’America.
Ha cambiato profondamente il rapporto tra gli USA e il resto del mondo. E questa non è certo una questione di poco conto.
Abbiamo visto come la prepotenza degli yankees si sia espressa con sanguinose aggressioni durate due secoli. Ma, nonostante la spudoratezza dell’agire statunitense, è stata pur sempre presente la ricerca di pretesti – trovati per strada o preparati ad hoc poco importa – per giustificare il proprio agire.
Con l’11 settembre, con questo “evento catastrofico e catalizzante, come una nuova Pearl Harbor”, Bush – con tutte le lobbies che lo supportano e lo controllano – si è sentito autorizzato ad inventare l’assolutamente nuova dottrina della “guerra preventiva”.
Superata da decenni la consuetudine, certo troppo cavalleresca per i nuovi padroni del mondo, della “dichiarazione di guerra” – da lunga pezza gli USA sono soliti prima bombardare, poi manifestare le proprie intenzioni – oggi, con la guerra preventiva si è radicalmente cambiata scena. Anzi, siamo finiti su un altro pianeta.

Mentre Bush non mostra pudori nel portare la propria visione delle cose sino alle estreme conseguenze, gli osservatori – evidentemente impauriti – fanno finta di non comprendere e si soffermano solo sulle contingenze e sui dettagli. E lo stesso fanno i politici di casa nostra.
Ma la questione è ben diversa da ciò che, al massimo, è trattato come divergenza di ordinaria amministrazione su valutazioni di politica internazionale.

La dottrina della “guerra preventiva” presuppone parecchi altri concetti che è opportuno sottolineare.
Chi si fa teorizzatore di questa nuova dottrina presuppone, necessariamentre, per se stesso, il ruolo di “migliore di tutti”, di rappresentante del bene assoluto, di unto dal Signore.
E’ particolarmente indicativa, a questo proposito, l’insistenza propagandistica yankee nel voler imporre, con i bombardamenti, i carri armati, le occupazioni militari, le torture e le uccisioni, la democrazia a tutte le nazioni del mondo.
La “buona novella” di cui riempire ogni angolo del globo, per il trionfo della nuova religione che vede il Denaro come nuovo Dio e il presidente degli Stati Uniti d’America come nuovo Papa.
Non è una questione da poco.
La guerra preventiva non è stata concepita solo per colpire l’Iraq e qualche altro Stato-canaglia, ma configura la tirannide globale, la fine della storia, la fine della civiltà, la fine della libertà in tutte le sue forme.
La guerra preventiva potrà scatenarsi domani, senza altra giustificazione che l’illuminata ispirazione dell’inquilino di turno della Casa Bianca. Contro chiunque. E questa volta anche senza pretesti.
Si tratta di una prospettiva assurda, folle, mostruosa, incredibile e mai condividibile. Ma, tant’è, la realtà è proprio questa. Siamo arrivati al punto estremo, ed è bene rendercene conto.

Si tratta di una strada a senso unico? Di un percorso senza ritorno?
A ben guardare, la dottrina della guerra preventiva può innescare un meccanismo opposto e ugualmente potente. Proprio come il principio di Archimede che prevede per un corpo che si immerge nell’acqua, una spinta opposta, pari al peso dell’acqua corrispondente al suo volume.
La dottrina della guerra preventiva può generare una dottrina opposta: quella della “difesa preventiva”. Il rifiuto dell’America da parte del resto del mondo o, almeno, di quelle nazioni che dispongono ancora di vitalità e senso di identità sufficienti.

Un rifiuto aprioristico, definitivo e, a questo punto, assolutamente legittimo. Senza appello. Come senza appello sembra divenire l’isolamento in cui si stanno cacciando gli USA.
L’America contro tutti? Allora, tutti contro l’America. Di fronte all’atto di prepotenza inaudito e finale può manifestarsi una reazione parimenti violenta.
E da questo scontro tra un potere assoluto, preventivamente autorizzato da se stesso a guerreggiare contro chiunque, e un diritto, anch’esso assoluto, a difendersi, in questo caso, anche preventivamente, la Storia potrebbe ricominciare a muoversi. Così come ha fatto nei millenni precedenti.

Mario Consoli
www.rinascita.net
16.11.04

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