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blankDI CARLO BERTANI

“Cosa dite di Dresda? E di Hiroshima?”
Hermann Goering, comandante della Luftwaffe, al Processo di Norimberga.

“Penso che se avessi perso la guerra, sarei stato accusato d’essere un criminale di guerra.
Fortunatamente, ero dalla parte dei vincitori”.

Curtis Le May, generale dell’USAF durante la Seconda Guerra Mondiale.

Nell’approssimarsi d’ore buie, nelle quali l’avvoltoio della guerra potrebbe scendere in picchiata nel Golfo Persico per l’ennesima puntata di morte, viene da chiedersi come faranno a raccontarci ancora una volta una marea di stupidaggini.

Chiariamo che, per ora, nulla è deciso: questa volta il piatto di puntata è molto elevato, e nessuno se la sente di rilanciare se prima non ha sufficienti garanzie di riuscire nell’impresa. Siamo, in altre parole, alla sola fase preparatoria del gran ballo.

Non facciamoci trarre in inganno dalle analisi strategiche “filtrate” da questo o quel gruppo d’esperti e nemmeno dai movimenti di truppe: sono tutte lezioni di ballo necessarie e non eludibili, ma da questo a passare al Gran Gala iraniano ce ne passa. Per tradizione, gli USA preparano una marea di simulazioni belliche: sempre, a getto continuo, anche nei confronti degli alleati. Fa parte dell’intelligence militare compiere queste simulazioni: non scambiamo però gli studi strategici del Pentagono con la realtà, perché correremmo dietro a migliaia di Fate Morgane.

Ciò nonostante, bisogna riconoscere che – nei confronti dell’Iran – si è dato inizio a qualcosa di più del classico “war game”, perché la presenza di 15 militari britannici a Teheran non è stata fantasia: quei soldati sono carne ed ossa, nomi e storie personali. Non sono un file in un computer del Pentagono.

Sulla cattura dei 15 militari britannici potremmo dissertare all’infinito: a ben vedere, sembra di riascoltare la vicenda dei militari israeliani uccisi e catturati sul confine libanese. Chi mai potrà affermare se si trovavano in territorio israeliano o libanese? Un altro deja vu che insospettisce è proprio Teheran: come non ricordare la vicenda degli ostaggi catturati nell’ambasciata americana nel 1980? Sembra quasi che un apprendista stregone della comunicazione abbia mescolato il contenuto di due provette – l’una contenente “Iran 1980” e l’altra “Libano 2006” – per generare un nuovo composto, definito “Iran 2007”.

Il tentativo è fallito? Ce ne potrà essere un altro domani: notiamo come, nella crisi degli ostaggi, Bush ha messo subito le mani avanti “Nessuna trattativa”. Blair, conscio dell’opposizione interna che monta, è sceso a più miti consigli. Non per questo, però, il pericolo è passato.

Le vicende che probabilmente andremo a conoscere nei mesi a venire investono in pieno proprio la comunicazione: sappiamo – come afferma un proverbio tedesco – che “nel paese entra la guerra, ed esce la verità” ma non abbiamo mezzi per discernere la farina dalla crusca, ossia per capire fino a che punto ci racconteranno delle falsità.

La recente guerra in Libano è stata più facile da decrittare, poiché Israele – se vince – non “molla l’osso”: se gli israeliani avessero raggiunto gli obiettivi dell’impresa, oggi occuperebbero la fascia meridionale del Libano e si sarebbero impadroniti delle preziosissime acque del Litani, essenziali per un paese che – anche a causa dei mutamenti climatici – si sta desertificando.

Gli altri dispacci – ossia la perdita di 1/7 delle forze corazzate e l’affondamento d’alcune navi – di per sé non farebbero notizia: alla luce dei mancati risultati dell’operazione, quei fatti assumono invece un diverso peso. In altre parole: dobbiamo abituarci a ragionare quasi solamente sul cui prodest, poiché c’è da fare poco affidamento sulle cosiddette “fonti ufficiali”.

La battaglia dell’informazione, in guerra, parte da lontano: non dimentichiamo che già le truppe napoleoniche avevano – per espresso desiderio di Parigi – l’ordine di distruggere ovunque passavano i registri parrocchiali dei morti (erano le uniche fonti, i “database” dell’epoca), cosicché non sarebbe stato possibile, dopo, accusare i francesi. Due guerre mondiali ci hanno insegnato che la bugia è la norma, mentre la verità è soltanto un pallido optional. Raccontare bugie è però un peccato, e si pecca in pensieri, parole, opere ed omissioni: meglio non dimenticarlo.

Cattivi pensieri

La retorica che vede gli USA ed altri paesi in prima linea, per contrastare la cosiddetta “guerra al terrorismo”, non sta in piedi: non sono i barbuti filo-castristi dei centri sociali a raccontarlo, bensì capi di governo, ministri e senatori degli stessi paesi che mandano le loro truppe in giro per il pianeta. Procediamo con ordine.
Il primo dogma, ossia che gli USA siano i benefattori del pianeta e s’adoperino per un mondo migliore, è sconfessato da loro stessi. Ecco alcune dichiarazioni illuminanti:

Siamo nel lontano 1997 e negli USA nasce New American Century: dieci anni fa Bill Clinton pareva non avere rivali, e l’ala conservatrice dei repubblicani mordeva il freno:

“La politica estera e della difesa americana è alla deriva. I conservatori hanno criticato le politiche incoerenti della gestione Clinton…ma i conservatori non hanno avanzato con convinzione una visione strategica del ruolo dell’America nel mondo. Non hanno saputo proporre i principi fondamentali della politica estera americana…e non hanno combattuto per stanziamenti alla difesa che condurrebbero alla sicurezza americana ed alla promozione degli interessi americani nel nuovo secolo.

Noi vogliamo cambiare questo stato di cose. Miriamo ad essere un nuovo gruppo in grado di raccogliere il supporto per una dimensione americana planetaria.

Mentre il ventesimo secolo volge al termine, gli Stati Uniti sono la potenza dominante nel pianeta. Dopo aver condotto l’Occidente alla vittoria nella Guerra Fredda, l’America affronta un’occasione e una sfida: gli Stati Uniti hanno la capacità di costruire sui successi delle decadi passate? Gli Stati Uniti hanno la risoluzione per modellare un nuovo secolo favorevole ai principi ed agli interessi americani?

• dobbiamo aumentare significativamente gli stanziamenti per la difesa, se dobbiamo assumerci le responsabilità dell’oggi e modernizzare le nostre forze armate per il futuro;

• dobbiamo rinforzare i nostri legami con gli alleati democratici ed opporci ai regimi ostili ai nostri interessi ed ai nostri valori;

• dobbiamo promuovere la causa della libertà politica ed economica nel mondo;

• dobbiamo accettare la responsabilità del ruolo unico dell’America, nella conservazione e nell’estensione di un ordine internazionale favorevole alla nostra sicurezza, alla nostra prosperità ed ai nostri principi.”

Il documento ufficiale, denominato Statement of Principles (Dichiarazione dei Principi), era firmato da:
Elliott Abrams, Gary Bauer, William J. Bennett, Jeb Bush, Dick Cheney, Eliot A. Cohen, Midge Decter, Paula Dobriansky, Steve Forbes, Aaron Friedberg, Francis Fukuyama, Frank Gaffney, Fred C. Ikle, Donald Kagan, Zalmay Khalilzad, I. Lewis Libby, Norman Podhoretz, Dan Quale, Peter W. Rodman, Stephen P. Rosen, Henry S. Rowen, Donald Rumsfeld, Vin Weber, George Weigel, Paul Wolfowitz.

Quattro anni dopo, alcune di queste persone diventeranno ministri nell’amministrazione Bush mentre gli altri – si fa per dire – s’accontenteranno di “lavorare dietro le quinte”.

L’amministrazione democratica avverte il “fiato sul collo” dei neocon e corre ai ripari:

“Dobbiamo costruire un sistema economico globale che lavori per gli Stati Uniti”, confermava il Segretario di Stato Madeleine Albright [1] , l’8 gennaio 1999, davanti al Senato.

Quando Bush s’insedia al numero 1600 di Pennsylvania Avenue, le dichiarazioni sono ancor più esplicite:

Eugene Luttwak spiegava che “gli Stati Uniti sono chiamati, se vogliono conservare il primo posto, a trasformare il loro sistema di produzione in macchina da guerra economica.”

Richard Perle e David Frum [2] – nel loro libro “La fine del male” (!) – candidamente concludevano che “è tempo che gli USA rovescino i mullah terroristi dell’Iran; inducano un cambiamento di regime in Siria impedendone il rifornimento di armi e di petrolio e conducendo raids continui nel suo territorio; lancino un blocco aereo e navale completo contro la Corea del Nord e predispongano un attacco preventivo alle sue installazioni nucleari…E’ anche tempo che la Francia sia trattata da nemico, che l’Europa venga divisa, la Cina pressata, le Nazioni Unite smantellate…”

Insomma, ce n’era e ce n’è per tutti. E poi ci vengono a raccontare che fu tutta una sorpresa conseguente all’11 settembre? Non ho mai perso tempo nel correre dietro alle varie ipotesi sugli attentati dell’11 settembre, perché ritengo che non si potrà mai dimostrare nulla. Rimane però un dubbio: o gli americani sapevano degli attentati e lasciarono fare – e in questo caso saremmo di fronte al peggiore reato d’alto tradimento – oppure furono veramente colti di sorpresa, e allora dovremmo riflettere che la prima potenza mondiale si fece sorprendere da quattro scalzacani che s’improvvisarono piloti, che impararono a volare proprio negli USA e che facevano parte di un’organizzazione terroristica che Washington conosceva bene, poiché l’avevano sostenuta dall’Afghanistan (contro i russi) alla Bosnia (contro i serbi). Insomma: o traditori o fessi, ma anche la seconda ipotesi – trattandosi della potenza che vorrebbe dominare il pianeta – non è mica una cosuccia da nulla.

Lingue biforcute

Se dal paese “entra la guerra ed esce la verità”, potremmo essere indotti in errore dal credere di poter verificare le notizie poiché confermate dalle immagini. So benissimo che molte persone – a mente fredda – reagiscono sostenendo che è una fandonia, ma un conto è ricordarlo in una discussione, un altro metterlo in pratica. Quanti di noi sarebbero pronti a sostenere che tutto ciò che vediamo in TV potrebbe essere falso?
A parte eventi lampanti perché confermati da tutte le fonti – pensiamo proprio all’11 settembre od al maremoto indonesiano – nella stragrande maggioranza delle situazioni non siamo in grado di confermare un’acca.

Crediamo di sapere come sono andate le cose in Bosnia, Kosovo, Iraq (primo e secondo tempo), Afghanistan, Libano, Somalia…ecc? Eppure, per argomentare su queste vicende, non possiamo trascendere dagli eventi: il classico problema che la storiografia si trova spesso ad affrontare.

Esistono già “casi di scuola” di disinformazione: quello che viene presentato come il più eclatante fu il cosiddetto “Massacro di Timisoara”, un “lavoro” che andò a buon fine e che diede i risultati sperati. In poche parole – per catalizzare la caduta di Ceausescu in Romania – i “buoni” giornalisti occidentali andarono nella città rumena di Timisoara, corruppero alcuni becchini, tirarono fuori dalle tombe sfilze di cadaveri e filmarono il tutto. Il lavoro – molto ben fatto, nulla da eccepire – presentava cadaveri in tutte le posizioni: alcuni addirittura caricati sui camion per simulare la repressione poliziesca di una manifestazione popolare. Appena pronto, il “servizio” fu “sparato” su tutte le emittenti del pianeta ed in Romania scoppiò la rivolta che condusse alla fucilazione di Ceausescu e consorte. Questo è un “caso di scuola”, ma ne esistono tanti altri: se non bastano le immagini si ricorre alla scienza “compiacente”, alle “gole profonde”, alla manipolazione elettronica di registrazioni, ecc. Vediamo qualche caso:

Possiamo ricordare “l’affare Perrier”, azienda un tempo francese le cui bevande esportate negli Stati Uniti furono accusate di contenere del benzene. Casualmente, il laboratorio che individuò le tracce di benzene era finanziato dal concorrente di Perrier. I media americani, prontamente, diffusero ampiamente la notizia: Perrier perse somme colossali e non si riprese più. Finì per essere acquistata da Nestlé ed Agnelli.

Citiamo l’esempio del Mirage francese distrutto in Bosnia dai Serbi nel 1995. Nelle ore che seguirono l’avvenimento, più di 40 canali televisivi produssero a gara le immagini dell’aereo che cadeva al suolo battendo tutti sul medesimo tasto: “i radar non hanno funzionato…”. In realtà, l’insistenza della stampa anglosassone sul “non funzionamento” dei radar del Mirage era collegata a trattative strategiche condotte nello stesso momento con il Pakistan, in vista di un importante contratto di vendita di aerei da combattimento dove abbondava la concorrenza…francese. I “radar” non erano per nulla in causa, perché era stata l’artiglieria contraerea classica e non un missile terra-aria ad abbattere il velivolo.

Gli “attacchi informativi” commerciali delle società americane passano spesso per la stampa europea, come si è potuto constatare nei Paesi Bassi al tempo della lotta tra l’Apache della McDonnell-Douglas e il Tigre franco-tedesco per un mercato di 20 miliardi di franchi. Il Telegraph, quotidiano olandese, annunciò che il ministro francese della Difesa era stato costretto ad un “atterraggio forzato” a Marignane nel corso di un volo dimostrativo a bordo del Tigre. Poco dopo, le registrazioni realizzate da Eurocopter provarono che il volo si era svolto normalmente.

All’inizio dei bombardamenti della NATO in Serbia (marzo 1999), David Wilby, il britannico Jamie Shea, portavoce dell’Organizzazione e James Rubin, portavoce del Dipartimento di Stato americano, lanciarono di concerto una falsa notizia, la quale affermava che il regime di Belgrado aveva appena “giustiziato” i tre leader albanesi: Ibrahim Rugova, Fehmi Agani – che aveva fatto parte della delegazione albanese-kosovara a Rambouillet – e Baton Haxhiu, editore del giornale albanese Koha Ditore. Mostrando la sua emozione con un grande talento da commediante – come se gli istigatori degli attacchi cruenti potessero essere influenzati dalla morte di due o tre kosovari – Rubin avvertì subito che gli Stati Uniti “avrebbero vendicato” la loro morte. Si venne a sapere poche ore dopo che le tre “vittime albanesi” non erano mai state così vive: il dottor Rugova, in particolare, fu visto il 1° aprile assieme a Slobodan Milosevich. L’alto commissario dell’ONU per i rifugiati confermò in egual modo la perfetta salute delle altre due “vittime”. Non importa se la contro-notizia finisce per essere diffusa: conoscendo bene i meccanismi della disinformazione, James Rubin continuò a dichiarare in pubblico che la NATO avrebbe “vendicato la morte dei tre leader albanesi”. Della serie: una bugia ripetuta tre volte finisce per diventare una mezza verità.

Questi sono esempi di disinformazione complessa, ma c’è anche quella spicciola, per rifornire “l’hard discount” delle TV:

* Nel 1991, delle scene di strade distrutte a Vukovar sono utilizzate come “scene di combattimento” a Dubrovnik, dove questi scontri non hanno mai avuto luogo;

* Durante l’estate 1992, la BBC filma un “Musulmano bosniaco” prigioniero in un “campo di concentramento serbo”. Poco dopo i suoi parenti lo identificano: si tratta di Branco Velec, ufficiale dell’esercito jugoslavo in ritirata, prigioniero – in quanto Serbo di Bosnia – nel campo bosniaco-musulmano;

* Nel luglio 1992, CNN mostra le immagini del “bombardamento di Sarajevo da parte dei Serbi”. Quel canale televisivo – a forte capitale saudita – confuse dei combattimenti di strada a Tbilisi (Georgia) con dei combattimenti simili in Bosnia;

* Nell’agosto 1992, a Sarajevo, il pubblico è spaventato alla vista di “bebé e bambini musulmani” colpiti da “cecchini serbi” in un autobus. In realtà, molti di quei bambini sono serbi. Uno dei bambini uccisi è presentato come “musulmano”. Sarà seppellito poco dopo con rituale ortodosso;

* Nel marzo 1993, la CNN mostra il “massacro di 14 Musulmani uccisi dai poliziotti serbi”. Si scoprirà in seguito che le vittime erano serbe;

* Inizio agosto 1993: una foto del New York Times presenta una donna croata di Posusje che piange suo figlio “assassinato da un attacco serbo”. In realtà a Posusje degli scontri, effettivamente molto sanguinosi, avevano opposto i Croati, non ai Serbi, ma ai musulmani bosniaci, facendo 34 vittime tra i Croati, come rivela lo Star Tribune (USA) del 17 dicembre 1993;

* Il 6 agosto 1993, il Christian Science Monitor accusa i Serbi d’aver distrutto il ponte di Mostar, ponte distrutto, come tutti riconoscono, dall’artiglieria croata;

* Il 18 agosto 1993, la CNN confonde “per errore” delle immagini di combattimento a Gornje Vakuf con dei combattimenti di Sarajevo avvenuti nel 1992;

* Nel gennaio 1994, dei prigionieri serbi dei campi di detenzione croati e musulmani sono presentati come musulmani che marciscono nei “campi di concentramento serbi”. Peter Brock svelerà la frode nel Washington Times;

* Nel 1996, Philippe B., giornalista free lance, realizza un servizio sulle vittime serbe della guerra e chiede di visitare gli ospedali. Il film originale mostra molti feriti serbi, degli orfanelli e dei traumatizzati di guerra. Al tempo della programmazione Inviato speciale, i Serbi diventano per incanto dei “Bosniaci”. Lo stereotipo del “Serbo cattivo” esigeva elle immagini che dipingono unicamente delle vittima bosniache;

* Estate 1999: centinaia di migliaia di rifugiati albanesi fuggono dal Kosovo. La NATO accusa Belgrado di “catastrofe umanitaria” e quantifica i rifugiati in almeno 700.000 persone, che avrebbero abbandonato la loro regione prima del 24 marzo. Sappiamo oggi che l’80% almeno dei rifugiati albanesi fuggirono dopo il 24 marzo e che la “catastrofe umanitaria” fu semplicemente scatenata, come le terribili rappresagli serbe, dalla NATO con i bombardamenti;

* Il 12 aprile 1999, il canale televisivo ABC informa il suo pubblico che il Pentagono dispone di immagini satellitari dimostranti l’esistenza di “ossari” in Kosovo. Il canale cita un “centinaio di luoghi dove la terra era stata rivoltata”, ma ABC si guarderà bene dal mostrare una di queste immagini, mentre se queste immagini esistevano, sarebbe stato estremamente importante mostrarle, essendo l’alta definizione dei negativi militari di una tale precisione che questo tipo di prova sarebbe stata irrefutabile. Le sole immagini che il Pentagono aveva mostrato erano le foto satellitari che rappresentavano dei gruppi di kosovari che si accampavano sulle colline dopo essere fuggiti dai loro villaggi.

Sofisticati meccanismi di disinformazione e “frullati” di notizie per la quotidianità: ecco l’informazione che riceviamo. Cattivi pensieri portano ad usare il linguaggio non per scandagliare la verità, ma solo quella parte di verità che conviene. E se non esiste nulla di vero? S’inventa: s’inventano solo le storie? No, si creano anche gli eventi, così dopo c’è “materiale” da presentare.

Pessime azioni

Il 22 gennaio del 1991 Sam Donaldson, reporter dell’emittente televisiva ABC, riferisce di un probabile missile Scud intercettato durante l’Operazione Desert Storm. “Un missile Scud sta puntando verso Dharan nella zona est dell’Arabia Saudita” dice Donaldson quando lo schermo mostra un oggetto luminoso che sfreccia attraverso il cielo.“Un missile Patriot è stato lanciato per intercettarlo”. Dopo un’esplosione, Donaldson esclamò allegramente:“Centro! Niente, più Scud!”. “Ma sullo schermo” dice Jennifer Weeks, analista della Difesa, “lo Scud sembrava continuare dritto attraverso un’esplosione sul suo percorso verso il suolo”.

Questa era ciò che si doveva dire “a caldo”. Ecco cosa riconosceranno, gli stessi americani, l’anno seguente:

Un rapporto del 1992 del Congresso concludeva: “Non sono molte le prove che dimostrano che i Patriot hanno colpito più di qualche Scud lanciato dall’Iraq durante la Guerra del Golfo, e restano dei dubbi perfino su questi scontri. Il pubblico e il Congresso sono stati fuorviati dalle ottimistiche affermazioni di successo divulgate dall’amministrazione e dai rappresentanti di Raytheon, durante e dopo la guerra”.

Anche il segretario alla difesa William Cohen, ammise nel gennaio 2001 che “il Patriot non funziona”. La schietta affermazione di Cohen, non dissuase l’America dall’usare i Patriot durante l’Operazione “Enduring Freedom”, e i risultati sono racchiusi in questi tre incidenti:

* 24 marzo 2003: il radar di una batteria di Patriot individua come bersaglio un Tornado dell’aviazione britannica. Quattro missili vengono lanciati e uno solo colpisce il bersaglio. È sufficiente a distruggere l’aereo e ad uccidere i due piloti.

* 26 marzo 2003: il radar di una batteria di Patriot individua come bersaglio un caccia F-16 americano. Il pilota è costretto a sparare contro il radar.

* 2 aprile 2003: un missile Patriot abbatte un caccia F/A-18 Hornet della marina americana uccidendo il pilota.

Se fossero solo queste le nefaste azioni della NATO, potremmo concludere che furono errori veniali: sbagli, noncuranze. C’è di peggio, molto di peggio. Abu Ghraib? Guantanamo? Certo, ma cosa precedette quelle vicende?

Da anni sostengo che tutto ciò che ci avvelena l’oggi nacque nei Balcani fra il 1990 ed il 2000: lì la NATO s’alleò in modo silente con i peggiori rottami del nazismo, gente sfuggita per miracolo alla resa dei conti del 1945.

Il personaggio più inquietante è senz’altro Aliaz Iztebegovich, il defunto presidente bosniaco. Oggi sappiamo che Al-Qaeda nacque in Afghanistan ma si rafforzò – e parecchio – in Bosnia. Come si chiamavano le due divisioni musulmane che combatterono in quella terra fra il 1992 ed il 1995? Due nomi a caso: Handšar e Kama. Perché questi due nomi sono così importanti?

Perché le due divisioni non erano altro che la riedizione delle vecchie divisioni Handšar e Kama, inquadrate organicamente nelle Waffen SS germaniche nel 1943: ventimila arruolati sotto l’influsso nefasto del Gran Muftì di Gerusalemme Amin-al-Husseini, amico personale di Hitler, che emise addirittura una fatwa che prescriveva l’arruolamento nell’esercito nazista.

Il degno compare di Itzebegovich portava il nome di Framo Tudjman – un equilibrista della politica jugoslava, partigiano e convinto nazista, al punto di negare l’Olocausto [3] – che diventerà il primo presidente della Croazia dopo la secessione jugoslava. Tudjman comprese che, per creare lo stato etnicamente e religiosamente puro che agognava, non bastava l’aiuto americano e tedesco: doveva scendere a patti con il demonio in persona.

Il Diavolo sono gli Ustascia che ricomparvero – maledizione dei Balcani – con i loro berretti neri, da Zenica a Mostar, da Tuzla a Bihac. Ma gli Ustascia non sono altro che l’armata nazista croata forgiata da Hermann Neubacher, Gauleiter di Hitler nei Balcani: gli uomini di Ante Pavelic massacrarono 700.000 serbi e 400.000 ebrei in poco più di due anni. La triste storia del campo di Jasenovac – già lager nazista e tornato lager negli anni ’90 – è una delle pagine più nere (nel senso, duplice, di “terribile” ed “oscurato”) dei Balcani. Olmert non ha nulla da dire su tutto ciò? Continua ad andargli a genio Bush qualsiasi cosa faccia? Molti ebrei non la pensano come lui, e non sono meno ebrei del primo ministro israeliano [4] .

Non c’è il due senza il tre, recita il proverbio.

Ecco allora comparire – sembra dal nulla – l’UCK: molti dei kosovari d’origine albanese riconobbero che quegli uomini – in Kosovo – non s’erano mai visti. Chi erano?

Erano principalmente albanesi, non kosovari, reclutati dal “plenipotenziario” di Clinton per i Balcani – William Burns – che fece nel 1998-99 un lungo tour presso tutti i clan albanesi. Cosa prometteva? Soldi, armi e traffici impuniti (clandestini, droga, ecc, come si vide in seguito con le vicende dei “gommoni” sulle spiagge italiane) in cambio della guerra contro i Serbi. Qualche giornalista embedded si spinse a definire l’UCK la “fanteria della NATO”.

Da dove giungeva l’odio per i Serbi? Molto antico – come tutti gli odi dei Balcani – ma coagulato soltanto 50 anni prima nella divisione Skanderberg – anch’essa inquadrata nelle SS naziste – che massacrò tutti gli ebrei di Pristina e cercò d’accerchiare da sud i Serbi, mentre croati e bosniaci premevano da nord. Quello del 1999, non sembra il secondo tempo dello stesso film?

Chi fu il tramite fra il “prima” ed il “dopo”?

Grazie alle reti riattivate dal Ministro degli Esteri tedesco Klaus Kinkel, ossia i servizi segreti militari – il BND – la Germania finanziò e organizzò nella primavera del 1990 la campagna del partito nazionalista HDZ di Tudjman. All’atto dell’unificazione, “girò” gli armamenti ex sovietici della RDT in Croazia: addirittura, si videro “indipendentisti” croati con le mostrine tedesche.

Qualche paese europeo storceva il naso e non voleva riconoscere la nuova Croazia? Niente paura: ricordate la vicenda dell’euro “a due velocità”. Chi non riconosce la nuova Anschluss tedesca nei Balcani si potrà “accomodare” in seconda classe, mentre noi procederemo sulla via della nuova moneta, che finirà per dare filo da torcere al dollaro.

Qualcuno meno idiota, negli USA – un certo Henry Kissinger – s’era accorto della trappola: “Il tentativo di incorporare la popolazione serbo-bosniaca sotto la sovranità della Bosnia – violando il nostro principio di autodeterminazione e ignorando la lotta secolare dei Serbi contro la dominazione musulmana – va contro il nostro interesse nazionale”. Kissinger s’era accorto del rischio: e se non funziona? Se gli europei riescono a superare la crisi ed a varare la nuova moneta? Che ne sarà del dollaro? Oggi lo possiamo capire.

Morale: i croati adottarono come loro bandiera quella a scacchi che fu di Ante Pavelic, mentre – ancora oggi – la moneta ufficiale della Bosnia è il Marco (Marka Convertible).

Gli accordi di Dayton del 1995, però, stabilirono la ripartizione della Bosnia in un 51% per la federazione croato-musulmana e per il 49% ai serbi: questo accordo non soddisfò i musulmani bosniaci, e da quel momento in poi iniziò la frattura fra le milizie transnazionali di Osama Bin Laden (presente in Bosnia in quegli anni) e gli USA.

Qualcuno potrà chiedersi: ma quale realtà ho vissuto? Cosa mi è stato raccontato? Le fandonie sono quelle raccontate per anni su tutti i canali televisivi oppure è da considerare una “bufala” l’articolo che sto leggendo? Torniamo, ancora una volta, un poco indietro nel tempo.

Leo Strauss [5] coniò nei lontani anni ‘50 un neologismo per racchiudere in una frase le basi della disinformazione: la “Reductio ad Hitlerum”. Tutto ciò che era contrario agli interessi NATO ed USA diventava “nazista”: via via, hanno assunto le sembianze del dittatore nazista Milosevich, poi Saddam Hussein, oggi Ahmadinejad.

Ancora una volta scopriamo un legame fra un filosofo tedesco (d’origine ebraica!), legato a Nietzche ed alle società segrete, con la nuova classe dirigente USA: Strauss fu riferimento – oseremmo affermare “spirituale” – di Wolfowitz e di Libby.

Non stupisce allora costatare che, chi si alleò con tutti i rottami nazisti dei Balcani, fu proprio la NATO: come ci si sente – Olmert e soci – a stare dalla parte di quella gente? Non raccontiamo frottole: gli USA sono i grandi sponsor di Croazia ed Albania. Un tragico fil rouge lega i neocon americani alle società segrete del Sud – Ku Klux Klan, Skull and Bones, ecc, che non furono certo “tenere” con ebrei e neri – con i Gauleiter nazisti dell’epoca ed i loro tirapiedi – Pavelic, Itzebegovich ed altri – fuggiti dopo la Seconda Guerra Mondiale o “riciclati”. Come si potrà notare, il cerchio si chiude in modo perfetto.

L’epilogo è stata la recentissima sentenza del Tribunale dell’Aia che ha dichiarato la Serbia “non colpevole” per quello che avvenne in quegli anni: Milosevich è morto in carcere ed era innocente! Evidentemente, non se la sono sentita di superare la menzogna con l’indecenza.

Omissioni sospette

Dove non basta raccontare fandonie e compiere atti nefasti – perché altre vicende sono nel frattempo avvenute, e non si può riavvolgere il nastro del tempo – allora si nega con ostinazione, si cala su quegli atti la nera coperta del silenzio mediatico. E’, ancora una volta, il caso dei Balcani.

Oggi, innumerevoli riunioni ad alto livello cercano di definire il futuro del Kosovo, e non ci riescono: perché?
Poiché, nonostante tutte le montature mediatiche, quella guerra non fu vinta dalla NATO.

Quando una guerra è vinta, il nemico s’arrende e s’intavolano trattative di pace: questo è il copione degli armistizi, da Maratona a Yalta.

Con le guerre definite “operazioni di polizia internazionale” è difficile riconoscere che c’era un “nemico”, perché quell’ammissione contraddirebbe qualsiasi definizione di “guerra umanitaria”.

Come finì la guerra del Kosovo?

Con la NATO in pezzi, la Francia esacerbata per i bombardamenti degli americani non concordati anzitempo, i russi che entrarono per primi a Pristina, il governo italiano che cercava di galleggiare mentre la marea dell’elettorato di sinistra gli montava contro. Difatti, quella guerra aprì le porte a Berlusconi.

Per distribuire oblio a destra ed a manca, furono comunicati dati completamente falsi:

Carri distrutti

Dati del giugno 1999 – (120)

Dati comunicati dall’USAF nel 2000 – (14)

Veicoli corazzati distrutti

Dati del giugno 1999 – (220)

Dati comunicati dall’USAF nel 2000 – (20)

Pezzi d’artiglieria distrutti

Dati del giugno 1999 – (450)

Dati comunicati dall’USAF nel 2000 – (20)

Attacchi confermati dai piloti NATO

Dati del giugno 1999 – (744 )

Dati comunicati dall’USAF nel 2000 – (58)

% dell’aeronautica serba distrutta

Dati del giugno 1999 – (100% )

Dati comunicati dall’USAF nel 2000 – (40%)

Nel contempo, ci furono circa 1.200 vittime civili solo in Serbia: il numero dei morti in Kosovo è ancora oggi molto controverso. In realtà, la 3° Armata serba riuscì ad uscire dal Kosovo praticamente indenne e si attestò ai confini. Esattamente dove si trova nell’istante nel quale leggete queste righe.

Non bastò, però, il solo pesante inquinamento dei dati: si dovette tacitare anche la cronaca della guerra.
Per distruggere le forze corazzate serbe in Kosovo, la NATO ebbe la bella pensata di trasferire un reparto di elicotteri AH-64 Apache dalla Germania all’Albania. In tanti osservammo il passaggio di quel reparto perché – non potendo valicare le Alpi – discese la valle del Rodano per poi seguire le coste italiane fino all’aeroporto Rjinas di Tirana.

Perché quegli elicotteri non parteciparono ai combattimenti? Perché furono distrutti dai serbi. Come? Nessuno venne mai a raccontarcelo.

Da diversi giorni, cacciabombardieri G-4 si alzavano dalla base di Golubovci – presso Podgoriza in Montenegro – e si dirigevano verso il confine albanese ma dovevano fare dietro front, a causa della massiccia presenza d’aerei NATO. Il 26 aprile 1999, invece, non incontrando resistenza alcuna, due aerei si gettarono ad alta velocità e bassissima quota in una valle albanese che scendeva verso il mare. Giunti sull’aeroporto internazionale Rjinas di Tirana, vi sorpresero 9 elicotteri Apache del primo gruppo giunto dall’Italia ed un aereo da trasporto della KLA che veniva usato per portare in Albania i volontari dell’UCK. Attaccando con bombe cluster a frammentazione distrussero, in un solo passaggio, gli elicotteri ed il trasporto. La sorpresa fu totale, tanto che i due aerei riguadagnarono la strada di casa, non verso Golubovci – in quel momento sotto attacco NATO – ma verso Povikne, distante 240 km, dove atterrarono sani e salvi, ricoverando gli aerei negli hangar sotterranei corazzati. Il Ministro dell’Interno Italiano Jervolino, che si trovava in Albania in visita ai campi profughi, dovette rimandare la partenza giacché l’aeroporto era stato immediatamente chiuso: dall’Italia s’alzarono in volo gli intercettori (!) F-104, che però trovarono i cieli deserti.

La notizia fu sì data da alcune piccole emittenti locali, ma il gran circo dell’informazione ufficiale serrò le fila e scattò l’omertoso silenzio: addirittura, gli americani mostrarono due fumose riprese d’elicotteri “caduti in esercitazione”, quei filmati senza capo né coda che mostrano la (falsa) caduta di un elicottero nei film d’azione. Gli intercettori italiani non sarebbero mai giunti in tempo per impegnare gli aerei serbi, ed i comandi NATO avevano già meditato d’attrezzare l’aeroporto di Tuzla (Bosnia orientale) come base avanzata, giacché Aviano e Gioia del Colle erano troppo distanti. Ecco com’era andata a finire:

il 14 aprile 1999 un gruppo d’aerei serbi – composto da 8 cacciabombardieri, un G-4 Super Galeb e 7 J-22 Orao, più due caccia MIG-21 di scorta – pare senza attendere direttive dai loro comandi (?), s’alzò dalla base aerea di Povikne, Serbia settentrionale, e volò ad alta velocità seguendo il confine serbo. Mentre erano in volo, furono avvertiti dalla base che erano stati identificati dai radar NATO e di desistere dall’impresa. Ignorando l’avvertimento, il gruppo procedette e, all’improvviso, deviò in direzione della Bosnia: ad altissima velocità piombò sull’aeroporto di Tuzla, che la NATO stava attrezzando come base avanzata, fece due passaggi distruggendo con bombe a frammentazione 17 fra aerei ed elicotteri NATO presenti nella base. Un cacciabombardiere J-22 fu abbattuto dalla contraerea ed un Mig-21 venne danneggiato, riuscendo però a compiere un atterraggio di fortuna a 10 Km dalla propria base di partenza. Ufficialmente, il radar di Tuzla quel giorno “non era in funzione”: strano, per una base avanzata in stato di guerra. Pare, invece, che “qualcuno” s’occupò d’oscurarlo: un nesso con il bombardamento dell’ambasciata cinese?

Queste notizie comparvero sui circuiti internazionali, ma non in quelli occidentali: casualmente, un giornalista all’epoca in Bosnia – Mauro Bottarelli, con il quale scrissi e pubblicai “La guerra infinita dell’impero americano” – mi confermò, al telefono, il bombardamento di Tuzla.

La cronaca del bombardamento di Tuzla fu pubblicata dal giornale inglese Observer, che fu però subito querelato e minacciato da Blair e Clinton.

Riflettiamo che questi due episodi sono di un’enorme gravità: non si tratta di nascondere un semplice evento bellico. In realtà, i due episodi avrebbero incrinato la visione trionfalista della NATO: possiamo fare tutto ciò che vogliamo perché siamo invincibili. Sembra di riascoltare il Gott mit uns.

La realtà sarebbe venuta drammaticamente a galla anni dopo, sulle polverose strade irachene – ed oggi c’insegue sui monti afgani – poiché la guerra esige sempre un tributo di sangue: non riconoscere allora la capacità del nemico di reagire, portò a concludere che la NATO era invincibile e che avrebbe potuto scorrazzare nel pianeta a suo piacimento.

Reductio ad Busherum

Quante analogie ci sono con l’oggi? Quante volte ci hanno raccontato che in Iraq le cose andavano meglio? Che in Afghanistan regnava oramai una tranquilla democrazia?

Ancora: il tentativo di mascherare le perdite navali israeliane in Libano, poiché la tecnologia di Hezbollah s’era dimostrata superiore, oppure la penosa velleità di nascondere il genocidio di Falluja. A poco serve: oggi, Falluja è una città praticamente off-limits per le truppe americane.

Oggi è facile osservare come il Pakistan, la vera fonte del terrorismo di matrice sunnita, sia grande alleato degli USA: senza comprendere che ci fu di peggio – ossia che tornarono “in pista” gli eredi del nazismo – non si può completare il quadro della tragedia planetaria degli ultimi anni. I nemici furono invece identificati – grazie alla Reductio ad Hitlerum indicata in anni lontani da Strauss – in Milosevich, Saddam Hussein ed oggi Ahmadinejad: tutte persone che contrastarono e tuttora contrastano il terrorismo wahabita. Anche Israele dovrebbe meditare attentamente su quelle vicende, perché il pericolo che corre oggi non è nemmeno paragonabile a quello che lo oppose agli arabi nelle passate guerre: per la convenienza di un gambit [6], potrebbe essere sacrificato proprio da quello che ritiene il suo più fedele alleato, ovvero gli USA.

Le tragedie di questi anni nascono tutte da quel novello “gruppo di Monaco”, che s’insediò sul trono statunitense dopo una tornata elettorale platealmente falsificata dal fratello del futuro Presidente. Come i fondatori del nazismo, gli adepti di New American Centurypercorrono la via delle società segrete e della disinformazione: il loro maestro – Strauss – li ha edotti a disprezzare le masse, facilmente controllabili dalle elite che controllano i mezzi d’informazione. Le adunate oceaniche di Hitler ieri, CNN e Fox oggi.

Raccontano che una guerra contro l’Iran sarà gestita soltanto dall’aviazione – arma nobile – e non dovranno “sporcarsi le mani” con la fanteria: ancora una volta, l’impronta della superbia e del disprezzo per gli avversari.

Se i neocon americani conoscessero qualche brandello di storia, saprebbero che la guerra aerea di Hitler contro la Gran Bretagna non condusse a nessun risultato: sull’altro versante – dopo anni di bombardamenti indiscriminati e talvolta criminali sulla Germania – ci volle ancora un anno per giungere a Berlino dalla Normandia.

I limiti dell’aviazione strategica sono evidenti, e dopo quasi un secolo le teorie di Douhet [7] non sono mai riuscite a dimostrare la loro validità: puoi radere al suolo tutto ciò che vuoi, ma se devi occupare un territorio devi andarci con la fanteria ed aspettarti delle perdite. Il petrolio non si conquista a 20.000 piedi d’altitudine: la lezione irachena insegna.

Oggi, le carte della puntata iraniana si giocano quasi esclusivamente fra la Casa Bianca ed il Congresso: è oramai una lotta intestina interna agli USA. Bush sa di non poter più montare un “caso Iran” e coinvolgere altri nella sua folle corsa: le fialette d’antrace di Powell all’ONU hanno reso ridicola la sua amministrazione. Come Hitler, non ha più divisioni da gettare nella mischia, militare e mediatica.

Il 2008 sarà “Stati Uniti Anno Zero”, con una nuova dirigenza che dovrà ricostruire dalle ceneri la tradizione democratica di quel paese, poiché – dopo il putsch dei neocon – non c’è più niente di realmente democratico in quel paese. Esisteva ancora una tradizione di democrazia nella Germania del 1945?

La liberazione dei soldati inglesi dimostra invece che Ahmadinejad – a differenza dei Serbi – ha imparato la lezione: con magnanimità li ha liberati, non disdegnando, per l’occasione, di riceverli personalmente in un’atmosfera rilassata e gioviale. Un punto a suo favore – innegabile – nella battaglia mediatica del Golfo.

Nessuno potrà però impedire a Bush di cercare ancora per un anno l’incidente, lo scontro fortuito, per dare inizio alle danze: questa guerra, se ci sarà, non inizierà con un proclama presidenziale, bensì con un’operazione di disinformazione che non si potrà nascondere nemmeno dietro ad un filo – perché tutti l’hanno oramai capito – ma se ci riusciranno lo faranno lo stesso. Non farlo, sarebbe la negazione non di una politica ma di un credo: quello nato nelle società segrete d’inizio ‘900, cresciuto a Monaco di Baviera e rifiorito negli USA di fine millennio. Con buona pace di quelli che si sciacquano la bocca con la parola “democrazia”.

Carlo Bertani
[email protected]
www.carlobertani.it
05.05.2007

Note:

[1] Fonte: Alexandre del Valle, Guerre contro l’Europa: Bosnia, Kosovo, Cecenia…,Traduzione di Pier Paolo Veneziano. Altri contributi di questo articolo provengono da quest’opera, della quale consiglio vivamente la lettura.

[2] Fonte: Robert Dreyfuss, I predicatori della guerra, pubblicato da Progressive News.

[3] Framo Tudjman, La Sconfitta della verità storica, Zagabria, 1989.

[4] “Ciò che è accaduto in Bosnia, in Croazia o in Kosovo, anche se orribile, non è un genocidio. Non c’è mai stato un tentativo di sterminio di una razza intera – uomini, donne e bambini – semplicemente a causa della loro identità religiosa o etnica. Bill Clinton e Tony Blair, paragonando gli attacchi serbi al Kosovo all’eliminazione massiccia perpetrata dai nazisti, manipolano quindi gli Ebrei.” Aleksander Singer, presidente della Federazione delle Comunità Ebraiche di Belgrado.

[5] Leo Strauss è figura ambigua, non tanto per la sua ricerca filosofica, quanto per le sue conclusioni politiche. “Il presidente dei giuristi nazisti, Carl Schmitt (1888-1985), si premurò personalmente di ottenere per Strauss, nel 1934, una borsa di studio della Fondazione Rockefeller affinché potesse studiare in Francia e in Germania, prima di trasferirsi definitivamente negli Stati Uniti. Nella sua lunga carriera accademica Strauss non ha mai preso le distanze dai suoi autori preferiti: Nietzsche, Heidegger e Schmitt.
Carl Schmitt fu definito dai nazisti “Il giurista principe del Terzo Reich”, grazie al ruolo che ebbe nel sovvertire sistematicamente la costituzione della Repubblica di Weimar a partire dal 1919. Fu infatti consigliere dei governi di Brüning, Von Papen e Hitler.”
Da Movisol: http://www.movisol.org/strauss.htm.

[6] Gambit: mossa degli scacchi nella quale si sacrifica volontariamente un pezzo per raggiungere obiettivi strategici superiori.

[7] Giulio Douhet, Il dominio dell’aria, Stabilimento Poligrafico per l’Amministrazione della Guerra, Roma, 1921.

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