DI LEON HADAR
Gran parte della copertura mediatica del recente viaggio in Europa della Segretaria di Stato statunitense Condoleeza Rice evocava preoccupazioni di fronte allo stile irresistibile del nuovo capo della diplomazia americana.
Apparentemente lo charme di “Chere Condi” ha colpito persino i “vecchi” europei, compresi i criticoni francesi. Benché non ci sia dubbio sul fatto che Ms Rice, prima donna afro-americana a guidare il Dipartimento di Stato, abbia saputo conquistare i cuori di molti europei, non è chiaro ancora se sia riuscita a cambiare la loro opinione rispetto alla direzione della politica estera americana del presidente George W Bush.
In un certo senso, non c’è da essere delusi dalla buona atmosfera che ha dominato l’offensiva-seduzione di Ms Rice a Parigi e a Berlino, atmosfera che probabilmente apparirà chiaramente durante il prossimo viaggio di Mr. Bush in Europa. Ambedue le parti si sforzano di dare l’impressione di non volere altro che baciarsi e rimettersi insieme, così da lasciare la guerra in Iraq “dietro le spalle” e da ritornare ai bei giorni andati dell’armonia transatlantica.
Si parlerà molto di come gli Europei vogliono aiutare a portare pace e prosperità all’Iraq, e si farà qualche proposta sul modo in cui l’Unione Europea potrebbe partecipare a questa fase. Certamente, la percezione del successo delle elezioni in Iraq e la ripartenza del processo di pace israelo-palestinese potrebbe contribuire a ricucire lo strappo transatlantico fra Americani ed Europei sull’Iraq e Israele/Palestina. Ma il fatto che le due parti possano giungere ad un certo livello di cooperazione su questi problemi, non deve distogliere l’attenzione dalla profonda differenza degli interessi geostrategici che continueranno a separare gli ex-alleati della Guerra Fredda. In fondo, la collaborazione fra la Cina e gli Stati Uniti per la risoluzione della crisi nordcoreana non significa che le due nazioni siano alleati strategici.
La realtà strategica è che gran parte dell’Europa, così come Cina e Russia, non vogliono che gli Stati Uniti trovino il successo in Iraq. Quello che vogliono Europei (e Russi e Cinesi), spiega Nicholas Berry, direttore del Foreign Policy Forum di Washington, è che “gli Stati Uniti continuino ad avere tempi difficili in Iraq, discreditando in tal modo la dottrina di Bush che consiste a fare guerre preventive con la motivazione del disarmo e della democrazia”.
A sentire il Dott. Berry, la strategia europea non ha per obiettivo di calmare Washington mettendo una pietra sopra il passato e portando qualche modesto contributo alla creazione di uno stato iracheno decente, pubblicizzando in tal modo le buone relazioni con Washington; bensì tende a far sì che gli Stati Uniti continuino a sopportare il peso costoso e prolungato del “nation-building” in Iraq.
I governi europei che si sono opposti all’attacco USA, dunque, non accorreranno ad aiutare Mr Bush e non faranno niente per tirarlo fuori dalla situazione irachena. “Il loro aiuto nella formazione di poliziotti iracheni sarà un piccolo contributo simbolico, che dà all’America l’impressione di sostegno, ma che lascia agli USA il pesante fardello della sicurezza e della ricostruzione della nazione irachena.
“I nostri partner atlantici credono che Washington sia bloccata dalla situazione in Iraq, e che l’occupazione continuerà a comportare un prezzo elevato di sangue e di soldi americani, togliendo così a Bush il lustro della sua crociata militare per il disarmo nucleare e la democrazia, e neutralizzando l’utopica pretesa del presidente americano a “eliminare la tirannia dal nostro mondo.”
Tutto quello che vogliono gli Europei è vedere il nuovo governo iracheno chiedere agli Stati Uniti di lasciare il paese, senza alleanza difensiva con essi, senza basi militari americane, senza controllo del petrolio iracheno, senza grande successo – visti i costi – per Bush, poco importa quanto egli proclami il successo della sua guerra. Al contempo, gli Europei – compresa la Gran Bretagna, principale alleato dell’America nell’UE – insistono sul fatto che la diplomazia possa probabilmente essere più fruttuosa della minaccia militare per ottenere un accordo con l’Iran riguardo agli presunti sforzi di sviluppo di tecnologia nucleare militare.
L’amministrazione Bush ha considerato futile il processo europeo, portato avanti dall’UE-3 (Gran Bretagna, Francia e Germania), e pensa che l’Iran stia temporeggiando. Ms Rice, durante la sua visita, ha premuto perché l’UE adotti una posizione più dura nei confronti dell’Iran ed espliciti i rischi di sanzioni delle Nazioni Unite nel caso in cui Teheran non fermasse il suo programma nucleare. La maggior parte degli osservatori si aspetta una nuova crisi nelle relazioni transatlantiche, se gli USA decidessero di intraprendere un’azione militare contro l’Iran, o di dare ad Israele carta bianca per attaccare le installazioni nucleari iraniane.
E possibile che l’impatto crescente, promosso da Washington, di un accordo israelo-palestinese, rinforzi la volontà degli Americani e degli Europei che cercano una sorta di distensione. E più probabile però che gli sviluppi in Iraq ed in Iran – senza menzionare la volontà dell’UE di sfidare Washington e di togliere il suo embargo delle armi sulla Cina – portino ad una nuova realtà nella quale gli USA e l’UE, da alleati strategici, si troverebbero mutati in avversari.
Leon Hadar
http://iraqwar.mirror-world.ru/tiki-read_article.php?articleId=40227
19.02.05
Traduzione per comeDonChisciotte.net a cura di ia rAjAh ([email protected])