UNO SCIOPERO GENERALE CONTRO LA MENZOGNA SOCIALE

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FONTE: COMIDAD

Un sistema mediatico appeso per giorni all’attesa degli oracoli sibillini della Conferenza Episcopale Italiana, ha invece totalmente ignorato l’approssimarsi della scadenza dello Sciopero Generale del 28 gennaio. Intanto lo stesso sistema mediatico sta affilando le sue armi per cercare di liquidare questo sciopero come una espressione di attaccamento all’ideologia in un mondo che cambia. In effetti, tutti pensano e si esprimono in base a modelli ideologici, quindi non si può essere ideologici o non-ideologici. La differenza è, semmai, fra coloro che accettano di confrontarsi con le smentite provenienti dai dati di fatto, e invece coloro che trasformano ogni smentita in un’ulteriore conferma dei loro slogan.
Quindi vi sono ideologie che non vengono affatto formulate per cercare di capire la realtà, ma solo per mistificarla; in questo caso ideologie che nascono per funzionare come armi psicologiche nella guerra mondiale dei ricchi contro i poveri. Il mitico “Mercato” rappresenta una tipica ideologia auto-confermativa: i disastri provocati dal sedicente “Mercato” divengono infatti la prova provata del “fatto” che non c’è mai abbastanza Mercato. Una cosa che pretende di esistere, ma ritiene sempre di non esistere mai a sufficienza, è, con ogni evidenza, una non-esistenza, un mito o, più precisamente, un alibi ideologico.

Da venti anni si succedono provvedimenti ed “accordi” sulla flessibilità del lavoro, presentata come la panacea al problema della produttività. La Legge 30/2003, reclamizzata come la soluzione ultra-“flessibile” al problema della disoccupazione giovanile, ci ha condotto al record della disoccupazione giovanile. Secondo i governi e il padronato, la risposta a questo disastro sociale dovrebbe essere però quella di imporre ancora più “flessibilità”, cioè di precarizzare ogni forma di lavoro.

Le ideologie auto-confermative usano anche le mezze verità come esca per far passare una menzogna. In queste settimane si è cercato di spacciare il fatto che la FIAT in passato abbia preso il denaro pubblico, come prova che oggi non lo stia più incassando. Sono stati messi in ombra non soltanto i milioni di ore di Cassa Integrazione, tramite le quali l’azienda ha potuto liberarsi del peso del costo del lavoro di parte dei suoi dipendenti per aumentare lo sfruttamento di quelli rimasti in fabbrica; ma si è anche taciuto sugli stessi dati ufficiali che rivelano che i fondi comunitari, versati dall’Unione Europea a titolo di “Sviluppo Regionale”, sono in realtà usati per finanziare le delocalizzazioni nell’Europa dell’Est. Con questi fondi la FIAT ha potuto aprire i suoi stabilimenti in Polonia, quindi il basso costo del lavoro polacco in questa delocalizzazione non c’entra nulla.

Certo che i padroni cercano in ogni modo di risparmiare anche sulle frazioni di punto del costo del lavoro, ma nessun risparmio sul costo del lavoro, persino un costo del lavoro ridotto a zero, potrebbe mai coprire le spese di una delocalizzazione. A coprire queste spese ci pensano i fondi pubblici europei (cioè i contribuenti), e gli sgravi fiscali imposti dal Fondo Monetario Internazionale ai Paesi sito delle “relocation” (quindi ancora tutto a carico dei contribuenti).

L’imprenditore che “crea ricchezza” rappresenta la più subdola delle menzogne sociali, dato che il cosiddetto “capitalismo” ed il sedicente “Mercato” costituiscono le sigle di comodo di oligarchie affaristico-criminali che saccheggiano il denaro pubblico ed i beni pubblici. Con questo sciopero generale finalmente, anche se in modo ancora timido e parziale, lo scontro va a centrarsi proprio sull’uso del denaro pubblico. Potrebbe sembrare un tentativo di riedizione del compromesso socialdemocratico che ha retto in Europa sino alla fine degli anni ’70, con una parte del reddito redistribuito in termini di salario individuale e salario sociale (il cosiddetto “welfare”).

Ma oggi non può essere più così, poiché non esiste più un ceto politico che detenga almeno una parte del potere economico/finanziario. Le privatizzazioni hanno determinato la fine del modello di economia mista pubblico/privato, e ci presentano oggi un ceto politico non solo asservito, ma dipendente dalle multinazionali anche per le proprie prospettive di carriera o di semplice salvezza personale. La kermesse sloganistica organizzata da Walter Veltroni al Lingotto di Torino, di proprietà della FIAT, ha conferito a questa supina dipendenza persino una plastica visibilità.

Le privatizzazioni hanno impoverito la società senza raggiungere i miracoli produttivi che promettevano, cosa che però confermerebbe ugualmente la necessità di ulteriori “liberalizzazioni” e “riforme strutturali”, cioè di altre privatizzazioni. La povertà diffusa ha consentito all’affarismo multinazionale di intensificare lo sfruttamento dei consumatori attraverso la tecnica del “finanziamento ai consumi”, cioè l’indebitamento di massa, facendo così comprendere i veri moventi criminali alla base dello slogan della “stabilità finanziaria”, il nome d’arte della miseria pianificata.

La convocazione di questo sciopero generale costituisce già di per sé un risultato, una manifestazione della volontà di resistenza contro la guerra psicologica del dominio; una guerra psicologica che non riposa mai e che ha trasformato l’Italia in un laboratorio ideologico della sudditanza coloniale. La scelta delle multinazionali di mantenere alla “guida” del governo italiano un fantoccio che dà di matto ogni giorno, rappresenta la dimostrazione pratica della formula della “psywar”, resa nota dal presidente statunitense Harry Truman: “Se non puoi convincerli, confondili”. Nelle colonie i governi divengono sub-agenzie della guerra psicologica e sponde del terrorismo mediatico, strumenti di avvilimento della coscienza collettiva, per generare depressione e schizofrenia di massa. A Pomigliano la guerra psicologica ha però fallito in parte, a Mirafiori ha fallito quasi del tutto. La guerra psicologica quindi non è onnipotente e, dopo lo sciopero del 28 gennaio, ci saranno ancora occasioni per dimostrarlo.

Fonte: www.comidad.org
Link: http://www.comidad.org/dblog/articolo.asp?articolo=398
27.01.2010

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