DI MASSIMO FINI
In sé l’iniziativa della Lega, annunziata da Roberto Calderoli, ministro per le Riforme istituzionali, di offrire 25 mila euro «a chi sappia dare informazioni utili alla cattura» degli assassini del benzinaio di Lecco, Giuseppe Maver, spietatamente ucciso durante una rapina, non è né illegale né scandalosa.
Negli Stati Uniti, Paese sempre indicato come modello di democrazia, taglie di questo genere, anche di iniziativa privata, sono usuali e quando operano all’estero gli americani vanno ancor meno per il sottile: hanno offerto 50 milioni di dollari per chi gli porti Osama Bin Laden o il mullah Omar «vivi o morti» e 25 milioni, per il più modesto Al Zarkawi.
Tuttavia non c’è dubbio che nel contesto culturale italiano l’iniziativa della Lega, condita dalle parole di Calderoli («nessuno può permettersi di toccare un padano», «avrei preferito aggiungere qualcosa del tipo «o vivi o morti», però mi hanno detto che la legge non lo consente…»), suoni come un incitamento a farsi giustizia da sè, una strada scivolosissima e pericolosa al fondo della quale ci sono gli «squadroni della morte» di tipo sudamericano e la dissoluzione dello Stato. Perchè lo Stato nasce proprio per garantire la sicurezza dei cittadini. Nasce da un contratto sociale in cui ognuno di noi rinuncia alla propria violenza, la conferisce allo Stato che ne diventa il monopolista col compito di difendersi e rendere giustizia.Il problema è che lo Stato italiano sembra sempre più inadeguato a svolgere questo suo compito primario ed essenziale. E la responsabilità è, in toto, della sua classe politica. È una storia che parte da lontano, dagli anni Settanta quando le Brigate Rosse insanguinavano le strade con un morto o un «gambizzato» al giorno e la classe politica non mosse un dito finché le vittime erano agenti di custodia, vigili urbani, baristi, gente qualunque. Avvertì il pericolo nel 1978, col sequestro e l’omicidio dell’onorevole Aldo Moro quando si rese conto che anche i suoi esponenti, e non solo cittadini qualsiasi, potevano essere colpiti. Ma poiché per quasi dieci anni non aveva affrontato il terrorismo sul terreno militare e non ne sapeva quasi nulla fu costretta a varare quelle «leggi premiali» che poi estese anche ai delitti di mafia e della criminalità organizzata. Leggi che sono a triplo taglio: 1) Perché oggi qualsiasi mascalzone, purchè tale, può, con le sue «rivelazioni», mandare in galera un uomo perbene, come si vide nel caso di Enzo Tortora, in quello più recente dell’assistente di Borsellino e in tanti altri rimasti pressoché sconosciuti perché riguardano persone che hanno la sfortuna di non avere cognomi importanti. 2) Perchè le «leggi premiali» incoraggiano anziché scoraggiare i delinquenti che sanno che «pentendosi» potranno avere sconti di pena che vanno fino al suo pratico annullamento. 3) Perché molti «pentiti» una volta usciti dal carcere tornano a delinquere.
La seconda mazzata alla legalità è venuta dopo Mani Pulite, l’inchiesta giudiziaria che fra il 1992 e il 1994 chiamò, per la prima volta, anche la classe dirigente al rispetto della legge. Per autotutelarsi la classe politica ha inzeppato il Codice di procedura penale di una tale serie di norme cosiddette «garantiste» da rendere il processo quasi inservibile.
Un ulteriore colpo è venuto dalla particolare situazione dell’onorevole Berlusconi. Per tirarlo fuori dalle sue grane giudiziarie, chiamiamole così, sono state approntate altre leggi che appesantiscono ulteriormente i processi e ci portano alle calende greche. E poichè la legge, almeno per ora, e almeno formalmente, è uguale per tutti questo ipergarantismo ha finito per ricadere anche sui delinquenti impropriamente definiti comuni (anche un tangentista, anche un corruttore, anche un concussore è un delinquente comune, ma lui non lo crede e ogni volta che viene «pizzicato» dalla Magistratura strilla: «Mi hanno trattato come un delinquente comune!»). Poi c’è il «buonismo», di sinistra, di destra, cattolico, radicale, che in un Paese che non è la Finlandia, ma ha una evidente e spaventosa emergenza criminale, ha incrementato ogni sorta di benefici per i condannati (sospensioni della pena, affido ai servizi sociali, permessi, indultini, eccetera). Pietro Esposito, il criminale che una settimana fa a Napoli ha picchiato, ucciso e poi bruciato la ventiduenne Gelsomina Verde, perché, innamorata di un ragazzo di un clan rivale, non ne voleva rivelare il nascondiglio, era stato scarcerato tre giorni prima del delitto grazie all’«indultino».
Infine c’è l’aggressione sistematica che la classe dirigente di destra, politica e intellettuale, ha riservato in questi dieci anni alla magistratura italiana, alle sue sentenze, ai suoi provvedimenti anche se presi a norma di legge (Berlusconi da presidente del Consiglio, è arrivato a dire che i magistrati sono antropologicamente dei «matti», dei malati). Ma che rispetto può avere dello Stato, della Magistratura e delle leggi il cittadino di questo Paese se la classe dirigente è la prima a dimostrarne disprezzo? E che timore della legge può averne l’immigrato in un Paese del genere? E che incoraggiamento possono sentire, in questo clima, magistratura e polizia giudiziaria?
E quale messaggio lancia il Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, quando, sostenuto dalle elites politiche e intellettuali di questo Paese, vuole concedere a tutti i costi la grazia ad Adriano Sofri, che non si è degnato di chiederla, cioè a uno dei quattro assassini di un commissario di polizia, mentre degli altri tre uno, Ovidio Bompressi, è da tempo agli arresti domiciliari ed è in odor di una grazia propedeutica a quella di Sofri, un altro, Giorgio Pietrostefani, è stato lasciato fuggire all’estero e il quarto Leonardo Marino, è da tempo libero perchè, almeno, ha confessato?
Il messaggio è che il cittadino comune non conta nulla: è un suddito. Esposto sulla strada alla violenza di chiunque. Esposto nella vita quotidiana agli abusi, ai soprusi, alle illegalità impunite delle oligarchie, politiche ed economiche, dominanti. Esposto lui sì, lui solo, se onesto, ai rigori della legge, per cui basta che faccia un errore formale nella dichiarazione dei redditi per vedersi rovinato, mentre sa e vede che intorno a lui «lorsignori» eludono, evadono e si depenalizzano anche i reati, come il falso in bilancio, che reiterano impunemente da decenni.
È da tutto questo che nei cittadini indifesi, in tutti i sensi e da tutti i lati, cresce un’esasperazione e si forma un clima in cui possono nascere e trovare accoglienza anche iniziative pericolose come quella avanzata dalla Lega e da Roberto Calderoli.
Massimo Fini
Fonte:www.ilgazzettino.it
29.11.04