UNA VISITA IN SIRIA

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DI WALDEN BELLO
counterpunch.org

Il rumore di quello che pare un tuono mi sveglia alle 3 di mattina, lunedì, alcune ore dopo il mio arrivo a Damasco. Arriva un temporale, penso, e il jetlag mi fa ripiombare nel sonno.

Quando scendo per fare jogging alle 6, le strade trasversali intorno all’hotel Arjaan sono bloccate da corpulenti uomini della security, che mi dicono che posso correre solo nei terreni dell’hotel. Non ho intenzione di mettermi a discutere con uomini armati di kalashnikov e comincio a capire che la loro presenza ha a che fare con il rumore che mi ha svegliato ore prima. Solo quando l’auto dell’ambasciata filippina mi viene a prendere alle 9.30 vengo a conoscenza della vera storia dal nostro staff diplomatico.Il rumore del tuono era stata l’esplosione di una granata con propulsione a razzo, che ha ucciso otto presunti terroristi in un edificio lontano appena due isolati dal mio hotel e a circa tre isolati di distanza dall’ambasciata filippina qui a West Mezzeh, che è anche conosciuto come il quartiere diplomatico.

La lotta armata tra le forze del governo e “gli Afghani”, come li descrivono i media controllati dal governo, è durata sei ore. Come le due enormi esplosioni di domenica, alcune ore prima che arrivassi nella capitale siriana, è stata un triste annuncio che la ribellione contro il regime aveva raggiunto la capitale per davvero. Quelle esplosioni hanno distrutto due edifici del governo al centro della capitale, che erano considerati estremamente sicuri, uccidendo 27 persone e ferendone circa un centinaio.

Homs: città distrutta

Il giorno dopo sono andato nella città che è divenuta l’emblema della versione della Siria della primavera araba: Homs. Questa città, un bastione dell’opposizione, è stata sottoposta ad un attacco durato 27 giorni da parte dell’esercito siriano lo scorso febbraio. Le stime di quante persone siano morte variano: il capo della polizia della città ammette che ci siano stati 3000 morti e la stampa occidentale ne riporta il doppio o di più.

Sono qui nel mio ruolo di capo del Philippine House of Representatives Committee on Overseas Workers’ Affairs. Il mio viaggio a Homs è parte di una missione per localizzare i Filippini che lavorano in Siria – principalmente collaboratori domestici – che si trovano ancora nel paese o che sono stati uccisi nei combattimenti. Il piano è di rimpatriare i Filippini vivi, o le loro salme nel caso siano morti, nelle Filippine. I lavoratori filippini sono tra i milioni di lavoratori stranieri che sono stati uccisi o che potrebbero rimanere coinvolti nel fuoco incrociato della primavera araba, che tuttora continua.

I segni della guerra sono freschi appena facciamo ingresso nella città, che si trova a circa 170 chilometri da Damasco. Non c’è nessuno per le strade in pieno giorno e la Baath University, dove parte dei combattimenti più feroci hanno avuto luogo è deserta. Le strade ora sono piene di immondizia, e isolato dopo isolato di palazzi residenziali, non incontriamo segno di vita. Le strade asfaltate sono dissestate, con impresso il segno delle tracce dei carri armati usati per vincere la resistenza. Oltrepassiamo la carcassa di un veicolo per il trasporto di personale armato.

Ad una rotatoria dove una statua del padre dell’attuale presidente, Hafez Assad, ci guarda benevolmente alla Kim Il Sung, incontriamo il nostro primo posto di blocco. I soldati armati di kalashnikov esaminano i nostri documenti mentre il nostro autista, un Siriano detto “Teddy” che parla Inglese perfettamente, spiega in Arabo che stiamo cercando di raggiungere la stazione di polizia per seguire il caso di un domestico filippino ucciso in un’imboscata durante il combattimento. Oltrepassiamo altri due posti di controllo presidiati da sospettosi uomini della sicurezza armati di AK-47, prima di arrivare alla stazione di polizia, di fronte a cui c’è una barricata improvvisata fatta di pneumatici, legno e sassi. Mi viene subito in mente che una barricata del genere non fermerebbe un attentatore determinato.

Investigare una morte

Ci accoglie l’investigatore capo, un uomo chiamato Tobias, e gli diciamo che dobbiamo realmente sapere di più sulla morte di una Filippina di 23 anni, cui hanno sparato al petto e che è morta in un’imboscata mentre viaggiava alle 23.00 del 24 febbraio scorso insieme al datore di lavoro e al suo figlio di otto anni sull’autostrada principale, durante l’ultima fase dell’attacco sulla città. Vogliamo anche trovare il suo datore di lavoro e riscuotere le sue paghe arretrate da spedire alla famiglia nelle Filippine.

Tobias ci dice che ha aiutato a portare la donna in ospedale, ma che tutto quello che aveva era il numero di cellulare del datore di lavoro, e che questo numero non funzionava più. Non c’era un numero fisso né un recapito del datore di lavoro, e ci dice, che per quanto ne sapeva, l’uomo e la sua famiglia potrebbero aver già lasciato il paese. Tobias cerca di dare un’impressione di interesse e cordialità, ma è ovviamente ansioso di liquidarci.

Tuttavia, prima di andarcene, chiedo se sappia di altri collabori domestici filippini che possano essere stati feriti o uccisi durante l’attacco. Avendo sentito io stesso storie di Filippine che erano rimaste intrappolate vicino al combattimento a Homs e che sono poi scappate per la loro salvezza all’ambasciata a Damasco, credo che sia molto plausibile che ci siano state altre domestiche che sono state uccise o ferite nel combattimento. Ma Tobias ci dice che non ne ha saputo niente. A parte lui non abbiamo altri contatti ad Homs per adesso, il che sottolinea le difficoltà nel ricostruire la sorte di cittadini neutrali intrappolati in una zona di guerra, quando non si ha la collaborazione del governo ospite.

“Questo è un lavoro di polizia scadente, per uno che dice di essersi preso personalmente la responsabilità del caso della ragazza”, commenta Teddy sul lavoro di Tobias sulle circostanze della morte della Filippina, di cui stiamo cercando i datori di lavoro, mentre lasciamo la stazione di polizia.

Un popolo sotto l’occupazione

Mentre ci dirigiamo fuori dalla città, vediamo numerosi gruppi di persone, ma scompaiono presto e oltrepassiamo file e file di palazzi abbandonati. Vediamo un bambino che corre qua e là, ed alcuni adolescenti che camminano frettolosi, ma questo è quanto. Quando arriviamo ad un posto di controllo che abbiamo già oltrepassato prima, siamo nuovamente fermati, e, questa volta i soldati sono più sospettosi e fanno più domande. Vogliono vedere i documenti dei miei compagni siriani e li squadrano a lungo, sebbene per qualche ragione non chiedono il mio passaporto.

Questa è una città sotto occupazione, me ne rendo conto pienamente adesso. I soldati considerano la gente come il nemico, e viceversa. Non intravedo alcuna prospettiva di riconciliazione tra le due fazioni. Chiedo a Teddy quasi scherzando di portarci a Babr Amr, il quartiere delle classi povere che ha sostenuto l’attacco dell’assedio da parte del governo lo scorso febbraio. Dice che degli elementi armati della resistenza permangono lí, e che potrebbero confondere la nostra auto con una di un’agenzia di sicurezza del governo. “Non vorrete mica diventare ostaggio dei terroristi”, dice Teddy. “Come diplomatici per loro varreste dei milioni”.

Quando infine rientriamo in autostrada dopo una buona ora e mezzo in questa città distrutta, tutti tiriamo un sospiro di sollievo. Uno di noi scherza che, avendo scarsa conoscenza del sud-est asiatico, i soldati del governo probabilmente ha pensato che [lui] fosse un Cinese, e quindi amico del regime di Assad. Allora, chiedo, vuol dire che se ci fermano le forze ribelli, diciamo di essere asiatico-americani? E ridiamo tutti. Ora che Assad è isolato con i suoi alleati per motivi pratici in Cina, Russia, Iran, e Libano, la maggior parte dei diplomatici e dei visitatori stranieri vengono trattati con sempre maggior sospetto.

Un’ora e mezzo dopo, siamo a Tartus, vicino allo scintillante Mar Mediterraneo. La gente è per le strade e persino nel primo pomeriggio, le famiglie passeggiano lungo il cornicione, che è la più bella caratteristica di Tartus. Questo luogo è stato ampiamente salvato dal disordine, perché le persone qui sono in maggioranza alawiti, il popolo del presidente. La guerra civile ha messo fine all’economia del turismo, ma c’è un senso di sicurezza fisica che non si trova, persino a Damasco. Ho la sensazione che non durerà molto a lungo.

Tartus e Homs. Due mondi diversi. Due facce dello stesso paese.

Protratta guerra civile?

Tornati a Damasco il giorno dopo, leggo che c’è stato un pesante combattimento tra truppe del governo e forze ribelli nella città orientale di Deir Ezzour. Insieme agli attacchi di Damasco, il combattimento a Deir Ezzour pare riflettere la nuova strategia dei ribelli di attaccare le forze del governo in vari punti, piuttosto che affrontare una grande battaglia, come hanno fatto a Homs, dove non sono stati all’altezza della grande potenza di fuoco dell’esercito siriano. Il cosiddetto Libero Esercito Siriano potrebbe essere in grosso svantaggio quanto ad armi per ora, ma le armi provenienti dall’Arabia Saudita e dagli altri stati del Golfo governati da elite sunnite, che condividono la stessa affiliazione religiosa settaria come la maggior parte dei Siriani, livelleranno senza dubbio il campo di battaglia.

I discorsi con i diplomatici, i volontari e i giornalisti nei primi giorni che sono in Siria producono varie valutazioni del potere di durata del regime di Assad. Alcuni dicono che possa durare indefinitamente, alcuni ne contano la durata in termini di mesi, mentre altri dicono che il crollo potrebbe avvenire prima di quanto ci si aspetti a causa di un’economia colpita dalle sanzioni internazionali. Ma c’è consenso su una cosa: per il popolo siriano, la situazione peggiorerà prima di poter migliorare.

Parto dalla Siria, quattro giorni dopo il mio arrivo, con 11 lavoratori domestici sotto la mia protezione. Sono felici di essere al sicuro. Ma si preoccupano anche per la sorte dei compatrioti e degli amici che si lasciano alle spalle in un paese che sta precipitando nella guerra civile.

Walden Bello è membro della Philippines House of Representatives, presidente della Freedom from Debt Coalition, ed un senior analyst di Focus, con sede a Bangkog, sul Sud Globale. Scrive per Foreign Policy In Focus ed è l’autore di The Food War.

Fonte: www.counterpunch.org
Link: http://www.counterpunch.org/2012/03/27/a-visit-to-syria/
27.03.2012

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MICAELA MARRI

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