UNA VERGOGNOSA RISPOSTA AL DISASTRO

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Bush è troppo impegnato a uccidere Iracheni

DI DAVE LINDORFF

La notizia che il governo degli Stati Uniti ha offerto 10 miseri milioni di
dollari in aiuti a quei paesi le cui coste sono state devastate dalle ondate di
marea del più grande terremoto degli ultimi 40 anni dovrebbe essere ragione di
imbarazzo nazionale. Il fatto che una nazione che può parlare con indifferenza
dei propri deficit annuali di 400-500 miliardi di dollari, e che si propone di
spendere un 100 miliardi di dollari in più all’anno nella propria semina di
distruzione in Iraq, non sia in grado di venirsene fuori con qualcosa di più
degli spicci da destinare agli aiuti per il dopo disastro, in un evento che ha
reso profughi più di un milione di persone e che ha scosso il pianeta nella sua
orbita, è penosamente sconvolgente.

Ma poi, è importante ricordarsi che esistono sia i disastri naturali che quelli
artificiali, e che il pubblico Americano e il suo sistema politico scelto hanno
risposte marcatamente differenti da offrire ai due. Esiste inoltre una scala
differente di preoccupazione per la morte di Americani e per quella di
stranieri di pelle marrone. Per esempio, c’è il dolore nazionale che viene espresso per i 15 Americani che
sono stati uccisi mentre si stavano servendo spaghetti alla mensa in una tenda
militare, mentre quotidianamente uomini, donne e bambini Iracheni vengono fatti
saltare in aria, non notati, alle loro tavole da pranzo dalle bombe e dal fuoco
di cannone degli Stati Uniti.

C’è la spiacevole preoccupazione per i 100 Americani mancanti in località di
soggiorno come quella di Phuket, ma pure il ben poco tormento nei confronti dei
45.000 locali che sono stati spazzati via dalla stessa improvvisa inondazione.

A causa di tutto questo, tale preoccupazione per come è stata espressa negli
Stati Uniti riguardo alla tragica perdita di vite umane attorno al bordo
dell’Oceano Indiano lo scorso fine settimana a causa di un disastro naturale si
pone in profondo contrasto con la completa mancanza di preoccupazione (e ancora
meno colpa) che è stata espressa per la perdita più che doppia di vite umane in
Iraq per mano delle truppe Americane, dove un numero stimato di 100.000 civili
hanno finora pagato il prezzo ultimo per la liberazione del loro paese.

Sicuramente la nazione più ricca al mondo potrebbe prestare qualche migliaio di
truppe di salvataggio e di team medici e un qualcosa come un miliardo di
dollari o una somma similare in modo da contribuire ad impedire le inevitabili
epidemie e la carestia che seguiranno a questa ultima catastrofe naturale in
una delle regioni più povere del pianeta. Ma allora, da dove verrebbero quelle
truppe e quei dottori? Al momento sono occupati ad uccidere Iracheni e a
rattoppare gli Americani feriti nel corso dell’ultima avventura imperiale degli
Stati Uniti, e non possono essere prestati per compiere gesti umanitari. < p>
E da dove verrebbe quel miliardo di dollari? Gli Americani ricchi l’anno
prossimo dovrebbero rinunciare ad alcuni dollari in sgravi fiscali, oppure i
militari in Iraq dovrebbero fare a meno di una coppia di caccia F-16.

E tuttavia, se l’America realmente desiderasse mostrare che è preoccupata per il
Terzo Mondo, e effettivamente per il mondo Musulmano, a quello scopo, qui ci
sarebbe un’eccellente occasione per dimostrarlo, fornendo una assistenza reale,
anziché quella solamente simbolica alle Comunità Musulmane duramente colpite in
Bangladesh e in Somalia, in Indonesia e nella Tailandia del sud.

Il giorno di Natale, il Presidente Bush si è presentato alla nazione con un
messaggio di compassione piagnucoloso e alquanto zuccheroso, con il quale ha
invitato il pubblico Americano a prestare considerazione per il meno fortunato.
Quello stesso giorno, ha offerto l’equivalente nazionale di alcune scatole di
minestra in surplus alle vittime del tsunami nell’Oceano Indiano.

Le sue parole sarebbero sembrate più sincere e sentite se avesse offerto di
includere persino alcune delle decine di milioni di dollari che invece di
destinare agli sforzi umanitari, le multinazionali e i ricchi gli stanno
offrendo in bustarelle legali per aiutarlo a pagarsi le festività di
inaugurazione.

Noi tutti dovremmo vergognarci.

Dave Lindorff

autore di Killing Time: an Investigation into the Death Row
Case of Mumia Abu-Jamal. Il suo nuovo libro, che raccoglie gli articoli scritti
per CounterPunch e intitolato “This Can’t be Happening!” è previsto in prossima
uscita per la Common Courage Press. Informazioni sia sul libro che su altri
lavori di Lindorff al sito www.thiscantbehappening.net.
29.12.04

Lindorff è raggiungibile all‚indirizzo di posta elettronica:
[email protected]

Tradotto da Melektro per www.peacelink.it

L’articolo uscirà nei prosismi giorni anche su www.peacelink.it

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