UNA STORIA DEL MONDO, MATTONE DOPO MATTONE (BRIC BY BRIC)

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DI PEPE ESCOBAR
atimes.com

Goldman Sachs – tramite l’economista Jim O’Neill – ha inventato il concetto di un nuovo blocco nascente nel pianeta: BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica). Alcuni cinici non riescono a trattenersi dal chiamarlo “Bloody Ridiculous Investment Concept” (Concetto di investimento assolutamente ridicolo, ndt).

Non è proprio così. Goldman si aspetta che i paesi BRICS arrivino nel 2050 a produrre il 40% del prodotto interno lordo globale, e di includere 4 di queste economie nelle prime 5 al mondo.
Presto, infatti, l’acronimo potrebbe espandersi fino a comprendere Turchia, Indonesia, Corea del Sud, e sì, l’Iran nucleare: BRIIICTSS? Nonostante i suoi risaputi problemi, essendo un paese sotto assedio economico, l’Iran avanza come parte degli N-11, ancora un altro concetto distillato (sta per le prossime 11 economie emergenti).

La multimiliardaria questione globale rimane: l’emergenza BRICS è il segnale che ci avverte che siamo entrati davvero nel nuovo mondo multipolare?

Il cauto storico di Yale, Paul Kennedy (famoso per la “tensione imperiale”), è convinto che stiamo per superare o abbiamo già superato uno “storico spartiacque” che ci porta ben lontani dal mondo unipolare del post guerra fredda, era dell’unica superpotenza. Ecco di seguito, argomenta Kennedy, la 4 principali ragioni per questo: la lenta erosione del dollaro americano (avendo prima l’85% delle riserve bancarie mondiali, oggi meno del 60%), la “paralisi del progetto europeo”, l’Asia nascente (la fine di 500 anni di egemonia dell’Occidente), e la decrepitudine delle Nazioni Unite.

Il gruppo degli 8 (G8) sta diventando sempre più irrilevante. Il G20, che comprende anche i BRICS, potrebbe dunque dimostrarsi una realtà possibile. Ma c’è molto da fare per oltrepassare lo spartiacque piuttosto che semplicemente proiettarsi in questa realtà volente o nolente: la riforma del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, e soprattutto, la riforma del sistema di Bretton Woods, specialmente le due istituzioni cruciali, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale.

D’altra parte, volente o nolente potrebbe dimostrarsi la nuova via del mondo. Dopo tutto, in qualità di paesi emergenti, i BRICS hanno tonnellate di problemi. In verità, soltanto negli ultimi 7 anni il Brasile ha aggiunto 40 milioni di persone ai consumatori della classe media; entro il 2016, avrà investito altri 900 miliardi – più di un terzo del suo PIL – in energia e infrastrutture; e non è così esposto come gli altri paesi BRICS agli eventi imponderabili del commercio mondiale; poiché le sue esportazioni sono solo l’11% del PIL, ancora meno degli USA.

Il problema chiave rimane ancora lo stesso: mancanza di management delle merci, senza menzionare la palude della corruzione. La sfacciata classe brasiliana di nuovi ricchi si sta rivelando non meno corrotta della vecchia élite arrogante che prima guidava il paese.

In India, la scelta sembra essere tra il caos governabile e il caos non governabile. La corruzione dell’élite politiche del paese renderebbe Shiva orgoglioso. Abuso di potere, controllo nepotistico dei contratti legati alle infrastrutture, il saccheggio delle risorse minerarie, scandali su proprietà immobiliari – hanno tutto, anche se l’India non è l’Hindu Pakistan. O comunque non ancora.

Sin dal 1991, la “riforma” in India ha significato una sola cosa: commercio sfrenato e induzione dello stato fuori dall’economia. Non è certo sorprendente quindi, che niente sia stato fatto per riformare le istituzioni pubbliche, che sono uno scandalo di per sé.

Un’amministrazione pubblica efficiente? Non pensateci nemmeno. In poche parole, l’India è già una caotica dinamo economica, in un certo senso, non ancora un potere emergente, non si può parlare di superpotenza.

La Russia, lo stesso, sta ancora cercando il mix magico, compresa una politica statale competente per sfruttare le abbondanti risorse naturali del paese, gli spazi straordinari, i grandi talenti sociali. Deve modernizzarsi velocemente poiché, a parte Mosca e San Pietroburgo, una relativa arretratezza sociale prevale. I suo leader restano a disagio accanto alla Cina (consapevoli che qualsiasi alleanza sino-russa lascerebbe la Russia come un partner distintamente minore). Sono diffidenti nei confronti di Washington, ansiosi riguardo allo spopolamento dei territori più a est, e preoccupati circa l’alienazione culturale e religiosa della loro popolazione musulmana.

Ancora una volta “Putinator” è tornato presidente con la sua magica formula di modernizzazione: una collaborazione strategica con la Germania che porterà benefici all’oligarchia del potere delle élites e del business, ma non necessariamente alla maggioranza dei russi.

Bretton Woods è morto

Il sistema post II guerra mondiale di Bretton Woods è oggi ufficialmente morto, totalmente illegittimo, ma cosa stanno pianificando i BRICS riguardo a ciò?

Al summit di Delhi alla fine di marzo, hanno pressato per la creazione di una banca per lo sviluppo dei BRICS, per poter investire in infrastrutture e fornire un back-up di credito per un’eventuale crisi finanziaria. I BRICS sanno molto bene che Washington e l’Unione Europea non rinunceranno mai al controllo del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale. Tuttavia, il commercio tra questi paesi raggiungerà l’incredibile cifra di 500 miliardi di dollari entro il 2015, per lo più nella loro valuta.

Comunque, la coesione dei BRICS, nella misura in cui esiste, si concentra per lo più nella frustrazione condivisa della speculazione finanziaria dei Master “Universe-style” che ha quasi scagliato l’economia mondiale da una scogliera nel 2008. In realtà il gruppo dei BRICS ha anche una notevole convergenza di politiche e opinioni quando si tratta dell’assediato Iran, della primavera araba del Medio Oriente e del Nord-Africa. Per il momento il problema chiave che si trovano ad affrontare è ancora questo: non hanno un’alternativa ideologica e istituzionale al neo-liberismo e un grande potere nella finanza globale.

Come ha notato Vijay Prashad, il Nord globale ha fatto di tutto per evitare una seria discussioni su come riformare il caos della finanza globale (http://www.atimes.com/atimes/Global_Economy/ND17Dj06.html, G-77 awakes, Asia Times Online, 17 Aprile 2012).

Non c’è da stupirsi se il capo del gruppo dei paesi in via di sviluppo del G77 (oggi G-123, in realtà), l’ambasciatore thailandese Pisnau Chanvitan, ha messo in guardia da un “comportamento che sembra indicare un desiderio di un’alba di un nuovo neocolonialismo.”

Intanto, le cose accadono comunque, in fretta e furia. La Cina, per esempio, continua informalmente ad portare avanti lo yuan come una valuta globalizzata, se non globale. Sta già commerciando in yuan con Russia e Australia, per non menzionare l’America Latina e il Medio Oriente. Sempre più, i BRICS stanno scommettendo sullo yuan in qualità di moneta alternativa allo svalutato dollaro americano.

Il Giappone utilizza sia lo yen che lo yuan nel commercio bilaterale con il suo grande vicino asiatico. Il fatto è che è già in costruzione una zona non-riconosciuta di mercato libero asiatico con a bordo Cina, Giappone e Corea del Sud.

Quello che accadrà, anche se comprenderà un futuro brillante per i BRICS, sarà senza dubbio molto confuso. Proprio riguardo al fatto che tutto è possibile (tendente al probabile), da un’altra Grande Recessione negli Stati Uniti alla stagnazione Europea o anche al collasso dell’eurozona, al rallentamento dei BRICS, una tempesta nel mercato delle valute, il collasso delle istituzioni finanziarie, un disastro globale.

Parlando di confusione, chi potrebbe dimenticare ciò che disse Dick Cheney, mentre era ancora amministratore delegato della Halliburton, all’Istituto di Petrolio a Londra nel 1999: “Il Medio Oriente, con due terzi del petrolio mondiale a prezzi più bassi, è ancora il posto in cui alla fine viene deciso il prezzo.” Nessuna sorpresa quando, da vice-presidente, è arrivato al potere nel 2001, il suo primo ordine è stato di “liberare” il petrolio iracheno. Certo, chi non ricorda come è andata a finire?

Ora (diverse amministrazioni ma stessa linea di lavoro), c’è un embargo petrolifero e una guerra economica sull’Iran. I leader di Pechino vedono il psicodramma iraniano di Washington come una trama per un cambio di regime, puro e semplice, che non ha nulla a che fare con le armi nucleari. Poi di nuovo, il vincitore finora nell’intrigo iraniano è la Cina. Con il regime bancario iraniano in crisi e l’embargo americano che sta mandando a rotoli l’economia del paese, Pechino può essenzialmente dettare i termini per l’acquisto del petrolio iraniano.

I cinesi stanno ampliando la flotta iraniana di petroliere, un affare dal valore di più di un miliardo di dollari americani, e l’altro gigante BRICS, l’India, sta acquistando più petrolio iraniano della Cina. Washington non applicherà ancora sanzioni ai BRICS perché in questo periodo, economicamente parlando, gli USA hanno bisogno di loro più di quanto i BRICS abbiano bisogno degli USA.

Il Mondo attraverso gli occhi della Cina

Il che ci porta al drago nella stanza: la Cina.

Qual è l’ultima ossessione cinese? Stabilità, stabilità, stabilità.

L’usuale auto-descrizione del sistema come “socialismo con caratteristiche cinesi” è certamente mitica come una gorgone. In realtà, pensare al neo-liberalismo duro con caratteristiche cinesi guidato da uomini che hanno tutte le intenzioni di salvare il capitalismo globale.

Al momento la Cina è nel bel mezzo di una tettonica, cambiamento strutturale da un modello esportazioni/investimenti ad un modello servizi/consumatori. In termini di crescita economica esplosiva, gli ultimi decenni sono stati quasi inimmaginabili per la maggior parte dei cinesi (e per il resto del mondo), ma secondo il Financial Times, hanno anche lasciato che l’1% più ricco del paese controllasse il 40%-60% della ricchezza delle famiglie. Come trovare un modo per superare tali sconcertanti danni collaterali? Come rendere funzionante per 1,3 miliardi di persone un sistema con enormi problemi strutturali?
Ecco la “mania della stabilità”. Nel 2007, il Primo Ministro Wen Jiabao avvisava che l’economia cinese sarebbe diventata “instabile, sbilanciata, non coordinata, e insostenibile.” Queste erano le famose “Quattro Uns” (unstable, unbalanced, uncoordinated, and unsustainable, ndt).

Oggi, l’intera leadership, incluso il successivo Primo Ministro Li Leqiang, sono andati un passo al di là, eliminando “l’instabile” in occasione delle elezioni del Partito. Per tutti gli obiettivi pragmatici, la prossima fase dello sviluppo del paese incombe su di noi.

Sarà qualcosa da tener d’occhio negli anni a venire.

I Princeling comunisti – i figli e le figlie dei massimi leader del Partito rivoluzionario, tutti immensamente ricchi grazie, in parte, ai rassicuranti accordi con le corporation occidentali, più le tangenti, alle allenze con i malavitosi, a tutte quelle “concessioni” ai migliori offerenti, e all’intera oligarchia degli amiconi capitalisti legati all’Occidente – come governeranno la Cina al di là delle “Quattro Modernizzazioni”? Specialmente con tutta quella straordinaria ricchezza da saccheggiare.

L’amministrazione Obama, esprimendo la sua preoccupazione, ha risposto, alla chiara progressiva affermazione della Cina come potenza con cui fare i conti, attraverso un “perno strategico” – dalle sue disastrose guerre nel Medio Oriente all’Asia. Al Pentagono piace chiamare questa strategia “ribilanciamento” (sebbene le cose non sono tutt’altro che ribilanciate o terminate per gli Stati Uniti in Medio Oriente.

Prima dell’11 Settembre, l’amministrazione Bush si era concentrata sulla Cina come suo futuro nemico globale numero uno. Poi l’11 Settembre lo rindirizzato a quello che il Pentagono ha definito “l’arco dell’instabilità”, il cuore del petrolio del pianeta, che si estende dal Medio Oriente all’Asia Centrale. Data la distrazione di Washington, Pechino calcolò di poter godere di una finestra di circa due decenni in cui la pressione sarebbe largamente diminuita. In quegli anni, si sarebbe potuta focalizzare a rotta di collo su una versione di sviluppo interno, mentre gli Stati Uniti stavano sprecando montagne di soldi per la loro insensata “Guerra Globale al Terrorismo”.

Dodici anni dopo, la finestra è stata chiusa con violenza da India, Australia, Filippine, Corea del Sud e Giappone, gli Stati Uniti si dichiarano di nuovo nel business dell’egemonia in Asia. I dubbi che questo sia il nuovo cammino americano sono stati dissipati dal programma del Segretario di Stato Americano Hillary Clinton pubblicato su Foreign Policy, nient’affatto sottilmente etichettato “America’s Pacific Century” (e lei stava parlando di questo secolo, non dello scorso!)

Il mantra americano è sempre lo stesso: “sicurezza americana”, la cui definizione è: qualsiasi cosa accada nel pianeta. Se nel Golfo Persico ricco di petrolio Washington “aiuta” gli alleati Israele e Arabia Saudita poiché si sentono minacciati dall’Iran, o in Asia dove un simile aiuto è offerto a corpi militari in crescita di paesi che dicono di sentirsi minacciati dalla Cina, è sempre nel nome della sicurezza americana. In entrambi i casi, in quasi tutti i casi, questo è quello che trionfa su tutto il resto.

Di conseguenza, se c’è un muro di diffidenza tra Stati Uniti e Iran da 33 anni, c’è un nuovo, crescente muro di diffidenza tra Cina e Stati Uniti. Recentemente Wang Jisi, decano della Scuola di Studi Internazionali dell’Università di Pechino e il più grande analista strategico cinese, ha offerto una prospettiva della leadership di Pechino sul “Pacific Century” in un autorevole scritto di cui è coautore.

La Cina, lui e il suo coautore scrivono, ora si aspetta di essere trattata come una potenza di primo rango. Dopo tutto, “ha superato con successo… la crisi finanziaria globale del 1997-98”, causata, secondo Pechino, da “profonde deficienze nell’economia e nella politica americana. La Cina ha sorpassato il Giappone diventando la seconda economia più grande del mondo e sembra essere la numero due anche nella politica mondiale… i leader cinesi non accreditano questi successi agli Stati Uniti o alla gestione americana dell’ordine mondiale.”

Gli Stati Uniti, aggiunge Wang, “sono visti in Cina generalmente come una potenza in declino nel lungo periodo… ora è una questione di anni, piuttosto che decenni, prima che la Cina rimpiazzi gli Stati Uniti come la più grande economia del mondo… parte di una nuova struttura emergente.” (Si pensi ai BRICS).
In breve, come Wang e il suo coautore lo dipingono, l’autorevole autore cinese vede che il modello di sviluppo del suo paese sta procurando “un’alternativa alla democrazia e alle esperienze occidentali per far sì che altri paesi in via di sviluppo imparino da loro, mentre molti altri che hanno introdotto valori occidentali e sistemi politici stanno vivendo disordine e caos.”

In poche parole la visione cinese del mondo vede i declinanti Stati Uniti desiderare ancora l’egemonia globale e rimanere potenti abbastanza da bloccare le potenze emergenti – Cina e gli altri BRICS – dal loro destino del XXI secolo.

Il sogno erotico dell’Eurasia di Dr Zbig

Ora, le élite politiche degli Stati Uniti come vedono questo stesso mondo? Praticamente nessuno è meglio qualificato per gestire questa materia rispetto all’ex consigliere per la sicurezza nazionale, coordinatore dell’oleodotto BTC, per breve tempo consulente fantasma di Obama, Dr Zbigniew (“Zbig”) Brzezinski. E non ha esitato a far questo nel suo ultimo libro, Strategic Vision: America and the Crisis of Global Power (Visione Strategica: America e la crisi del potere globale, ndt).

Se i cinesi hanno il loro occhio strategico sugli altri paesi BRICS, il Dr Zbig rimane fermo nel Vecchio Mondo, appena configurato. Afferma che, affinché gli Stati Uniti possano mantenere una qualche forma di egemonia globale, devono scommettere sull’ “Ovest ampliato”. Questo vorrebbe dire rafforzare gli Europei (soprattutto in termini di energia), comprendere la Turchia, che egli immagina come un modello per le nuove democrazie arabe, attirare la Russia, politicamente ed economicamente, in un “modo strategicamente sobrio e prudente.”

La Turchia comunque non è più un modello perché, nonostante la primavera araba, nel prossimo futuro, non ci sono nuove democrazie arabe. Zbig crede ancora che la Turchia possa aiutare l’Europa, e così anche gli Stati Uniti, in modo molto più pratico per risolvere alcuni problemi energetici globali, facilitando “il suo libero accesso attraverso il Mar Caspio al petrolio e al gas dell’Asia Centrale.”

Nelle attuali circostanze, anche questo dunque rimane una pura fantasia. Dopo tutto, la Turchia può soltanto diventare il paese chiave di passaggio nel grande gioco dell’energia sullo scacchiere euroasiatico che ho da tempo etichettato “Pipelineistan” se gli europei agiscono insieme. Dovrebbero convincere la “repubblica” autocratica e ricca di energie del Turkmenistan ad ignorare il suo potente vicino russo e a vendere loro tutto il gas naturale di cui hanno bisogno. E poi c’è l’altra questione dell’energia che sembra improbabile al momento: Washington e Bruxelles avrebbero dovuto abbandonare le sanzioni controproducenti e gli embarghi contro l’Iran (e dei giochi di guerra che questi comportano) ed iniziare a fare un serio affare con questo paese.
Dr Zbig propone comunque l’idea di un’Europa a due velocità, come la chiave del futuro potere americano sul pianeta. Si pensi a questo come ad una versione ottimistica di uno scenario in cui l’attuale Eurozona rasenti il collasso. Egli manterrebbe il ruolo guida degli inetti burocrati facoltosi a Bruxelles che ora guidano l’Unione Europea, e sostengono un’altra “Europa” (per lo più i “Club Med” dei paesi del Sud), al di fuori dall’euro, in teoria con un movimento libero di persone e merci tra le due. La sua scommessa – e in questo riflette il filone chiave del pensiero di Washington – è un’Europa a doppia velocità, un Big Mac euroasiatico, ancora unita al fianco dell’America, potrebbe essere un giocatore critico dal punto di vista globale per il resto del XXI secolo.

E poi, certamente, Dr Zbig mostra tutti i colori dei suoi Freddi Guerrieri, esaltando un futuro americano di “stabilità nell’Estremo Oriente” ispirato al “ruolo della Gran Bretagna nel XIX secolo come stabilizzatrice e bilanciatrice in Europa.” Stiamo parlando, in altre parole, della cannoniera diplomatica numero uno del secolo. Egli gentilmente riconosce che “una vasta partnership sino-americana globale” sarebbe ancora possibile, ma solo se Washington mantiene una significativa presenza geopolitica in quello che chiama ancora “Estremo Oriente” – “che la Cina approvi o no.”

La risposta sarà “no.”

Per un verso, sono tutte questioni note, come gran parte dell’attuale politica di Washington oggi. Nel suo caso, è davvero un remix della sua opus magna del 1997 The Grand Chessboard (Il Grande Scacchiere, ndt), nella quale ancora una volta certificava che “l’enorme continente trans-euroasiatico è l’arena centrale delle questioni mondiali.” Solo ora la realtà gli ha insegnato che l’Eurasia non può essere conquistata e il miglior colpo americano è quello di cercare di portare la Turchia e la Russia nel proprio ovile.

Robocop regna

Brzezinski sembra già innocuo se si comparano le sue idee alla recente dichiarazione di Hillary Clinton, compreso il suo discorso al Consiglio degli Affari Mondiali alla Conferenza NATO del 2012. Qui, come l’amministrazione Obama regolarmente fa, Clinton ha evidenziato “la durevole relazione della NATO con l’Afghanistan” e ha elogiato i negoziati tra Stati Uniti e Kabul sulla “alleanza strategica a lungo termine tra le due nazioni.”

Traduzione; nonostante la sconfitta da parte di un’insurrezione della minoranza Pashtun per anni, né il Pentagono né la NATO hanno alcuna intenzione di ribilanciare i loro possedimenti nel Grande Medio Oriente. Già rinegoziando con il governo del presidente Hamid Karzai a Kabul per rimanere fino al 2024, gli Stati Uniti hanno tute le intenzioni di mantenere tre principali basi strategiche afgane: Bagram, Shindad (vicino al confine iraniano) e Kandahar (vicino al confine con il Pakistan). Solo gli ingenui crederebbero il Pentagono capace di abbandonare volontariamente tali notevoli avamposti per il controllo dell’Asia Centrale e dei concorrenti strategici Russia e Cina.

La NATO, ha aggiunto profeticamente Clinton, “espanderà le sue capacità di difesa per il XXI secolo” incluso il sistema di difesa missilistica che l’alleanza ha approvato al suo ultimo meeting a Lisbona nel 2010.

Sarà affascinante vedere cosa potrebbe significare la possibile elezione del socialista François Hollande come presidente francese. Interessato ad una più profonda intesa strategica con i BRICS, egli si è impegnato a porre fine al dollaro come valuta di riserva mondiale. La questione è: questa vittoria metterebbe i bastoni fra le ruote all’operato della NATO, dopo questi anni sotto il grande liberatore della Libia, il neo-napoleonico Nicholas Sarkozy (per il quale la Francia era solo la senape nella bistecca tartara)?

Non importa quello che Dr Zbig o Hillary Clinton possano pensare, la maggior parte dei paesi europei, stufi dei buchi neri nelle avventure in Afghanistan e Libia, e del modo in cui la NATO serve gli interessi globali degli Stati Uniti, supporta Hollande. Ma sarà comunque una dura battaglia. La distruzione e la disfatta del regime libico di Gheddafi è stato il punto più importante dell’attuale programma della NATO del cambiamento di regime nel MENA (Medio Oriente e Nord Africa). E la NATO rimane il piano B di Washington per il futuro, se la rete abituale dei think tank (centri di ricerca, ndt), delle donazioni, dei fondi, delle fondazioni, delle ONG, e persino delle Nazioni Unite non riesce a provocare ciò che potrebbe essere descritto come un cambiamento di regime da YouTube.

In poche parole: dopo essere andata in guerra su tre continenti (Jugoslavia, Afghanistan e Libia), trasformando il Mediterraneo in un effettivo lago della NATO, e perlustrando il Mare Arabico senza sosta, la NATO, secondo Hillary Clinton, “cavalcherà una scommessa sulla leadership e la forza americana, proprio come abbiamo fatto nel XX secolo, per questo secolo e oltre.” Così 21 anni dopo il crollo dell’Unione Sovietica – la vera raison d’etre della NATO – potrebbe essere il modo in cui il mondo finisce; senza un’esplosione, ma con la NATO, in modalità mugolante, che adempie ancora il ruolo incessante di un Robocop globale.

Torniamo a Dr Zbig e all’idea dell’America come “promotrice e garante dell’unità” in Occidente, e come “equilibratrice e conciliatrice” in Oriente (per il quale ha bisogno di basi dal Golfo Persico al Giappone, incluse quelle afgane). Senza dimenticare che il Pentagono non ha mai abbandonato l’idea di raggiungere lo Spettro di Completo Dominio.

Per tutta quella forza militare, dunque, vale la pena tenere in mente che questo è chiaramente il Nuovo Mondo (e non in Nord America soltanto). Contro i fucili e i cannoni, i missili e i droni, c’è il potere economico. Ora infuriano guerre valutarie. I paesi BRICS Cina e Russia hanno montagne di denaro contante. L’America Latina si sta rapidamente unendo a loro. Putin ha offerto alla Corea del Sud un oleodotto. L’Iran sta pianificando di vendere tutto il suo petrolio e il suo gas in un paniere di valute, ma non in dollari. La Cina sta pagando per espandere la sua marina e i suoi missili anti-nave. Un giorno, Tokyo potrebbe finalmente realizzare che, finché sarà occupato da Wall Street e dal Pentagono, vivrà in una recessione eterna. Anche l’Australia potrebbe eventualmente rifiutare di essere costretta ad una controproducente guerra commerciale con la Cina.

Quindi questo nostro mondo del XXI secolo sta prendendo forma ora per lo più come un confronto tra gli Stati Uniti/NATO e i BRICS, pregi e difetti da ogni parte. Il pericolo: che da qualche parte lungo la linea si trasformi in un Spettro di Confronto Totale. Poiché, non facendo errori, a differenza di Saddam Hussein e Muammar Gheddafi, i BRICS saranno effettivamente in grado di rispondere.

Pepe Escobar
Fonte: www.atimes.com
Link: http://www.atimes.com/atimes/Global_Economy/ND28Dj04.html
28.04.2012

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MARIA MERCONE

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