DI MASSIMO FINI
Il gazzettino
Le elezioni afgane, che i politici e i media occidentali avevano tanto enfatizzato, non solo sono state una farsa, com’era ovvio in un Paese occupato da 80mila soldati stranieri, dove è la stessa Commissione elettorale a manipolare i dati a seconda delle esigenze militari e politiche degli Stati Uniti, ma rischiano di trasformarsi in un boomerang. L’affluenza è stata bassissima. Meno del 50%, ammettono gli stessi osservatori internazionali, ma è un dato che va ampiamente decurtato perché, per i brogli, in moltissime sezioni, come risulta dai primi controlli, un’affluenza del 10% è stata trasformata in un 50%. Ma anche su coloro che sono andati effettivamente a votare non c’è da farsi illusioni. Una buona parte vi è stata mandata a forza dai capi clan locali per ritagliarsi una fetta di potere istituzionale negli anni che restano prima che i Talebani riprendano completamente il controllo del Paese. Un voto libero, individuale, democratico, come lo intendiamo noi, può essere solo quello andato a Ashraf Ghani, il più occidentalizzante dei candidati, non più del 2 o 3%.
Intanto i due candidati principali, il pashtun Hamid Karzai e il mezzosangue tagiko-pashtun Abdullah, si proclamano entrambi vincitori, accusandosi reciprocamente di brogli e non disposti ad accettare il successo dell’avversario. C’è il rischio di una guerra civile fra i tagiki dell’Alleanza del Nord e gli altri «signori della guerra» con cui Karzai, che non ha alcun seguito nè prestigio perché negli anni in cui i suoi connazionali si battevano contro i sovietici lui faceva affari con gli americani (e infatti nelle elezioni del 2004 fu imposto dagli Usa), si è alleato.
Una guerra civile in Afghanistan c’è già stata. Fra i «signori della guerra» per prendere il potere dopo la vittoria sui russi nel 1990. E durante quella guerra i leggendari comandanti mujaeddin, gli Ismail Khan, gli Heckmatjar, i Dostum, i Massud, e i loro sottoposti si trasformarono, in bande di taglieggiatori, di assassini, di stupratori che agivano nel più pieno arbitrio. La crescita del movimento talebano fu dovuta a questo. I Talebani, appoggiati dalla popolazione che non ne poteva più di quei soprusi, combatterono e sconfissero i «signori della guerra» e li cacciarono dal Paese riportandovi la legge e l’ordine, sia pur il loro ordine e la loro legge, la shariah. Nell’Afghanistan del Mullah Omar c’era sicurezza. Come mi ha raccontato Gino Strada, che vi ha vissuto, in quell’Afghanistan si poteva viaggiare tranquilli anche di notte. In quell’Afghanistan non c’era disoccupazione perché il Mullah, sia pur con qualche moderata, e mirata, concessione all’industrializzazione, aveva mantenuto l’economia di sussistenza. Non c’era corruzione per il semplice motivo che i Talebani facevano impiccare i corrotti. E dal 2000 non c’era neppure più traffico d’oppio perché il Mullah Omar aveva troncato la coltivazione del papavero. Sono esattamente gli obbiettivi che gli occidentali si sono proposti in Afghanistan senza centrarne uno. Ma quegli obbiettivi erano già stati raggiunti, dal mullah Omar, e sono stati distrutti proprio dagli occidentali che, per motivi puramente ideologici, per affermare la propria visione del mondo, hanno voluto la cacciata dei Talebani rompendo quell’equilibrio che l’Afghanistan aveva così faticosamente raggiunto.
Adesso che gli occidentali stanno perdendo la guerra («la situazione è grave e sta peggiorando» ha affermato Mike Mullen, capo di Stato maggiore Usa) farfugliano di una «soluzione politica». C’è una sola «soluzione politica» seria: chiedere scusa al Mullah Omar e agli afgani e sbaraccare, sperando che quell’uomo col suo prestigio, conquistato combattendo, giovanissimo, i sovietici, poi i «signori della guerra» e ora gli occidentali, con la sua indiscussa autorità morale, (all’apice del potere viveva con le quattro mogli e i figli in sette stanze) possa riportare l’ordine e la pace in Afghanistan. Se invece, cacciati gli invasori, questo non dovesse avvenire e i Talebani dovessero di nuovo battersi con i «signori della guerra», nel frattempo rafforzati dalle armi americane, vorrebbe dire che, oltre ad aver maciullato centinaia di migliaia di afgani, avremmo fatto perdere a quel Paese vent’anni riprecipitandolo nella situazione del 1990.
Massimo Fini
Fonte: http://www.massimofini.it/
Uscito su “Il gazzettino” il 28/08/2009
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