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La Redazione

 

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UNA SERATA AL BATACLAN (QUELLA DEL MASSACRO)

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A cura di Davide
Il 21 Novembre 2015
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DI ALEXANDRE FACHE

Humanite.fr

Stéphene T., 49 anni fa parte della decina di spettatori presi in ostaggio dai terroristi, usati come scudi umani o per comunicare con la polizia. Stéphene ci racconta dello shock dell’attacco, del comportamento degli assalitori e dell’assalto finale, nonché della difficoltà di realizzare che si è trovato al centro di un tale dramma.

La coperta termica è ancora lì, all’ingresso del suo appartamento, sotto un piccolo sgabello. Rischia di finire in una scatola, insieme agli abiti di questo terribile 13 novembre, che doveva essere una serata di festa per questo simpatico amante della musica . Stéphane T., informatico 49 enne, ci racconta l’attacco al Bataclan e della presa in ostaggio da parte dei terroristi prima dell’assalto decisivo.

Una serata al Bataclan

“Era la prima volta che vedevo Eagles of Death Metal in concerto. Scrivo brevi recensioni per una webzine musicale, Rock n ‘ Concert, e avevo un altro invito per andare al festival degli Inrocks, a la Cigale. Ma con il fotografo del sito abbiamo scelto il Bataclan … L’atmosfera era fatastica, davvero carismatico il cantante, divertente . Ero sul balcone, in alto, di fronte la scena, quando ho iniziato a sentire dei colpi, un po’ sordi, che venivano dal basso. Ovviamente, non ho capito subito cosa stava succedendo. Davanti a me, qualcuno ha detto: ”Credo che siano petardi, sento l’odore della polvere da sparo”. Ma non era petardi … “

L’attacco

“In quel momento, vedo il chitarrista della band smettere di giocare e scappare velocemente verso le quinte. Alcune persone si dirigono verso i lati, le urla aumentano. Inizio a nascondermi, e poi mi dico: no, bisogna scappare. Prendo le mie cose e mi dirigo verso il retro del balcone, dove ci sono le porte conducono alle scale che congiungono con il piano terra ( su di un foglio, ha iniziato a disegnare il piano di Bataclan – ndr ). Credo di avercela appena fatta, ma penso che scendendo le scale corro il rischio di trovarmi faccia a faccia con uno di loro e di beccarmi una pallottola.

Ritorno sul balcone, siamo quattro o cinque ad aver fatto quelle scale. E’ in quel momento che vedo realmente i terroristi, per la prima volta: sono in due, con i kalashnikov . Sono dovuti salire da dietro le quinte. Al piano di sotto, hanno dovuto aprire il fuoco per ben quattro o cinque minuti e ricaricare più volte i loro fucili. Al piano di sopra, sparano ancora qualche colpo, ma è un po’ meno frequente. Si tratta per lo più di colpi mirati. Per uccidere le persone, per abbattere chi tentava di di scappare?

Non lo so, davvero. Cerchiamo di nasconderci tra i sedil, ma riescono a vederci. Alcuni, meno in vista, tentano di strisciare verso un’eventuale porta di uscita. Vengono verso di noi e ci dicono: “Non vi uccideremo, seguiteci”. Ci raggruppano dapprima alla sinistra, sul retro balcone. Andando avanti, i terroristi prendono altre persone, e si ne raggruppano 11 o 12. Mi sembra di sentire un terzo aggressore, ma non so dove si trovi di preciso. Senza dubbio si tratta di quello che è stato colpito da un poliziotto nella confusione e la cui cintura è detonata. E’ in quel momento che ci hanno intimato di dirigerci nel corridoio che si affaccia sul passaggio di Saint-Pierre Amelot. E’ questa la piccola strada dove è stato girato il video che mostra le persone uscire dal Bataclan attraverso le due uscite laterali. Il corridoio è chiuso da una porta si affaccia sul balcone, e in fondo c’è una scala che deve portare verso quinte.”

Nel corridoio

”E’ li’ che abbiamo passato quasi due ore e mezza con i due terroristi. Ci raggruppano, ci sediamo. Ci fanno prima un discorso e ci dicono: ”Potete ringraziare il presidente Hollande perché è grazie a lui che subite tutto questo. Abbiamo lasciato le nostre donne e i nostri bambini in Siria, sotto le bombe. Facciamo parte dello ”Stato Islamico” e siamo qui per vendicare le nostre famiglie e i nostri cari per l’intervento francese in Siria”. Il tutto in francese, con una sottile punta di accento nord-africano, ma nulla di più.

I due assalitori si posizionano su ogni lato. Tre ostaggi sono piazzati davanti questa porta e gli altri, di cui il sottoscritto, col naso davanti le finestre che puntavano verso la strada. Attraverso una di loro, gli assalitori scaricano dei colpi d’arma automatica sulla strada. Forse verso la polizia che inizia a posizionarsi intorno al Bataclan. ”Mettetevi davanti le finestre e diteci se vedete degli sbirri o dei cecchini nell’edifico di fronte. Era strano, perché davanti a meno vedono l’interno di un appartamento con una televisione accesa.

L’intensità della luce variava e ciò mi faceva paura, ero un po’ turbato. Ad un certo punto, abbiamo visto due poliziotti nella strada a destra, con giubbotti anti proiettile e pistola tra le mani. Hanno guardato verso di noi, hanno fatto dei segni con la testa, un po’ come se ci ponessero delle domande. Non ci siamo affatto mossi, e sono partiti.

Gli assalitori ci stavano utilizzando per recapitare dei messaggi ai poliziotti. ”Ditegli che abbiamo degli ostaggi, che vogliamo negoziare, che vogliamo un walkie talkie. Non so veramente cosa stavano progettando di recuperare, ma… Tra gli ostaggi vi erano due donne, forse tre. Hanno tentato di scoprire se vi erano delle coppie. Vi era tale caso: una donna che era contro la porta con suo marito, al mio fianco, davanti una finestra. Ci dicevamo: ”In questo modo inviamo uno dei due a portare il messaggio agli sbirri, e se non ritorna uccidiamo l’altro.” Hanno anche identificano due cugini. Uno dei due è stato inviato per dire ai poliziotti: ”Sono armati, hanno delle cinture esplosive. Dovete indietreggiare.” Gli hanno detto: ”Se non sei di ritorno entro due minuti, uccidiamo tua cugina.” L’abbiamo sentito portare il messaggio, non doveva essere molto lontano. Ma né noi né i terroristi avevano alcun contatto visivo con quello che stava accadendo in sala.”

I Due terroristi

”Con noi parlavano francese. Ma quando parlavano tra di loro, e non volevano che comprendessimo, parlavano in Arabo. Li ho sentiti determinati, anche un po’ esaltati. Per un attimo, uno dei due, dopo aver sparato con il kalachnikov in strada, ha detto: ”Urrà, ne ho preso uno, era al telefono!” Erano molto soddisfatti di quello che facevano. All’inizio, quando ci hanno sistemato tutti in quel corridoio, hanno chiesto agli ostaggi vicino la porta di descrivere ciò che sentivano nella sala. ”Bene, si sentono delle persone gemere ed è tutto.” Alcuni chiedevano aiuto. Ciò non li faceva ridere, ma quasi. Ci hanno ridetto allora: ”Ben vi sta, è esattamente quello che accade alle nostre mogli e ai nostri bambini in Siria.”

Mi sono imposto di non incrociare i loro sguardi. Ma da quello che ho visto, erano vestiti come persone comuni, con qualcosa di nero. Da quanto ricordo, uno dei due aveva una barba poco folta. Piuttosto giovane, dai 25 ai 35 anni. Chiaramente, uno dei due aveva il comando sull’altro, e doveva essere il capo. Sono stato sorpreso, li ho trovati molto disorganizzati. Hanno, per esempio, improvvisato parecchio. Specialmente per entrare in contatto con la polizia.

C’è stato un episodio durato circa un quarto d’ora per trasmettere ai poliziotti un numero di telefono, attraverso il quale sarebbero stati contattati. Uno degli ostaggi ha segnato il suo numero di cellulare su di un pezzo di carta, uno degli assalitori o un altro ostaggio ha gridato il numero attraverso la porta. Quel momento è stato da un lato tragicomico, perché il poliziotto che rispondeva e cercava di annotare il numero aveva un forte accento del sud, e capiva male: ”06? E dopo, non ho capito…?”

Il segnale di un mandante?

”A intervalli regolari, ci chiedevano di gridare dalle finestre: ”Hanno degli ostaggi, hanno delle cinture esplosive, vogliono farsi esplodere, state indietro, state indietro! Non vogliono più vedere poliziotti qui vicino!” Ad un certo punto hanno cambiato- stranamente- col francese e uno dei due ha detto ” Chiamiamo… Tizio?”. Non mi ricordo più i nomi che hanno pronunciato. L’altro ha risposto: ”Non, non lo chiamiamo.” Ho pensato che poteva essere il mandante, quello che, in ogni caso, coordinava tutto.

Dopo ci sono stati quattro o cinque scambi telefonici. Hanno ordinato agli ostaggi di chiamare BFM. Senza successo.. ”Chiamate Itélé”. Neanche questo ha funzionato. Sono passati ad altre cose. Erano da un lato come dei dilettanti. Per quanto siano sempre apparsi determinati – erano lì per uccidere, è chiaro -, specialmente nella presa degli ostaggi, hanno molto esitato.

In tutti i casi, per loro, il risultato è stato chiaro: erano là per farsi esplodere. Ma ho l’impressione che non sapevano quando. Da parte mia, pensavo veramente che fosse giunta la mia ultima ora. Non vedevo come tutto ciò poteva finire in un altro modo. Sia perché i terroristi si sarebbero fatti esplodere con noi al loro fianco, sia perché avrebbero ucciso tutti a colpi di mitra. In quel momento, non consideravo nemmeno un assalto della polizia.

”Hai un accendino? Brucia quei soldi!”

”Uno dei due ha detto: ”Ci siamo riusciti. Andiamo, ci prepariamo per restare”. L’altro ” Nessun problema, sono pronto per restare un giorno, due giorni, una settimana.” E, di colpo, si sono presi il tempo di fare delle trovate assurde. Ad un certo punto, tirano fuori dei biglietti da 50 euro e domandano ad un ostaggio: Hai un accendino? Forza, bruciala!” C’è stato anche un grosso momento di tensione, credo con uno dei due cugini. Non so cosa sia successo esattamente, ma uno degli assalitori gli ha detto: ”Mettiti nel lato”, ha puntato il mitra e ha sparato. Gli sparato di proposito di fianco? Non lo so, ma mi sono accorto che ha ricaricato il suo kalachnikov subito dopo.

Per quanto mi riguarda,cercavo veramente di tenermi il più basso possibile, di essere invisibile. Non era semplice perché, come faccio prima di ogni concerto, avevo postato una foto del biglietto d’entrata su facebook. Tutti i miei contatti sapevano quindi che ero al Bataclan. E le persone hanno cominciato a chiamarmi, il mio cellulare ha suonato e sono riuscito a mettere il silenzioso, senza fare gesti bruschi. Ma ha continuato a vibrare spesso. La mia famiglia, i miei amici, cercavano di chiamarmi.”

L’assalto

“Verso le 0:30, non stava accadendo più granché. E’ in quel momento che uno dei due spara un colpo e fa un buco nella porta del corridoio. Ciò ha creato un po’ di panico. L’ aggressore che era lì è andato in fondo. Gli ostaggi hanno gridato: ” Smettetela si sparare, siamo appena dietro la porta. Faranno saltare tutto!” I rumori si sono fatti più accesi. Hanno compreso che i poliziotti cercavano di entrare nella sala. Ci hanno riuniti attorno a loro, si sono posizionati all’estremità verso le scale, dopo hanno sparato verso la porta.

Le persone della BRI sono entrate con i loro enormi scudi, che avevamo appena visto, con tutti i fori delle pallottole. Le luci si sono spente, delle granate assordanti sono state lanciate dai poliziotti. La prima esplose ai miei piedi, cado, poi ne è arrivata una seconda. E’ qui che vedo uno dei due assalitori, a un metro da me, in piedi, in alto dalla scala che scende verso il corridoio, una mano sul kalaschnikov e l’altra su un detonatore.

Ma non l’aziona ancora, non so perché. E se l’avesse fatto, non sarei qui a parlarne. Qui su continua a sparare dappertutto. I poliziotti avanzano. Io sono a terra, stordito dalle granate, vedo allora un dei Robot della BRI. Io alzo le mani. Con gli altri, fuggiamo verso la porta. Cerco di raccogliere una ragazza a terra, mi dicono: ”no, no, vai, spostati, spostati!”

Ci ritroviamo sul balcone. La, il tizio della BRI afferra la mia camicia per verificare che non ho dell’esplosivo, che non sono un terrorista. Ci fanno uscire dicendoci: ”Non guardate in basso”. E’ chiaro, quando vi dicono così è difficile non guardare in basso. E in quel momento vedo una mattanza di corpi, di cadaveri, gli uni sugli altri, con sangue da tutte le parti… Era terribile. E allo stesso tempo non ero sorpreso, perché durante le due ore precedenti, avevo sentito gemere, chiamare i soccorsi…”

L’uscita

”Scendiamo le scale posteriori, i poliziotti sono dislocati dappertutto. Fuori, i poliziotti ci fanno costeggiare le pareti – e ci hanno portato in un piccolo cortile interiore, via Oberkampf. Lì vi ho ritrovato il ragazzo che era vicino a me davanti alle finestre, a cui ho prestato la giacca, entrambi i cugini uno dei quali aveva avuto il biglietto d’entrata come regalo di compleanno. Da quel momento sono completamente incredulo. Mi chiedo: ”ma sta succedendo davvero?”

E’ un sensazione che ho avuto anche durante la presa in ostaggio, nel corridoio. Era tipo: ” Andate ora, va bene, fermate il film, ci siamo divertiti, ma qui è sufficiente.” Ma no, non si può fermare la scena e ci sono due tizi con dei Kalachnikov che sono lì per farsi esplodere. Fuori ero visibilmente sollevato. Inoltre, primo messaggio dei poliziotti è stato: ”Siete al sicuro, non avuto più nulla da temere.” E lo crediamo eccome, poiché la mobilitazione era enorme…

Nel cortile di strada Oberkampf, i poliziotti prendono le nostre generalità, interrogano ciascuno e fanno la conta dei ripescati. E’ in quel momento, verso l’una del mattino, che riesco a rassicurano la mia famiglia che sono ancora vivo, a dirgli che sono ancora vivo. Alcuni, come me, sono inviati in una sorta di quartier generale, situato in un bar accanto. Mi rendo conto che c’è il chitarrista della band. Nuovo interrogatorio e trasferimento in autobus al 36 molo di Orfèvres. La protezione civile è là, e ci dà delle coperte termiche. Ci hanno perquisito ancora. Ci passano ancora una volta al setaccio prima di poter fare una deposizione. Io racconto la mia storia a un ufficiale di polizia, che prende nota su di un computer.

Ha difficoltà a scrivere…. e mi domanda se voglio sporgere denuncia… io gli dico : Certamente, se è per questo…” E mi domanda nello specifico e se sono capace di descrivere gli assalitori. Racconto la mia storia quattro cinque volte a poliziotti diversi. Mi ringraziano, sono molto simpatici. Alle sei è tutto finito. Mi domandano se rientro da solo o se qualcuno può venire a prendermi. Ma non trovo più il cellulare. All’improvviso, decido di rientrare in metro. Sono le sei del mattino, ho addosso la mia camicia strappata e una coperta termica, e esco dalle strade di Parigi, dirigendomi verso la stazione Chatelet, è un po’ surrealistico. Nella metro, mi guardano con un’aria strana. Un vecchio di colore mi domanda come va’. Io gli rispondo: ”Diciamo bene.”

Il dopo

”La notte a venire, con la fatica e i calmanti che mi hanno prescritto i medici all’Hotel-Dieu, ho dormito piuttosto bene. Da allora mi risulta meno realistica la cosa. Ho l’impressione di vivere come una specie di dissociazione dagli eventi. Più lo racconto, più ho l’impressione che non sono stato io ad aver vissuto tutto ciò. Come se si trattasse del copione di un film nel quale ho preso parte solo all’inizio, ma non negli eventi. La psichiatra che ho visto domenica mi ha spiegato che si trattava di un fenomeno comune.

L’altra domanda che mi pongo è ‘perché io sono sopravvissuto e gli altri no?’ Ci si sente un po’ colpevoli. Come un usurpatore, anche essere l’oggetto di tanta felicità da parte dei tuoi cari, degli amici, dei semplici conoscenti, dei colleghi. Io ho voglia di dire: ”non ho fatto niente di particolare. Anche io sto male a considerarmi una vittima, comparandomi con le persone che sono state gravemente ferite o che sono morte. La psichiatra mi ha risposto che bisognerebbe gestire anche le ferite invisibili. Ma ho riscontrato una bella differenza.

Sabato non sono riuscito a trattenermi dal guardare i JT. Ma da domenica, sono incollato sui canali di cronaca. Guardo se ci sono informazione sugli altri ostaggi, l’evoluzione dei fatti, le vittime, i messaggi su facebook…

Vedo tutti questi messaggi che esortano a continuare a vivere , a uscire, ad andare ai concerti. Questo è un vero problema per me. I concerti , che sono il mio piacere personale , il mio giardino segreto. Potrei continuare come se niente fosse accaduto, non lo so. Ho dei biglietti per un concerto Martedì sera, che hanno dovuto annullare per l’attentato, immagino : I Diktators, Trabendo . L’ultima volta avevo attraversato la Francia per vederli a Bordeaux! Se dipendesse da me, ci andrei. Ma non sono sicuro di poter imporre ciò alla mia famiglia. Inevitabilmente, la vita ora sarà diversa. Ci sarà un prima e un dopo 13 novembre. “

Alexandre Fache

Fonte: www.humanite.fr

Link: http://www.humanite.fr/deux-heures-trente-avec-les-terroristes-du-bataclan-590145

17.11.2015

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CHRIS BARLATI

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