UNA NAZIONE IN ANSIA

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DI JIM KUNSTLER
Clusterfuck nation

Questa è una nazione in ansia. Per quanto sia refrattario alla paranoia, qualcosa mi spinge a credere che al Ministero del Tesoro ci debba essere qualche ufficio riservato preposto a comprare su tutto il listino Dow Jones, ma al momento opportuno (diciamo 15 minuti prima della campana di chiusura) e secondo le indicazioni del signor Paulson. Già pare che scialacqui una cinquantina di miliardi al giorno in sovvenzioni alquanto sospette. A quei livelli, per acquistare il Dow tutto intero gli basterebbero i soldi per la merenda.

L’idea di base, proseguendo nel mio attacco di paranoia, sarebbe quella di risollevare il mercato dei cambi in tempo di elezioni, in modo da dare ai più bamba tra i votanti l’impressione che il crack finanziario sia finito e che i bei tempi siano tornati.

I Repubblicani ne sarebbero benissimo capaci, alla faccia della simpatica apparizione di John McCain a Saturday Night Live, dove ha fatto comunella col “nemico” solo per ridere.

A parte questo, McCain ha condotto la campagna elettorale più sfacciatamente diffamatoria che abbia mai visto, a dispetto della sua reputazione di eroe di guerra e la sua ottima reputazione tra i colleghi senatori. Una campagna di abbiette insinuazioni e calunnie, apparentemente indirizzata a elettori che avrebbero difficoltà a qualificarsi per le Special Olympics. E c’è da chiedersi se McCain abbia realmente richiesto l’appoggio del Vicepresidente Dick Cheney, più che una benedizione un’estrema unzione. Se Cheney si fosse presentato in gran pompa, travestito da Darth Fener, le cose sarebbero andate meglio.
Quello che rende ansiosa parecchia gente, è ovvio, è la possibilità di brogli durante il conteggio. Uno dei tanti segnali della paralisi che strangola la nostra società: non siamo stati capaci di sbarazzarci di quelle mefitiche macchine Diebold per il voto elettronico, con la loro mancanza di documentazione cartacea. Incidentalmente, questi seggi col touchscreen sono un esempio di un calo di credibilità per la tecnologia. Le vecchie macchine elettorali meccaniche andavano benissimo, ma abbiamo dovuto superinvestire in sofisticazione, per trovarci con più problemi di prima. Questo dovrebbe essere un monito per quelli in balia del trionfalismo tecnologico.

La gente è ansiosa non solo perché Obama potrebbe venire scippato della vittoria, ma per l’eventualità che venga eletto McCain. La fiducia nelle sue capacità di giudizio è evaporata all’incirca undici minuti dopo che la sua scelta ha messo la pupa di Wasilla [Sarah Palin] a un tiro di sputo dalla Sala Ovale. Comunque sia, il Partito Repubblicano farebbe meglio a strisciare nel primo buco buio che trova, e mutarsi in qualcosa di meglio oppure estinguersi (come fecero i Whig nel 1856 [1] ). I Repubblicani non hanno ancora finito di rottamare l’America. Gli restano ancora tre mesi per distruggere il dollaro e l’economia che vi si regge. E con un Paulson che sgancia container di contanti a gente come quella della JP Morgan, possono continuare a fare quello che ha già provocato l’attuale catastrofe finanziaria (prestare soldi a chiunque, basta che respiri), magari giusto per finire quello che hanno cominciato.

Altri hanno paura che anche Obama mollerà mucchi di monete, solo a un diverso genere di beneficiari. Suppongo di sì. Spero che manifesti la volontà di scegliere, e che la applichi a opere pubbliche che portino benefici a tutti gli americani (sto pensando a un progetto che mi sta molto a cuore, quello di rimettere in piedi la rete ferroviaria passeggeri, in modo che la gente non sia costretta ad andare in auto, per esempio, da Atlanta a Louisville [677km], o da Cleveland a Columbus [255km]). In ogni caso, il nuovo Presidente avrà a che fare non solo con la marea di lamentazioni provocate dai suoi predecessori, ma con ogni probabilità anche con una burocrazia federale ipertrofica e inefficace, inetta a perseguire anche il più benintenzionato dei programmi.
Dovrà insediarsi durante quello che potrebbe essere l’anno peggiore che l’economia di questo paese abbia mai conosciuto. Il 2009 promette di essere peggiore dell’anno in corso, con un accelerazione di sfratti e sequestri di automobili, emorragia dei posti di lavoro, prezzo dei combustibili di nuovo in ascesa (magari con penuria annessa), con sullo sfondo un’altra bella fetta di ex classe media sempre più fuori dai gangheri. Riuscire a tenere tutto questo sotto controllo dimostrerebbe una capacità di governo di dimensioni storiche. E in parecchi ci si chiede se il Presidente ne uscirebbe vivo. Lo spettro di JFK e le speranze deluse che rappresentava (non importa se concrete o aleatorie) turbano ancora i sogni di questa nazione.

A parte la tremenda debt deflation [la perdita di valore dei beni dati in garanzia per i prestiti] e il probabile contraccolpo di una iper-inflazione che dissanguerà il paese, il nuovo Presidente dovrà affrontare anche il problema energetico. Spero che faccia tesoro di una lezione fondamentale: il solo modo che abbiamo di sperare in una “indipendenza energetica” consiste in una drastica riforma del nostro stile di vita auto-dipendente, per adottarne uno più localistico. Chiunque sia convinto che percorreremo autostrade e centri commerciali su auto a energia solare, eolica, da sabbie bituminose (che comunque sono del Canada), da olio di scisto, gas metano, gasolio dalle alghe, olio fritto usato, resterà deluso.
Dovremo vivere l’ambiente nordamericano in maniera diversa, in cittadine tradizionali, villaggi, città (di piccole dimensioni, con minore consumo energetico), e un paesaggio agricolo che richiederà maggiore attenzione da parte degli esseri umani (e magari l’aiuto dei nostri amici animali).

Il grosso del lavoro, per il nuovo Presidente, consisterà nel guidare una transizione fuori da abitudini, modi di vivere e aspettative obsolete di cui, volenti o nolenti, ci dobbiamo sbarazzare. Il doloroso ridimensionamento del settore finanziario, da un ipertrofico 20% e più dell’economia USA a qualcosa che si aggiri sul 5%, è solo la prima di queste rinunce. L’abbandono dei complessi suburbani (un tragico spreco di risorse per infrastrutture e stili di vita senza futuro) sarà ancora più doloroso, data la forma mentis sottesa a questi investimenti, il che porterà al malinteso tentativo di sostenere l’insostenibile, dilapidando così le nostre già scarse risorse.
Rifiuto l’etichetta di profeta di sventure, se guardiamo il contesto di queste transizioni. Ci sono molti aspetti del nostro modo di vivere che sono disgustosi, degradanti, abbrutenti e socialmente venefici, dalla nostra dieta suicida a base di grassi raffinati, sale e derivati dello sciroppo di glucosio, alla quotidiana devastazione spirituale delle sopraelevate, alla stupefacente solitudine e alienazione di gente resa ostaggio da una rete tele-consumistica di colonialismo corporativo.
È finita. Ma ancora non ce ne rendiamo conto. Forse neppure Obama ne è consapevole, ma è lui la persona degna di guidarci in questo nuovo, sconosciuto territorio.

James Howard Kunstler
Fonte:
http://jameshowardkunstler.typepad.com
Link: http://jameshowardkunstler.typepad.com/clusterfuck_nation/2008/11/a-nervous-nation.html
3.11.08

Traduzione per www.ComedonChisciotte.org a cura di DOMENICO D’AMICO

Nota del traduttore

[1] Il riferimento è al partito (pre-Guerra Civile) che negli Stati Uniti della prima metà del XIX secolo rappresentava, grosso modo, un’ideologia conservatrice, protezionistica e protestante. Le divisioni, in particolare sul tema della schiavitù, lo portarono all’estinzione. Molti dei suoi membri (tra cui Lincoln) aderirono al nuovo Partito Repubblicano

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