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UNA COMPONENTE ESSENZIALE DEL SISTEMA BANCARIO E FINANZIARIO MONDIALE

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A cura di Davide
Il 29 Agosto 2010
82 Views

DI DANIEL ESTULIN
danielestulin.com

Due giorni fa, il giornale tailandese THE NATION, pubblicato in inglese e considerato generalmente un organo di propaganda della DEA (Drug Enforcement Administration) in Tailandia, ha pubblicato un articolo sulla lotta in corso per la conquista del potere politico in Birmania, lotta che vede ancora una volta vede come favoriti… i monaci birmani. L’articolo consisteva di tre paragrafi e citava tra le sue fonti i servizi di spionaggio statunitensi e alcuni membri del Dipartimento di Stato nordamericano. Cosa accomuna Afganistan, Birmania, i documenti “segreti di WikiLeaks” e Hamid Gul, il generale rimosso dal suo incarico ed ex capo dei servizi segreti pachistani (ISI)? La droga.
Negli anni ’80, il generale Gul era il coordinatore della guerra combattuta dai guerrieri mujahadin contro le truppe sovietiche. La guerra, per inciso, veniva finanziata dalla CIA attraverso il traffico di droga. Nei documenti pubblicati da Wikileaks, Gul viene descritto come collaboratore dei Talebani e di Al-Qaeda, oltre che come coordinatore degli attacchi suicidi organizzati dalla NATO in Afganistan. Per quale motivo i documenti di Wikileaks, supposti segreti, si soffermano sulla figura di un vecchio generale di 74 anni? Gul, nel giugno del 2010, commise un “errore” imperdonabile quando durante una intervista concessa ad un giornalista locale tirò fuori il ruolo dell’esercito americano nella vendita di eroina afgana attraverso la sua base top secret Manas, nel Kyrgyzstan. Il ruolo dell’esercito americano nel traffico internazionale di stupefacenti è in realtà ampiamente documentato, dalla guerra in Vietnam (guerra in realtà combattuta tra società segrete per il controllo delle vie della droga, nonostante i libri di “storia” raccontino una realtà differente), passando per l’America Latina e per il Medio Oriente. Con l’economia mondiale al limite della disintegrazione, la droga si è trasformata in quel componente imprescindibile per sostenere qualcosa che è oramai insostenibile. Gul è un personaggio scomodo a Washington, non solo per i suoi commenti sul traffico di droga, ma anche per le sue dichiarazioni del 26 settembre 2001 sul ruolo di Mossad negli attentati dell’11 settembre (9-11).

Per screditare Gul e l’attuale regime Pachistano, unico paese mussulmano munito di armi nucleari, i “Signori delle Ombre” hanno utilizzato WikiLeaks come flagello per dirigere i loro attacchi verso Gul.

Già due settimane fa commentai sulla mia pagina di Facebook come, a mio avviso, WikiLeaks venisse manovrato in segreto dal governo americano. Il modus operandi di questa manipolazione è riconoscibile. Per aumentarne la credibilità, viene pubblicato un video (appositamente filtrato) dell’esercito americano ritratto durante un attacco da brividi portato contro dei giornalisti indifesi. La reazione del governo americano non tarda quindi ad arrivare – dapprima cingendosi della bandiera americana chiedendo vendetta per il tentativo di debilitare il paese e la sua “lotta contro il male” (i simboli sono fondamentali in tutte le operazioni segrete); quindi sferrando una feroce critica verso i responsabili; all’indignazione del popolo (ovvia e prevedibile, le persone comuni si indignano davanti a questo genere di filmato) il governo e l’esercito rispondono avviando un’inchiesta sull’accaduto… il popolo viene soddisfatto (l’inchiesta dimostrerebbe la democraticità del sistema e il potere dei mezzi di informazione liberi ed indipendenti). Con le ultime pubblicazioni di oltre 90,000 documenti sulla guerra in Afganistan. Il fondatore di WikiLeaks, un misterioso australiano di 29 anni, senza passato né presente, si converte nel “faro della democrazia” in modo non dissimile da Hashim Thaci, leader degenere della repubblica criminale del Kosovo.

Il documento più indicativo sul vero ruolo di WikiLeaks e sui suoi reali rapporti con il governo americano è quello relativo alla supposta ammissione da parte dell’esercito americano che Osama bin Laden sia ancora vivo, notizia che alimenterebbe in modo conveniente la Guerra Contro il Terrore. Il fatto che bin Laden sia effettivamente morto il 21 Dicembre 2001, cosa nota a tutti i servizi di spionaggio mondiali, non viene dato a sapere. E visto che la massa ignorante non vuole rendersene conto… conviene proseguire con il mito di bin Laden.

Tornando al discorso iniziale, stiamo vivendo dei grandi cambiamenti geopolitici. L’economia mondiale è praticamente in ginocchio, i grandi potenti non danno risposte credibili, la Comunità Europea si sta disintegrando sotto i nostri occhi, ciascuno dei suoi paesi membri si chiude nei suoi interessi. Le dinamiche globali diventano sempre più imprevedibili e difficili da comprendere, soprattutto se ci si affida ai mezzi di informazione di massa.

L’articolo che segue, riguardante la Birmania, fu pubblicato dal sottoscritto circa tre anni fa su un media statunitense. Vale la pena ripubblicarlo per la rilevanza che assume alla luce di ciò che accade in questo periodo.

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La lotta in essere per conquistare il potere politico in Birmania, che vede avvantaggiati i monaci birmani, è finita sulle copertine di tutti i mezzi di comunicazione del mondo. Nel suo discorso all’assemblea delle Nazioni Unite, Bush aveva denunciato quello della Birmania come un “feroce regime” (insieme a quelli di Bielorussia, Cuba, Iran, Siria, Corea del Nord e Zimbabwe).

Il messaggio che ne è venuto fuori dai media occidentali, pilotati dal governo statunitense, è che le manifestazioni in corso in Birmania siano “a difesa della democrazia” e contro la tirannia politica. Questo punto di vista rappresenta senza ombra di dubbio una forma istituzionalizzata di disinformazione. Di fatto, all’origine delle proteste si nasconde il rincaro nei prezzi di “pane e acqua” (n.d.t. per “pane e acqua” si intende beni di prima necessità). Come spiega Il New York Times nella sua edizione del 24 Settembre, le proteste iniziarono il 19 Agosto come risposta al brusco e improvviso incremento dei prezzi della benzina (che aumentarono di circa il 500%) che diedero origine ad una impennata dei prezzi di tutti gli altri beni, oltre che ovviamente dei costi di trasporto.

Le proteste sono guidate dagli studenti e dai monaci, i quali hanno denunciato il governo di volere “impoverire” la popolazione. Il linguaggio delle denunce dei manifestanti non fa assolutamente riferimento a termini come libertà e democrazia, spesso citati dai mezzi corporativi statunitensi, ma semplicemente alla crisi dei prezzi.

Il “problema” principale di Washington con il governo Birmano non è tanto legato al “feroce regime” o all’“asse del male”. Gli alleati degli Stati Uniti come Arabia Saudita, Etiopia e l’Irak di Saddam Hussein degli anni 80 sono/furono regimi altrettanto sanguinosi, che però godevano del pieno appoggio americano e della copertura diplomatica di cui necessitavano. Il vero “problema” della Birmania sta nel fatto che i suoi mercati, le sue terre e le sue risorse naturali non sono al momento sotto il diretto controllo degli interessi corporativi e finanziari dell’occidente.

Non c’è dubbio che il leader attuale del paese, il Generale Than Shwe, mezzo analfabeta oltre che efferato dittatore, debba essere giudicato per crimini contro l’umanità da qualche legittimo e competente Tribunale Internazionale di Giustizia. Non c’è dubbio inoltre che, dietro le denunce americane legate alla presenza di un “feroce regime” si nasconda, in realtà, una motivazione molto più oscura: il traffico di stupefacenti.

Combattere e sradicare il fenomeno della droga è dannoso per il mondo finanziario. Secondo l’Ufficio dell’Onu per il Controllo della Droga e la Prevenzione del Crimine, il triangolo d’oro (costituito da Birmania, Laos e Tailandia) ha perso il suo ruolo di principale produttore mondiale di oppio, contribuendo oggi con meno del 5% al totale di oppio immesso sul mercato, un calo significativo rispetto al picco del 70% di tre decenni fa.

Per contro, la mezzaluna d’oro e l’Afganistan, al momento controllate dalle forze della NATO con i relativi alleati, si ritrovano con il ruolo di leader assoluti nella produzione e distribuzione di oppio, con quantità molto superiori a Colombia e triangolo d’oro. L’Afganistan, secondo i dati forniti dalle Nazioni Unite, produce il 92% dell’oppio circolante. Il valore totale delle esportazioni di oppio afgano, secondo l’ONU, si calcola in 3000 milioni di dollari, equivalente alla metà del PIL del paese. Inoltre il 12% della popolazione afgana, che ammonta a 23 milioni di abitanti, si dedica esclusivamente alla coltivazione dell’oppio. La maggior parte della droga prodotta in Afganistan è destinata a Gran Bretagna, Italia e Spagna, sempre secondo fonti ONU.

Con le “forze di pace” della NATO che tengono sotto controllo il paese e, in modo meno evidente, il traffico di droga che lo sostiene, è davvero possibile continuare a credere alla favola che si sta combattendo una vera lotta contro questa piaga? Se la NATO volesse veramente fermare i signori della guerra, potrebbe farlo in poche ore.
D’altro canto l’ONU, piuttosto che combattere il governo della Birmania, lo appoggia nella lotta locale contro la droga, in particolare nella zona dello Shan, epicentro delle coltivazioni di oppio.

Cosa si nasconde all’ombra di posizioni così diverse?

Lo sradicamento della droga dal triangolo d’oro causerebbe una evoluzione geostrategica che va contro gli interessi delle principali banche occidentali, dei loro governi e delle corporazioni internazionali, i cui sistemi finanziari e politici dipendono dal flusso di miliardi che viene generato dal traffico di droga.

I funzionari dell’ONU sostengono che l’unico modo di farla finita con la droga consiste nell’eliminare le coltivazioni di papaveri, fatto questo che andrebbe contro i grandi interessi dei governi occidentali e delle istituzioni finanziarie di tutto il mondo.

Il denaro proveniente dal traffico di droga è divenuto parte strutturale delle economie occidentali. Ogni anno il ricavo derivante dal commercio di stupefacenti si colloca intorno ai settecentomila milioni di dollari, esentasse. Questa cifra è stata fornita dall’agenzia governativa statunitense incaricata di seguire i flussi di denaro a livello globale. Settecentomila milioni di dollari sono troppi soldi per essere tenuti nascosti sotto un materasso. Serve molta esperienza e soprattutto capacità per poter trasferire fondi di tale entità senza farsi notare. L’ignoranza, specialmente quando le transazioni sono così ingenti, non è una posizione credibile. Eppure, in cinquant’anni di riciclaggio di denaro sporco, sono poche le persone al corrente di una verità tanto scomoda. Perché?

Di fatto, il denaro proveniente dal traffico di droga è diventato parte sostanziale del sistema bancario e finanziario mondiale, in quanto fornisce la liquidità necessaria a finanziare i “costi minimi mensili” delle manovre speculative di Stati Uniti e Gran Bretagna.

L’effetto moltiplicatore (quantificabile in circa sei volte il capitale di origine “illegale”) prodotto dal riciclaggio di settecento mila milioni di dollari darebbe come risultato una somma equivalente a circa venti miliardi di dollari, tutti derivanti unicamente dal traffico di stupefacenti.

Il valore delle azioni delle aziende quotate a Wall Street è legato alle prospettive di guadagno annuali di ogni singola azienda e le si possono pensare come “frazioni” di proprietà dell’azienda e ne rappresentano il valore più equo. L’effetto moltiplicatore cui le azioni sono soggette in borsa può a volte raggiungere un fattore 30, gli analisti finanziari hanno infatti creduto per lungo tempo che un rapporto “sano” tra prezzo e guadagno per un qualunque tipo di azione debba essere 15 o al più di 30 a 1. In questo modo, se si prende questa cifra come un rapporto esclusivamente matematico, aggiungendo un solo dollaro alla complessiva capitalizzazione in borsa di una azienda, questo produrrà come risultato un valore aggiunto, sul mercato borsistico, di trenta dollari.

Cosa significa tutto questo nel mondo reale? Per le banche mondiali avere un guadagno netto supplementare di dieci milioni di dollari, la liquidità derivante dal commercio di stupefacenti, equivale a profitti in borsa che possono arrivare fino a trecento milioni di dollari. Senz’altro, prima di far risultare queste somme all’interno dei bilanci , è necessario ripulirle attraverso ogni tipo di operazione illecita.

I guadagni provenienti dal lucroso commercio di stupefacenti sono illeciti, cosa che tendono a scordare tutti coloro che cercano di analizzare le dinamiche del mercato della droga. Prima di poter essere utilizzato, questo denaro va prima nascosto e poi ripulito. Al giorno d’oggi il denaro si sposta con tale velocità che, a meno di non controllare la totalità dei sistemi informatici coinvolti, risulta impossibile da tracciare. Già questo basterebbe a spiegare l’assoluta attrattiva del business del traffico di droga, che viene diretto, controllato e salvaguardato da personaggi dotati di grande potere, spesso in collaborazione con le istituzioni finanziarie e bancarie operanti su entrambi i lati dell’Atlantico; funzionari di vari governi e di importanti corporazioni i cui titoli sono oggetto di scambio sulle più importanti borse mondiali.

Si aggiunga che queste grandi corporazioni possono guadagnare una quantità straordinaria di denaro sporco semplicemente facendoselo prestare tanto da singoli individui quanto da intere nazioni dedite al traffico di droga come la Colombia, per poi restituirlo, ripulito, a tassi di interesse bassissimi, e ottenendone comunque grossi benefici. Quando si fa un prestito di cento mila milioni di dollari a un interesse del 5 per cento ad una enorme corporazione, il denaro che se ne ricava diventa effettivo e lecito.

Il commercio di stupefacenti ha acquisito potere in quanto sostiene gli investimenti delle più grandi corporazioni mondiali. Wall Street non può permettersi di rinunciare ai magnati della droga. Il Congresso non può permettersi di rinunciare ai magnati della droga. I presidenti, per finanziare le loro campagne elettorali, non possono permettersi di rinunciare ai magnati della droga. Perché? Perché l’economia mondiale, controllata da un piccolo uno per cento, non può permettersi il rischio che la concorrenza (sia negli affari che nella politica) si impossessi del denaro destinato alla droga. E per ogni milione di dollari scambiato in una compravendita di azioni, il capitale in possesso di quell’uno per cento che controlla Wall Street aumenta di venti o trenta volte.

La politica è direttamente coinvolta in questo meccanismo e la sua possibilità di intervento è subordinata agli appoggi che la sostengono e che, finanziandola, la mantengono al potere. Questa complicità di interessi è una parte essenziale dell’economia mondiale e rappresenta il combustibile che fa girare le ruote del capitalismo.

Coloro che si sono uniti alle critiche contro il governo totalitario della Birmania, dovrebbero capire che le loro iniziative stanno contribuendo a portare avanti l’agenda occulta dell’ ”Uomo dietro le quinte” che maneggia i fili del potere.

Daniel Estulin
Fonte: www.danielestulin.com/
Link: http://www.danielestulin.com/2010/08/13/una-parte-esencial-del-sistema-bancario-y-financiero-mundial/
13.08.2010

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di LUCA PAOLO SOTGIU

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