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DI HS
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Nel bel mezzo dell’era postmoderna o (post) postmoderna e postundici settembre ancora non riusciamo ad attribuire alle cose il loro nome corretto, perché nell’epoca in cui la barbarie ha indossato abiti eleganti e civili non ci siamo accorti che la guerra non è mai esistita o, per meglio dire, non esiste oggi. Fino ad un tempo non molto lontano gli eserciti si affrontavano in campo aperto, magari con grande spreco di sangue, ma rispettando delle regole non scritte, quasi dettate da una sorta di etica cavalleresca. Naturalmente le vittime civili non sono mai mancate anche in passato, ma la brutalità verso gli innocenti non costituiva, tutto sommato, almeno fino a due secoli fa, il tratto distintivo di una guerra.
Progressivamente e forse soprattutto per il degrado culturale delle masse e per il pragmatico cinismo di capi di stato e governanti, la guerra è mutata in puro e semplice terrorismo, omicidio di massa e barbarie generalizzata.

Le cosiddette “guerre” odierne non contemplano più l’aspro e violento confronto fra divisioni corazzate, ma spesso si impongono all’attenzione come sanguinarie e fratricide guerre civili con il coinvolgimento di potenze e forze esterne per basse ragioni di bottega o finalità geopolitiche e strategico militari. Perdendo contatto con l’umanità del nemico, la guerra ha svelato il volto più sordido dell’orrore puro. Se gli aviatori, a cui è stato ordinato di bombardare indifferentemente obiettivi strategici o villaggi, giocano ai videogames con le vite altrui, i soldati chiamati a partecipare alle operazioni delle coalizioni di marca NATO o, semplicemente, di “stati volenterosi” si dilettano nell’ebbrezza dell’uso delle armi riprendendo le loro azioni con voyeuristica e pornografica dovizia di particolari. La guerriglia delle bande irregolari è sempre più assimilabile al banditismo organizzato da equivoci elementi che traggono dall’uso delle armi un senso di assoluta onnipotenza. Nei conflitti postmoderni e (post)postmoderni i bombardamenti aerei a tappeto, gli attentati indiscriminati, i rastrellamenti che evocano i sinistri metodi delle divisioni naziste e gli omicidi mirati sono all’ordine del giorno.

In quest’orgia di sinistri colori che mescolano il rosso delle carni violate e il nero del fumo che fiorisce dai crateri, coloro che provocano le macellerie si trincerano chi dietro la francamente stucchevole e disgustosa retorica “umanitaria”, dei diritti e dei buoni propositi come i Presidenti e i Premier degli stati occidentali, chi riesumando l’ormai frusta e spesso insincera oratoria da capopopolo terzomondista, antimperialista e populista. Ma tutte le quotidiane guerre terroristiche uccidono prima di tutto l’uomo e la sua umanità, martoriandone la pelle e gli arti e avvelenandone lo spirito. Oggi anche chi decide di imbracciare un’arma capace di stendere decine di avversari, sia pure per una causa sacrosanta, dovrebbe sapere che c’è sempre un prezzo molto alto da pagare…

Come non molto di eroico è concesso a chi combatte, così morire realmente in guerra non si presta ad alcuna piccola retorica patriottica o nazionalista, perché, si tratti di civili o militari, si è destinati a perire male, maciullati sotto il deflagrare dei missili o il crepitio delle pesanti mitragliatrici, crivellati da più proiettili vaganti oppure dileggiati, picchiati e seviziati fino all’ultimo respiro. Se nella morte risiede una profonda ed insopprimibile solitudine, nelle terroristiche guerre postmoderne e (post)postmoderne si muore doppiamente soli, imprecando dal dolore ed invocando gli affetti più cari, ma senza nessun conforto e senza alcuna consolazione.

Nella sua natura più intima il cristianesimo appare come una fede profondamente triste e cupa per tutta quella simbologia e ritualità che rimanda alla morte del Cristo – nonostante la Resurrezione -, perché di una persona che ha dato molto si dovrebbe ricordarne la vita e la vitalità cancellando dalla mente gli ematomi, il volto lacerato e sofferente e il corpo esanime. Il miglior modo per rievocare una figura di deciso attivista per i diritti del popolo palestinese, volontario e blogger di un sito seguitissimo perché fra i pochi ad informare sulla reale situazione della Striscia di Gaza quale era Vittorio Arrigoni, dovrà essere quello di ripercorrere i suoi passi per comprenderne, in un certo senso, l’unicità e per dare significato anche ad una morte violenta che, a prima vista superficiale e grazie al solito tam tam del sistema mainstream dei media, viene derubricata come l’ennesimo folle gesto di un gruppetto di islamisti fanatizzati dall’ideologia jihadista promossa dallo sceicco virtuale del terrore Bin Laden.

Se di quella assurda e apparentemente misteriosa morte siamo quasi obbligati a trattare è per riprendere il filo della vita di Vittorio Arrigoni, però a tempo debito…

Disponendo di poco tempo e per via dei miei disturbi “umorali” confesso di aver poco seguito l’avventura umana di questo coraggioso blogger. Ho letto qualcosina su Guerrilla Radio e ho ascoltato qualche corrispondenza che veniva generosamente prestata a Radio Popolare o a RAI News, ma nulla di più… Invece devo ammettere, fuori da ogni retorica, che questo ragazzo – e mi permetto di apostrofarlo così perché più giovane di me di qualche anno – meritava e continuerà a meritare un’attenzione particolare che a pochi si può riservare realmente. Carisma come pochi, Vittorio Arrigoni ha coltivato un amore come pochi per l’Umanità, un amore che ha saputo trasmettere ai suoi amici e ai suoi lettori. In definitiva sussistono molte buone ragioni, non solo per apprezzarne il raro impegno, ma per cercare di seguirne l’impegno, la dedizione e l’applicazione per quei pochi valori e principi per i quali valga la pena di dedicare un minimo di sacrificio. Vediamo perché…

Innanzitutto, come i suoi compagni dell’International Solidarity Movement, sembra che sia stato catapultato da un altro tempo, un’era in cui realmente la parola solidarietà si concretizzava attraverso un impegno militante a favore del prossimo, di quella parte della collettività e del consorzio sociale ed umano più debole, disagiato e, addirittura, vilipeso. Un’epoca in cui gli uomini erano perfino capaci di sacrificare loro stessi pur di far discendere dal platonico mondo delle idee quanto poteva appagare la sete di progresso e sviluppo sociale, collettivo, culturale ed umano. Nel nostro piccolo mondo occidentale dominato dal paradigma e dalle logiche del Mercato che, oltre ad alimentare le ingiustizie e la povertà e ad approfondire le differenze di reddito, ha diffuso e continua a diffondere un pernicioso spirito competitivo che si nutre di individualismo, egoismo, cinismo, consumismo ed edonismo… Nel nostro minuscolo guscio vuoto, ormai quasi privo e deprivato di ogni valore, soffocato dal frastuono onnipresente della società dello spettacolo e dei divertimenti le soggettività espresse da personaggi come Vittorio Arrigoni sono – per dirla ironicamente – merce realmente rara e sui generis. Ma come dovremmo giudicare, con i nostri parametri intrisi di pragmatismo ed “economicismo”, un tizio che decide di decidere al di fuori della gamma di scelte che, quotidianamente, siamo chiamati ad effettuare ? Un tale che, per evidente amore per il popolo palestinese e per la parte migliore dell’umanità, sceglie di vivere per anni in una delle regioni più disgraziate del mondo ? Agli occhi dei più deve essere sembrato un autentico pazzo o un extraterrestre venuto da chissà quale strano pianeta… A osservarlo con questi occhiali un po’ deformati, l’indomabile Vik – e mi scuso sin da subito per aver usato questo diminutivo che gli amici e i compagni più cari gli indirizzavano – ci appare molto, ma molto lontano… Se avesse optato per restare nel Belpaese, da buona penna quale era, si sarebbe magari conquistato un posticino nei salotti più chic che radical, avrebbe partecipato a lucrosi incontri e conferenze e, forse, non si sarebbe lasciato scappare l’occasione di farsi pubblicare un buon saggio dalla berlusconiana Mondadori, ma se avesse preso quella strada per rinunciare ad un impegno ben più serio, genuino e solido, avrebbe semplicemente rinnegato il suo nome…

Eppure c’è qualcosa che ci fa sentire Vik più vicino a noi che non ad altre figure più o meno giustamente celebrate come eroiche, perché lui non era né un solerte magistrato, né un cronista di guerra, né un medico o un chirurgo dedito a missioni umanitarie. L’impegno profuso nella striscia di Gaza è assimilabile ad una missione dagli aspetti totalizzanti più che ad un’onesta funzione, ad un nobile e disinteressato servizio. Facendo i conti con l’attivismo di Vik ci si avvede di quanto possa essere arduo applicare delle etichette. Semplicemente ha donato sé stesso, la sua parte intellettuale, creativa e realizzativa migliore per metterla al servizio di un popolo che tanto ha sofferto e tanto continuerà a soffrire e, in fondo, nel nostro intimo, molti di noi vorrebbero munirsi di quel coraggio e di quella determinazione per fare quanto è giusto e necessario. In questo senso, paradossalmente, lo sentiamo più vicino: lui ha osato e chissà se anche noi potremmo mettere un briciolo di quella volontà in quel che veramente conta. Le fiaccolate, sorte spontaneamente in questi giorni, testimoniano questo grande affetto, un sentimento che deve essere mantenuto vivo e fiammante, perché è a quell’impegno concreto a cui la sua esistenza è stata dedicata che dobbiamo guardare…

Le “incursioni” della Freedom Flottilla, i trasbordi di medicinali e cibo nei tunnel scavati per aggirare il blocco israeliano che da anni strangola il popolo palestinese, l’impegno a fianco dei contadini e dei pescatori palestinesi che hanno procurato due arresti arbitrari da parte dell’esercito israeliano con il solito contorno di brutalità assortite, finalizzate all’annullamento di questa piccola solidarietà transnazionale a favore di un popolo assolutamente violentato… Come si può sommariamente vedere, un curriculum di genuina militanza politica di tutto rispetto, ben distante dalla politica “politicante” parlata e fatta di slogan vacui che, in definitiva, rappresenta lo stadio di morte terminale dell’impegno sociale sia a livello interno che internazionale. Non deve, quindi, sorprendere che un nutrito gruppo di giovani palestinesi abbia voluto accompagnare il feretro di Vik e stendervi la bandiera nazionale. Infatti la militanza filo palestinese è fuori questione… In questi giorni Vik è stato dipinto come un pacifista, un volontario ed operatore di pace, quasi a sottolinearne una sorta di neutralità nel conflitto in corso. Sono sicuro che, abbassando sconsolatamente, lo sguardo a terra dopo essersi acceso la sua inseparabile pipa, avrebbe speso qualche parola di disapprovazione. Il comodo pacifismo “ad ogni costo” di chi teme di sporcarsi le mani e si obbliga a non prendere mai posizione al prezzo di accantonare qualsiasi altro discorso sui diritti umani – chi è la vittima ? Chi il carnefice ? – non apparteneva certo al suo orizzonte politico – culturale. Probabilmente avrebbe bollato come “imbelle” tale atteggiamento, alla “Ponzio Pilato”, perché Vik era un autentico “guerriero disarmato” dedito ad azioni di disobbedienza civile, un non violento gandhiano piuttosto che un pacifista. Quale significato attribuire, infatti, alla sfida lanciata al blocco imposto dall’esercito israeliano ? E tuttavia era ben consapevole che la guerra delle armi non convenzionale, dei mitra e delle bombe, dei bombardamenti indiscriminati e degli omicidi mirati entra nel circolo dei pensieri e dei sentimenti avvelenando le coscienze. Ha vissuto per tre anni a Gaza ed aveva abbastanza anni ed esperienze alle spalle per rendersene conto. In questo senso soleva spesso ripetere che “bisogna restare umani” e “Restare umani” è anche il titolo del bel libro scritto da lui e pubblicato da Manifesto Libri un paio di anni fa con la prefazione di Illan Pappe, l’autore dell’imprescindibile “Pulizia etnica della Palestina”. A conti fatti, più che pacifista, un “costruttore” di pace secondo la migliore tradizione laica e di sinistra, consapevole di quanto possa essere estremamente difficoltoso consolidare le fondamenta per gettarsi alle spalle le macerie.
Un sincero cittadino del mondo e militante per i diritti umani e uno degli ultimi esemplari di “umanista”… Razza di altri tempi…

Questo impegno totale e totalizzante non poteva escludere dalle sue prospettive, l’assiduo e costante aggiornamento informativo sulla questione palestinese attraverso guerrillaradio che, almeno ci auguriamo, venga raccolto e proseguito dai colleghi blogger che condividono la posizione filo palestinese di Vik e che sono disponibili a perpetuarne la militanza. Si tratta di un’eredità gravosa e veramente impegnativa, perché Vik non era certo un giornalista professionale e sotto padrone e non era neanche un entusiasta free lance journalist. Non parliamo poi di coloro che trascorrono il tempo a smanettare davanti al monitor pretendendo di pontificare sul mondo al chiuso delle quattro mora domestiche ! In lui militanza e genuina “controinformazione” si sono fusi senza che una potesse fare a meno dell’altra ed è forse su questo versante che Vik ha dato il meglio di sé stesso. Il giovane ostinato e caparbio blogger è assurto agli onori (od oneri) della notorietà internazionale quando, unico fra i media occidentali, il blog Guerrilla Radio informò l’opinione pubblica sulla famigerata operazione dell’esercito israeliano “Piombo Fuso”, l’uso pesante e massiccio di armi non convenzionali sulla Striscia di Gaza. Per il resto si registrò il consueto silenzio complice degli organi di informazione occidentali e ufficiali, specchio della posizione che USA e Unione Europea hanno tenuto e tengono tuttora rispetto al comportamento scandalosamente criminoso dei vertici dello Stato di Israele a riprova che il diritto internazionale funziona a più velocità e a seconda delle convenienze delle cancellerie che contano. Doveva essere già chiaro allora che Vittorio Arrigoni sarebbe stato inserito in qualche “lista nera”, come nemico della causa sionista. Da allora il blog è diventato un punto di riferimento irrinunciabile per conoscere lo stato dell’occupazione israeliana per un sempre maggior numero di utenti della “rete”. Coerente con la sua adesione alla causa palestinese, Vik non ha rinunciato a presentarsi come una voce indipendente sposando esclusivamente le sofferenze di una popolazione violentata e martoriata. Nel corso dei suoi interventi ha lanciato bordate contro la corrotta amministrazione di Fatah in Cisgiordania e non ha neanche risparmiato quello di Hamas della Striscia di Gaza. Agli inizi di quest’anno ha ripubblicato sul proprio blog il manifesto dei giovani di Gaza Gaza Youth Breaks Out in segno di protesta e a favore della loro rivendicazione di libertà sia dall’occupazione israeliana sia dal regime di Hamas. In quest’ultimo periodo aveva simpatizzato con i recenti movimenti che stanno sconvolgendo gli assetti dei paesi arabi e del Medio Oriente. Personalità libera ed autonoma, Vik si è comunque segnalato e fatto conoscere per la decisa, dura e sacrosanta presa di posizione contro la politica di occupazione dello stato israeliano. Libero da lacci e lacciuoli e svincolato dall’obbligo di rispondere a qualcuno per il contenuto dei suoi post e dei suoi editoriali, ha avuto il notevole coraggio di sfidare uno dei tabù della contemporaneità postmoderna accusando Israele di responsabilità genocidarie nei confronti dei palestinesi dei cosiddetti “territori occupati” e di pratiche da apartheid, discriminatorie e semisegregazioniste praticate nei confronti degli arabi, cittadini “non israeliani” all’interno dei propri confini. Sul suo blog si poteva leggere la cronaca quotidiana di un’oppressione che ha pochi eguali al mondo e che non lesina certo sui mezzi per portare a termine i propri scopi. Muri di separazione, blocchi navali, bombardamenti, rastrellamenti, arresti, brutalità, torture, omicidi mirati ed extragiudiziali, ecc…

Mentre la cattiva coscienza occidentale si commuove per le vittime della guerra civile libica in uno dei suoi ultimi post, dava conto di un autentico pogrom compiuto dall’esercito israeliano nel villaggio di Awarta senza risparmiare anziani, donne e bambini. Prendendo a pretesto il massacro di cinque coloni su cui pare non sia stata fatta ancora piena luce, venivano e vengono effettuati massicci rastrellamenti nel corso dei quali i militari israeliani danno libero sfogo ai propri sentimenti antiarabi e antipalestinesi distruggendo case, lanciando granate e sequestrando scorte alimentari. Sempre secondo Guerrilla Radio sarebbero 50 le vittime palestinesi della Striscia di Gaza dal principio di quest’anno, mentre gli israeliani farebbero ancora ampio ricorso ad armi bandite dai Trattati Internazionali. Soprattutto di fronte al silenzio e all’inerzia di un mondo intellettuale e di un giornalismo che voltano costantemente gli occhi dall’altra parte, Vik si è spesso polemicamente confrontato con personaggi più “quotati” come il corrispondente del “Corriere” Lorenzo Cremonesi, ma l’intervento più celebre e mirato rimane quello indirizzato all’ultima icona della “pop cultura” italiana, quel Roberto Saviano sin troppo coccolato e vezzeggiato da un’internazionale dell’intellighenzia piuttosto esclusiva e sempre in cerca di platee da affabulare. All’incirca nel periodo in cui si imponeva definitivamente come stella nel firmamento della televisione italiana con la nota trasmissione ideata dallo scaltro Fabio Fazio, il giovane scrittore campano manifestò l’acritico sostegno alle istanze della “democrazia” di Israele nel corso di una manifestazione promossa dai coloni. Con una buona dose di garbo e di savoir faire Vik invitò Saviano a scendere dal suo pulpito e a visitare la Striscia di Gaza per sincerarsi delle condizioni dei contadini e dei pescatori palestinesi. Provocatoriamente, ma non troppo, accostò la brutalità dell’attuale Presidente israeliano Shimon Peres a quella del mafioso Brusca, per toccare una corda sensibile del giovane scrittore anticamorrista e antimafioso. Naturalmente l’invito non è stato raccolto e Saviano continua a frequentare i soliti salotti, dedicando il suo tempo attuale a lanciare invettive e prendere le distanze dall’editore che ha contribuito a forgiare le sue fortune. Ma la conversione “antiberlusconiana” è piuttosto recente e, quindi, un po’ opportunistica e sospetta… Si sa: Saviano ama la narrazione e il monologo e il contradditorio gli procura probabilmente dolori di stomaco ed orticarie. Fino a qualche tempo fa esprimere anche la minima critica rispetto alle posizioni assunte da Saviano esponeva al rischio di essere tacciati come oggettivi complici della camorra, utili idioti nelle mani della criminalità organizzata, perché notoriamente si andava a toccare un soggetto a rischio. Ora che Vittorio Arrigoni è morto assassinato, senza aver ricevuto neanche una cordiale risposta di rifiuto – vuoi mettere le grandi firme e Fabio Fazio in confronto a quei disgraziati pescatori palestinesi ! – sarebbe curioso leggere qualcosa di Roberto Saviano in proposito. Ma forse, in questo caso, la decenza e il rispetto imporrebbero realmente il silenzio…

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La travagliata vita militante di Vik finisce per illuminare la sua morte le cui circostanze devono essere assolutamente chiarite. Sono bastate poche immagini per comprendere quanto fosse anomalo il sequestro attuato dalla improvvisata e raccogliticcia cellula jihadista salafita “Tawid Wal Jihad”, un gruppo terrorista assolutamente sconosciuto nella variegata galassia islamista. Un sequestro anomalo e singolare… Già dalle riprese del volto di Vik sono visibili sul suo volto ferire ed escoriazioni che lasciano intendere un trattamento brutale fin dal suo prelevamento. Un comportamento che non pare avere precedenti se si confronta con quello di altri gruppi che hanno effettuato questo tipo di azioni in Iraq, in Afganistan e in Palestina. Nelle modalità di quel prelevamento sono già forse insiti gli esiti del sequestro ?

Apparentemente e secondo una prassi consolidata fra i movimenti guerriglieri di varia tendenza ed estrazione politica, religiosa e culturale, il gruppetto intende avviare un negoziato con il governo di Hamas per la liberazione di alcuni prigionieri jihadisti in cambio della liberazione di Vik. Si tenga tranquillamente conto che questo genere di operazioni vengono allestite per durare mesi, a volte anni, per costringere governi recalcitranti a venire a patti e non di rado tali vicende si concludono con un pagamento di riscatto e un effettivo scambio di prigionieri. Magari può accadere che, per salvare la faccia, un governo che i sia mostrato duro e chiuso agli occhi dei suoi cittadini organizzi qualche messinscena per dimostrare che il malcapitato è stato liberato oppure abbandonato dai suoi carcerieri. Ad appena poche ore dal suo rapimento, invece Vik viene soffocato ed è la dimostrazione lampante che l’ostaggio doveva essere ucciso. Infatti se i sequestratori si sentivano braccati dalla polizia di Hamas perché non risolvere la situazione con un rapido colpo di pistola ? La verità è che Vik è stato assassinato ben prima che i suoi carcerieri avessero il sentore di essere stati individuati. Dunque l’operazione terroristica è già direttamente finalizzata all’assassinio del giovane volontario dietro la copertura del sequestro guerrigliero. A questo punto sorge spontanea un’altra domanda: quel sequestro a scopo di puro e semplice assassinio era indiscriminato oppure mirato ? I “guerriglieri” di “Tawid Wal Jihad” dovevano rapire e uccidere un qualsiasi volontario italiano ed occidentale colpevole di diffondere “i vizi dell’Occidente” – come affermato dagli stessi interessati – ? Oppure Vik era il loro obiettivo ? Considerando che quel giovane italiano piuttosto ben piazzato e sempre accompagnato dalla sua inseparabile pipa si faceva ben notare e che era anche ben conosciuto dai palestinesi della Striscia per la sua infaticabile attività, la risposta mi sembra piuttosto scontata…

Naturalmente la stampa e i media occidentali, ormai assolutamente proni a ricevere e trasmettere le veline delle solite ed “informate” fonti, si limitano a registrare le verità ufficiali e superficiali senza prendersi la briga di approfondire i troppi lati oscuri della vicenda… Uno sgangherato gruppuscolo estremista che vuole accreditarsi nella galassia jihadista ? Un’organizzazione organicamente inserita nelle fila dell’islamismo qaidista e salafita ? Una banda di fuoriusciti dall’ala militare di Hamas in aperto contrasto con il moderatismo dei loro antichi compagni di armi ? Sono le domande che apparentemente fanno perdere il sonno ai cervelloni della stampa e agli accreditati esperti di terrorismo, mentre l’interrogativo da un milione di dollari che ci si dovrebbe porre per trovare una risposta soddisfacente è un altro: sono realmente dei guerriglieri gli sbandati che hanno sequestrato e ucciso Vik ? E’ possibile che abbiano agito su commissione ? Il fatto che si tratti di ex militanti di Hamas non fa che alimentare atroci sospetti, perché molto ma molto spesso gli ex sono colmi di acredine e risentimento nei confronti dei loro precedenti trascorsi. Può darsi che abbiano assassinato Vik per un lauto compenso oppure perché fanatizzati, ma, in un caso come nell’altro, la strumentalizzazione non può essere esclusa e l’opera svolta dal volontario italiano indica che il movente “forte” per compiere l’azione criminosa sta tutta dalla parte dei servizi segreti israeliani.
A chi potevano dare fastidio i post di Guerrilla Radio ?
Chi è il maggiore beneficiario dell’assassinio di Vik ?
Rispondendo alla semplice e istruttiva domanda “cui prodest ?” non si può fare a meno di rilevare che, in caso di diretta responsabilità, il MOSSAD prenderebbe più piccioni con una fava sola… Innanzitutto l’omicidio di Vik è un mezzo tremendamente dissuasivo nei confronti di volontari e militanti pacifisti occidentali impegnati ad alleviare le sofferenze dei palestinesi: è veramente arduo operare se oltre ad essere marchiati come indesiderati da una delle più potenti macchine da guerra, percepisci di essere nel mirino di gruppi estremisti e di sette fanatiche che vogliono eliminare le “impurità occidentali”. Un messaggio semplice, diretto ed immediato per “invitare” i militanti internazionali “filopalestinesi” ad andarsene… In secondo luogo passa tranquillamente la versione della morte di uno sfortunato ragazzo che si è trovato nel mezzo di uno scontro fra feroci fazioni islamiste. In terzo luogo la responsabilità di ex militanti di Hamas a livello esecutivo mette comunque in una pessima luce il movimento che sta amministrando la Striscia di Gaza. Senza, appunto, contare il fatto che Vittorio Arrigoni ha dedicato la vita – sacrificandola – a contrastare concretamente l’occupazione israeliana e suoi effetti nefasti. Inoltre al MOSSAD o agli altri servizi segreti israeliani non mancano uomini e mezzi per sfruttare sia le bande estremiste improvvisate che gruppi più militarizzati ed efficienti come quelli salatiti. La storia è costellata di operazioni di infiltrazione o di semplice strumentalizzazione di bende estremiste o fanatizzate che, teoricamente, dovrebbero essere combattute. E’ tutt’altro da escludere l’istigazione dei violenti gruppi salafiti da parte degli israeliani: nel suo classico “Una guerra empia”, lo scrittore e giornalista John K Cooley sostenne la presenza di testimoni in grado di dimostrare che in Pakistan un certo numero di istruttori israeliani addestrarono elementi mujaheddin – “i famosi combattenti per la libertà” – nella guerra afgana contro l’Armata Rossa. Come è noto la costituzione dell’esercito fondamentalista dei mujaheddin costituì la più dispendiosa e imponente operazione di guerriglia della contemporaneità con l’apporto offerto dai servizi segreti pakistani dell’ISI oltre che da quelli americani, inglesi, francesi e di altri paesi NATO. E’ difficile fugare completamente il sospetto che i gruppi salafiti non vengano utilizzati per danneggiare Hamas. I lanci di razzi verso Israele potrebbero servire a legittimare le operazioni antiterrorismo dell’esercito israeliano mirate, in realtà, alimentare vere e proprie azioni genocidi.

Alla luce di queste riflessioni e per non lasciare che sulla vicenda venga steso un velo di silenzio dai media ufficiali e irreggimentati, si dovrebbe proporre un’inchiesta, o, meglio, una controinchiesta per dare una risposta completa e definitiva a tutti gli inquietanti interrogativi che gravitano intorno all’”affaire Arrigoni”.

Questa è una storia…
Una storia come poche…
La storia di un uomo e della sua forza…
Un uomo forte di una verità…
Un uomo a cui vorremmo assomigliare…
Per coraggio e per lealtà…
Da scettico e gnostico non ho un Dio da offrire, ma se veramente c’è un Dio di Amore e di Giustizia, sicuramente ti accoglierà nel Regno dei Cieli.

Addio Vik e riposa in pace.

FINE

HS
Fonte: www.comedonchisciotte.org
19.04.2011

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