DI SANDRO MOISO
carmillaonline.com
Basterebbe osservare il fatto che la biografia di Michelle Obama è salita al primo posto delle classifiche dei libri più venduti in Italia per comprendere quanto sia di corto respiro e di vedute ristrette la cultura mainstream spacciata in Italia. Soprattutto quella che si pensa democratica e di sinistra; quella, insomma, che appartiene a quell’intellighentsia scadente, tramortita e sonnolenta che ancora non si è ripresa dal fatto che una buona parte dell’elettorato non abbia più dato ascolto alle sinistre sirene del PD per rincorrere invece populisti e sovranisti di vario genere.
Non c’è nulla da stupirsi, perciò, nella scelta delle periferie e del sempre vituperato popolo bue, da alcuni esegeti di una sinistra morta e sepolta definito ancora come “contadiname piccolo borghese” (per esempio da Lotta Comunista, ben decisa a difendere le sue posizioni di rendita all’interno della CGIL), se tutto ciò che la cultura e la politica della sinistra istituzionale intendono ancora propinargli non è altro che una banale risciacquatura degli atteggiamenti e dei programmi dei rappresentanti di un Partito Democratico che, oltre tutto, anche negli Stati Uniti ha vissuto certamente tempi migliori oppure di un “europeismo” farlocco che da diverso tempo a questa parte assiste paralizzato alla celebrazione dei propri funerali nei conflitti sociali ed ambientali che tornano a crescere in Europa.
Tanto da non poter essere trascurato il fatto che Hillary Clinton, ai tempi ancora in auge come possibile “prima donna presidente degli USA”, avesse sottolineato come L’amica geniale di Elena Ferrante fosse il suo libro preferito. Così come tutti i media embedded hanno poi sostenuto al fine di regalare alla quadrilogia dell’autrice una seconda primavera di vendite, oltre che negli Stati Uniti, anche qui in Italia.
Ad ognuno il suo libro e ad ognuno la sua cultura e la sua vetrina, certo.
Vetrina che in tempi pre-natalizi si è arricchita, o impoverita dipende solo dai punti di vista, di una realizzazione televisiva della storia delle vicende dell’amicizia tra due bambine, poi adolescenti e donne, napoletane che ha regalato agli artisti tradizionali dei presepi napoletani un nuovo e luminoso esempio di staticità e banalizzazione espositiva.
Banalità narrativa che, purtroppo, offende l’intento forse più significativo della vicenda raccontata nelle sue prime puntate: una sorta di romanzo di formazione che per una volta non abbia al centro le vicende di un maschio o di un gruppo maschile di coetanei, ma due giovani donne. Intento significativo soprattutto per la letteratura italiana, poiché la letteratura statunitense ha avuto invece, nel corso del Novecento, magnifiche autrici come Mary McCarthy, Lucia Berlin, Joan Didion, senza dimenticare Flannery O’Connor, che della condizione della donna hanno costantemente esplorato tutti gli aspetti possibili, senza per forza ricadere nel facile populismo pasoliniano oppure nella soap opera alla Sex and the city. Tutte autrici, però, troppo disturbanti per Hillary e le sue ammiratrici italiane, tra le quali molto probabilmente andrebbero annoverate anche le madamin SìTav torinesi. Più commosse dal MeToo hollywoodiano che dalle donne combattenti stuprate e ammazzate nel Rojava.
Troppo disturbanti anche loro.
Populismo negletto quello riscontrabile nelle puntate trasmesse, con squilli di trombe e rullo di tamburi, dalla RAI: una visione statica del quartiere napoletano dove si svolgono le vicende, in cui ogni figura di contorno sembra depositata lì come figurante di un presepe e dove anche le sequenze più violente o drammatiche sembrano ricordare più una pubblicità natalizia per profumi che non la vita reale delle strade di Napoli negli anni Cinquanta e Sessanta.
Riducendo a nota di colore il linguaggio sboccato della strada, pur così presente nel libro, e tagliando addirittura le scene ritenute più urticanti per il pubblico di prima serata (come quella della violenza a Lenù nella puntata “L’isola”), pur trasmessa in altra sede (TIM Vision). Tutto regolato minuziosamente al fine di non disturbare troppo l’audience e facendo anche finta di trarre ispirazione dai classici.
Tanto da arrivare a sfiorare l’autentico ridicolo nella ripetizione, assolutamente fuori luogo, della scena in cui Anna Magnani, in Roma città aperta, rincorreva il camion su cui erano stati caricati dai tedeschi coloro che poi sarebbero stati fucilati alle Fosse Ardeatine. Nello sceneggiato di Saverio Costanzo, invece, tale ruolo tocca alla moglie di un uomo arrestato, ingiustamente, mentre questo viene portato via su una camionetta dei carabinieri. Una citazione sbagliata e inutile più che drammatica.
Certo, almeno nelle due prime puntate, gli occhi, gli sguardi e le espressioni delle due giovani interpreti di Lila e Lenù bambine, le due protagoniste della quadrilogia, hanno fatto concentrare sulle stesse le attenzioni, meritate, e le speranze degli spettatori, ma non si può nemmeno parlare di occasione mancata poiché tutto ciò che la realizzazione televisiva mette in luce è già contenuto potenzialmente nella storia del successo editoriale del libro, basato su un battage mediatico quasi senza precedenti nella storia editoriale italiana recente, fin dagli inizi giocato principalmente sul mistero della “vera” identità dell’autrice e della sua vicinanza o meno alle vicende narrate.
“Qualità” particolarmente adatte alla cultura mainstream, di qua e di là dell’Atlantico, e al suo mercato fatto di distrazioni ed illazioni.
Distrazioni e illazioni che devono essere vendute, ancor prima che dal punto di vista dell’estetica cinematografica, per pubblicizzare un prodotto che “deve” rendere.
Saverio Costanzo, il regista, è figlio di Maurizio Costanzo, oltre ad essere già stato il regista di film come “La solitudine dei numeri primi”, mentre Lorenzo Mieli, figlio di Paolo Mieli, è uno dei produttori, insieme a Mario Gianani per Wildside e Domenico Procacci per Fandango. Nomi importanti per il circo mediatico e per le produzioni cinematografiche “made in Italy”.
La Wildside srl, di cui Mieli è amministratore delegato, è a sua volta “controllata dal gruppo inglese Fremantlemedia, di cui Lorenzo Mieli è ad per l’Italia. Fremantlemedia International è, tra l’altro, il distributore internazionale della serie tv tratta dai libri di Ferrante.”1 La Wildside srl, guidata dal tandem Mieli-Gianani, ha chiusoo il 2017 con un utile di esercizio di poco più di 1 milione di euro, in lieve calo dagli 1,14 milioni dell’esercizio precedente e a fronte di ricavi pari a 51 milioni. Da segnalare come quest’ultimo dato sia sceso dai 70,7 milioni del 2016, principalmente per la contrazione da 42,67 a 22,68 milioni dei ricavi per produzioni televisive. Mentre “La Fandango spa, presieduta da Domenico Procacci, ha invece chiuso il bilancio di esercizio al 31 dicembre del 2017 con una perdita netta di 4,92 milioni di euro, a fronte di ricavi delle vendite e delle prestazioni pari a 5,73 milioni, pure qui in netto calo dai 10,21 milioni del 2016.”2
Come sempre Follow the money! Ed ecco subito saltar fuori i motivi reali per cui il prodotto deve essere pubblicizzato e venduto, in Italia e all’estero. L’operazione “deve” essere un successo garantito. Di pubblico e finanziario, il resto non conta.
Tanto meno la reale qualità filmica o la fedeltà letteraria del prodotto.
Così il risultato è che, in fin dei conti, non c’è vita in quelle immagini, ma un simulacro di vita. Stemperata com’è quest’ultima dall’idea che soltanto lo studio diligente possa premiare ed elevare le classi disagiate e le donne oppure da quella che sia l’inventiva imprenditoriale a poter svolgere, almeno parzialmente, la stessa funzione “liberatrice” (sia di genere che di classe). Mentre la sottesa ma intensa sensualità di Lila resta prigioniera di uno sguardo addomesticato, tutto al maschile.
Non c’è vero dramma e, si sa, quando questo fallisce tutto si traduce in farsa.
Non c’è Napoli, ma una sua trasposizione nostalgica da cartolina esotica, un po’ sbiadita come le immagini proposte.
Non c’è cinema nello sguardo di chi ha realizzato la serie e non c’è nemmeno il docu-drama, ma soltanto tanto calcolo finanziario e tanta promozione pubblicitaria alle spalle del successo, dichiarato anticipatamente, di tutta l’operazione.
Per questo, alla fine, per lo spettatore rimane soltanto il cine-panettone, già pronto e confezionato con la speranza di poter essere distribuito e consumato nella maniera più ampia possibile a livello internazionale e, a livello nazionale, in dvd (uno per ogni episodio) con La Repubblica a partire dal 19 dicembre. Il tutto tra scampoli di psico-drammi giovanili, briciole di chiacchiere giornalistiche e rimasugli di fotogrammi canditi con troppo zucchero.
Sanro Moiso
Fonte: www.carmillaonline.com
Link: https://www.carmillaonline.com/2018/12/28/presepe-napoletano/
28.12.2018