«UN PAPA CONTRO IL NICHILISMO»

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Il filosofo Alain de Benoist analizza il “regno” di Giovanni Paolo II

DI FRANCESCA MORANDI

Lucido nel guardare al Bene e al Male dei tempi moderni, libero e razionale nella sua analisi delle problematiche religiose del mondo contemporaneo, Alain de Benoist, intellettuale francese, ha affrontato questioni filosofiche, sociali, di storia delle idee politiche e geopolitica. Oggi, a poche settimane dalla scomparsa di Giovanni Paolo II, questo libero pensatore parla del Papa sul quale ha scritto un libro, intitolato, “La nuova evangelizzazione dell’Europa” (Arianna Editrice), nel quale mette in evidenza come Giovanni Paolo II abbia cercato di opporsi al nichilismo e al disagio della civiltà, che hanno tuttavia avuto la meglio.

Giovanni Paolo II, il primo Papa dei tempi post-moderni che ha abbattuto il comunismo e conciliato il cristianesimo con la globalizzazione. Cosa ne pensa?

«Non esageriamo. Se l’elezione di un Papa polacco ha senza dubbio galvanizzato la resistenza dei suoi compatrioti di fronte al sistema sovietico, è eccessivo presentare Giovanni Paolo II come il “vincitore del comunismo”. Il crollo del sistema sovietico ha innanzitutto delle ragioni interne e l’Urss è sempre rimasto un paese ortodosso dove il cattolicesimo non è mai riuscito a svilupparsi. Questo è stato d’altronde uno dei grandi dispiaceri del pontefice. È incontestabile invece che la caduta del comunismo abbia permesso alla globalizzazione di attuarsi. La globalizzazione è innanzitutto un fenomeno economico, tecnologico e finanziario che mira a trasformare il pianeta in un mercato vasto ed omogeneo dove la trasmissione delle informazioni avviene “a tempo zero”, ovvero in maniera istantanea, che equivale ad una sorta di abolizione del tempo e dello spazio. In questo mondo ormai globalizzato, l’elemento mediatico gioca un ruolo fondamentale. Giovanni Paolo II ha avuto il merito di capirlo. Da tale comprensione sono scaturiti i suoi innumerevoli viaggi e gli atti magisteriali, straordinariamente numerosi durante il suo pontificato (14 encicliche, 11 costituzioni apostoliche, 42 lettere apostoliche, 28 motu proprio, ai quali si aggiungono migliaia di messaggi e discorsi). Il Papa ha così testimoniato, nel corso di tutta la sua vita, l’importanza dello strumento mediatico. La sua stessa agonia e la sua stessa morte sono state rese l’oggetto di un trattamento mediatico senza precedenti, che ha raggiunto – a mio modo di vedere – picchi di indecenza. L’ironia della sorte è che “questo grande comunicatore” è morto senza voce, rimanendo tuttavia un simbolo».

La strategia della “nuova evangelizzazione” dell’Europa non ha funzionato. Vuole spiegarci questa sua affermazione e dirci le ragioni di questo insuccesso?

«Giovanni Paolo II ha diffuso la voce della Chiesa nel mondo intero e si è rivolto a milioni di giovani di tutti i continenti. Un esempio noto a tutti è la “Giornata mondiale della Gioventù” che è stata una delle maggiori “invenzioni” del suo pontificato. I suoi viaggi hanno certamente contribuito a rafforzare la fede dei credenti, ma questo è sufficiente per poter parlare di “nuova evangelizzazione”? In realtà il mondo di oggi non è più cattolico o cristiano rispetto a quando Karol Wojtyla ha iniziato il suo pontificato. La ragione fondamentale di ciò è che nei paesi occidentali la funzione della religione è cambiata. Nel corso della storia la religione è sempre stata innanzitutto un modo di strutturare, plasmare la società. Questa era la sua forza. Oggi viviamo in un mondo che assegna alla religione uno status assai diverso. Dal XIX secolo le Chiese sono state progressivamente escluse dalla sfera pubblica ed hanno visto ridursi il loro spazio d’azione alla società civile, cioè alla sfera privata degli individui. Da allora la Chiesa cattolica non ha più potuto essere la chiave di volta della società globale né imporre il suo punto di vista alla collettività. Ha così cessato di imporre norme sulla vita sociale, credenze, valori e comportamenti. Tale evoluzione è stata così profondamente interiorizzata dai nostri contemporanei che perfino la maggior parte dei credenti non si aspetta che la Chiesa instauri un ordine politico o sociale cristiano. Essi possono piuttosto contestare questa o quella legge civile secondo la prospettiva delle loro convinzioni, per esempio in nome della “legge naturale”. Tuttavia, sanno bene che le “società cristiane” appartengono al passato. Allo stesso tempo, si è radicata l’idea che il potere pubblico debba restare “neutro” in materia di credenze religiose e che non debba proporre un particolare modello di “vita buona” o di “bene”. Il potere pubblico deve piuttosto impegnarsi a garantire il pluralismo dei valori e delle convinzioni. In tali circostanze, le credenze religiose acquisiscono lo stato di “opinione” tra altre opinioni, alcune più legittime di altre ma che non saranno mai considerate come intrinsecamente migliori. Inoltre, sapere se vi sono più o meno credenti in seno alla società globale non è più quello che veramente conta. Anche nel caso di una società la cui maggioranza dei suoi membri è credente e praticante, non si potrà parlare di “società cristiana”. Questo perché la funzione della religione è cambiata. In questo senso una “nuova evangelizzazione”, nel significato pieno dell’espressione, è diventata semplicemente impossibile».

La natura universalista del cristianesimo e la sua assenza di fondamentalismo. Quali sono le contraddizioni del cristianesimo che hanno causato la sua fragilità davanti alle religioni integraliste?

«Non credo che si possa dire che il cristianesimo sia per natura al riparo dal “fondamentalismo”. Nel corso della sua storia, infatti, non ha dato sempre prova di uno spirito di tolleranza e apertura. Ancor oggi i cristiani tradizionalisti o “ultraortodossi” si oppongono con forza all’idea della libertà religiosa che, secondo loro, finisce per sminuire la verità della dottrina cattolica in rapporto alle altre religioni. Anche il protestantesimo ha la sua ala “fondamentalista”, ben rappresentata in questo momento dalla cerchia di collaboratori guerrafondai del presidente americano George W. Bush (quelli che rispondono alla “guerra santa” dei musulmani con le “crociate”). Al contrario, non ritengo vi siano delle religioni intrinsecamente “integraliste”. Lo stesso Islam non è un’entità unitaria e omogenea come credono i sostenitori dello “scontro tra civiltà”. È invece attraversato anch’esso da diverse tendenze e correnti. Quanto all’islamismo, nei suoi aspetti più violenti, bisogna osservare che ha come primo nemico gli stessi musulmani».

L’ecumenismo di Giovanni Paolo II è un’utopia?

«Tutto dipende da come lo si intende. L’ecumenismo è certamente utopico quando si trasformano in astrazioni le differenze fondamentali che esistono tra le religioni. Può al contrario essere realizzabile se si limita a promuovere un dialogo interreligioso. Ma la questione che resta da chiarire è: “un dialogo in vista di che cosa”? Dopo il celebre “incontro tra religioni” organizzato ad Assisi il 27 ottobre 1986, tale dialogo sembra aver dimostrato i suoi limiti. Le Chiese riformate, ad esempio, hanno accolto con profonda delusione, la pubblicazione, del settembre 2000, elaborata dalla “Congregazione per la dottrina della fede”, della dichiarazione “Dominus Jesus”, nella quale viene riaffermata con forza che la sola Chiesa cattolica detiene la “pienezza della verità”. Quanto al dialogo con gli ortodossi, anch’esso si è concluso con un insuccesso. Giovanni Paolo II, che aveva all’inizio del suo pontificato chiamato l’Europa a «respirare con i suoi due polmoni», e che aveva costantemente espresso il suo desiderio di recarsi a Mosca, si è scontrato con le più vive resistenze. Il Papa non ha potuto infatti andare in Russia, dove la diffidenza tra la Chiesa ortodossa e quella romana non si è mai attenuata. Inoltre, la Chiesa ortodossa, che ha ritrovato la posizione di Chiesa di Stato, perduta nel 1917, non ha cessato di rimproverare al Vaticano di perseguire un’«espansione» in Ucraina, Bielorussia e nel Kazakhistan. In questi giorni si è molto parlato del viaggio di Giovanni Paolo II a Gerusalemme e della sua politica di riavvicinamento all’ebraismo. Mi sembra che pure in questo caso quello che emerge con forza è soprattutto una rappresentazione mediatica della sua missione. Dopo aver solennemente ripudiato la “teologia della sostituzione”, il Vaticano si è deciso, sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, a stabilire delle relazioni diplomatiche con lo stato di Israele. La contropartita che sperava di avere in cambio si è tuttavia fatta attendere. Il Papa ha più volte dichiarato che la Chiesa riconosceva negli ebrei dei «fratelli maggiori», ma questa espressione conteneva in se stessa una sottile ambiguità perché, come è noto, nella tradizione biblica, il favore di Dio è innanzitutto riservato ai figli cadetti! I rappresentanti del giudaismo mondiale hanno quindi preso atto di queste dichiarazioni senza abbandonare, in cuor loro, un certo scetticismo, una sorta di sfiducia scaturita dai dissapori legati al carmelo di Auschwitz o al progetto di beatificazione di Isabella la Cattolica. L’aumento dell’ortodossia in seno all’ebraismo e la persistenza delle tensioni in Medio Oriente hanno fatto sì che il dialogo tra ebrei e cristiani non abbia avuto degli sviluppi concreti sul versante teologico e che esso resti a senso unico».



Karol Wojtyla, il Papa che ha riconosciuto gli errori della religione cattolica. Cosa ci dice?

«Si tratta di un tema importante che ha avuto notevole rilievo dalla fine degli anni Novanta e che ha colpito profondamente gli spiriti dei credenti di confessioni religiose differenti. Affermando la sua volontà di «pentirsi», la Chiesa ha apparentemente deciso di fare un’autocritica. Questo percorso ha culminato nel Giubileo dell’anno 2000, dove il Papa ha chiesto perdono per tutte le colpe commesse dai cristiani nel corso della storia: le crociate, l’Inquisizione, i massacri che hanno accompagnato la conquista dell’America Latina, la schiavitù, le persecuzioni contro gli ebrei… Alcuni cristiani tradizionalisti si sono scandalizzati per tali affermazioni, mai fatte prima da alcun rappresentante di altre religioni. Il resto della comunità cristiana ne ha invece apprezzato l’importanza. Il pentimento in effetti potrebbe essere interpretato come un mezzo per diventare meno vulnerabili alle critiche. Si potrebbe inoltre notare che la Chiesa, attenta a tutte le vittime del passato, non abbia mai espresso il minimo pentimento verso i “pagani” che essa ha perseguitato nel corso di secoli».

Un Papa moderno, aperto ai giovani, un Papa che ha saputo unire i cattolici del mondo, ma che è rimasto “integralista” su temi come l’aborto, la ricerca sulle cellule staminali, l’eutanasia.

«Molti hanno rimproverato a Giovanni Paolo II le sue posizioni in materia di morale sessuale. A mio avviso tale rimprovero mostra come la gente oggi non sappia neppure cosa è un dogma. Si può, ben inteso, essere in totale disaccordo con il Papa su tali temi – la sua condanna rigorista dell’uso dei preservativi è, a mio modo di vedere, scandalosa considerando la consapevolezza di quelle che ne sarebbero state le conseguenze – ma trovo infantile stupirsi che il capo della Chiesa cattolica riaffermi su tali argomenti quella che è sempre stata la posizione della sua Chiesa. Forse l’idea che si cela dietro quello stupore, è quella secondo la quale le dottrine religiose debbano evolversi in modo da adeguarsi alle circostanze o ai programmi politici. Ciononostante uno dei limiti concreti dell’audience mediatica di Giovanni Paolo II è stata l’individualizzazione della fede. Per molti nostri contemporanei, che sono costantemente tentati dal “bricolage” spirituale, la religione si riconduce a una “spiritualità” senza alcuna disciplina. La gente non cerca più la salvezza, quanto invece dei punti di riferimento, un senso, o delle ricette per la «felicità». Molti credenti si aspettano dalla religione quello che altri cercano in una cura o in una terapia: un conforto interiore, una gioia profonda. Il risultato di questa individualizzazione della fede è il rifiuto di tutto ciò che può limitare la libertà individuale. I concetti di regole e sanzioni si dissolvono davanti al timore e alla paura che percepiamo nel nostro Io. Questo spiega il contrasto tra l’immagine positiva di Giovanni Paolo II, tanto amata dal pubblico, e la sua fragile autorità in materia di norme di comportamento. Tale contrasto è anche una delle caratteristiche dell’epoca post-moderna: l’individuo, anche credente, accetta con sempre maggiore fatica l’idea che la fede possa porre dei limiti alla sua “libertà”. Per questo Papa Wojtyla è stato più ammirato che obbedito».

L’Occidente marcia verso il nichilismo. Quali sono le ragioni? Se le religioni non possono salvare l’uomo dall’autodistruzione chi lo può salvare?

«Una della cause fondamentali (ma ce ne sono molteplici) del nichilismo contemporaneo è il progresso di quello che chiamerei l’ “ideologia di se stessi”, ovvero l’eradicazione di tutte quelle differenze che recano un senso nel quadro di un individualismo egualitario. In un clima generale dove nulla è soggetto a censura e dove una cosa non è ritenuta più “vera” rispetto ad un’altra, non esistono più punti di riferimento e si creano una serie di patologie sociali, di cui la prova è la dissoluzione dei legami sociali e l’aumento dell’egoismo. Le religioni possono dare delle risposte ma queste non possono che avere, per le ragioni di cui abbiamo parlato, una portata individuale. Gli individui sono condannati a cercare da soli una ragione della loro presenza al mondo, senza che questa ragione possa divenire, almeno nella nostra epoca, un vero progetto collettivo. Cosa allora potrà salvare l’uomo dall’autodistruzione? Chi crede oggi di avere la risposta a questa domanda si illuderà o sarà un bugiardo. Heidegger diceva: «Solo un Dio ci può salvare». E ancora: «Là dove si crede vi sia il deserto, là si crede che vi sia qualcosa che ci può salvare».

Francesca Morandi
da “La Padania” del 14/04/2005
Segnalato da [email protected]
www.ariannaeditrice.it

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