FONTE: COUNTERCURRENTS
Un nuovo studio – “Percentuale di errore giudiziario nella detenzione di imputati criminali condannati a morte” ha calcolato che sono circa 3,000 i detenuti statunitensi in attesa di esecuzione capitale che non hanno commesso i crimini per cui sono stati condannati.
Lo studio fa notare che: “Il numero di persone innocenti in attesa di morte è davvero scioccante, di gran lunga superiore a quello dei detenuti che vengono rilasciati prima dell’esecuzione”. Ricercatori ed esperti giudiziari provenienti da Pennsylvania, Michigan ed altre aree degli Stati Uniti hanno esaminato questo “dato oscuro” del dibattito sulla pena di morte: come è possibile che siano condannate a morte persone che in realtà sono innocenti?
Il risultato pubblicato da Proceedings of National Academy of Sciences degli Stati Uniti, è considari come molti vorrebbero far credere.
Gli autori dello studio (pubblicato online in prima stampa il 28 aprile 2014, doi: 10.1073/pnas.1306417111 PNAS 28 aprile 2014) sono: Samuel R. Gross della University of Michigan Law School, Ann Arbor; Barbara O’Brien, del Michigan State University College of Law, East Lansing; Chen Hu, dell’American College of Radiology Clinical Research Center di Philadelphia e Edward H. Kennedy, del Dipartimento di Biostatistica ed Epidemiologia della Scuola di Medicina dell’Università della Pennsylvania. Il rapporto è stato curato da Lee D. Ross della Stanford University.
Secondo il rapporto:
Un team legale ha stabilito che se a tutti quelli che sono stati condannati ingiustamente fossero revocate le sentenze, il tasso di rilascio salirebbe dall’attuale 1,6 a non meno del 4,1 per cento. Il 4,1 per cento è un valore superiore a stime precedenti, tuttavia neanche i ricercatori sono davvero convinti che il loro metodo di ricerca basato sull’ “Analisi della sopravvivenza” sia stato davvero efficace.
Secondo questa logica, circa 340 detenuti avrebbero dovuto essere rilasciati nel corso dei 30 anni analizzati nello studio, mentre in realtà ne sono stati liberati in questo periodo solo 138.
“E’ un dato davvero sconvolgente” ha detto al Guardian il prof. Samuel Gross, docente di legge alll’Università del Michigan. “Tantissime persone sono condannate a morte ingiustamente, e nonostante tutti i nostri sforzi molte di loro non sfuggono all’esecuzione”.
“Se guardiamo i numeri del nostro studio e al modo in cui avvengono certi errori, diventa impossibile non credere che siano state realmente giustiziate delle persone innocenti – sarebbe solo una pia illusione” dice Smith.
Gli statistici che hanno esaminato la materia non erano in grado di determinare con precisione quanti uomini e donne innocenti siano stati giustiziati, ma su una cosa erano d’accordo: sull’inesattezza di una dichiarazione del giudice supremo Antonin Scalia, secondo cui le condanne penali hanno un “margine di errore dello 0,27% – in altri termini, un tasso di successo del 99.973%. “Se fosse vero, sarebbe un sollievo”. Hanno scritto gli autori dello studio. “In realtà è una totale assurdità”. Secondo Richard Dieter, direttore esecutivo del Death Penalty Information Center, in una sua conversazione con il giornalista Ed Pilkington “Ogni volta che avviene un’esecuzione, c’è la possibilità che si tratta di un innocente”. Il rischio può anche essere minimo, tuttavia è inaccettabile.
Gross e i suoi colleghi accademici hanno rilevato che il numero dei prigionieri mandati per errore nel braccio della morte era molto maggiore del numero di quelli che successivamente sono da qui rimossi. Dal 1993 al 2004 sono state tirate fuori dal braccio della morte circa 2.675 persone, dopo che erano sorti dei dubbi sulle basi della loro condanna. Una cifra, questa, che rappresenta più di un terzo (il 36%) del totale di tutte le persone condannate a morte negli ultimi tre decenni.
Tuttavia, molte tra queste migliaia di persone non sono state effettivamente rilasciate, ma gli è stata commutata la pena in un’altra forma di detenzione a lungo termine (il più delle volte senza condizionale): una condizione che, prima o poi, provocherà comunque la loro morte dietro le sbarre. La loro situazione diventa improvvisamente ancora più precaria di quella precedente poiché, non essendo più nel braccio della morte, non sono più considerati casi prioritari dai giudici, dagli avvocati o dal sistema carcerario stesso.
“Le migliori energie del sistema giudiziario di solito sono dedicate ai prigionieri condannati a morte” spiega Gross. “In molti casi, dopo che i detenuti sono rimossi dal braccio della morte, ben poco viene fatto per compensare l’errore giudiziario di cui sono stati vittime, e il più delle volte finiscono all’ergastolo per un crimine che neanche hannocommesso!”
Secondo i ricercatori:
“Spesso si ritiene che l’esatta percentuale di detenzioni erronee non solo sia sconosciuta ma anche ‘non rilevabile’”. Non esiste un metodo sistematico adatto a determinare con esattezza una detenzione errata. D’altra parte, se esistesse, non si commetterebbero tali errori. Di conseguenza, si viene a conoscenza solo di un esiguo numero di ingiuste sentenze, e quei pochi che sono coinvolti non sono un numero rappresentativo dell’intero gruppo effettivo.
Negli Stati Uniti, tuttavia, un’alta percentuale di ingiusti verdetti identificati che conducono alla rimozione del condannato dal braccio della morte, si concentra in un piccolo numero di casi di sentenze capitali. Questo consente di utilizzare i dati relativi ai rilasci dal braccio della morte per giungere ad una stima della percentuale generale di errori nelle sentenze di morte.
“L’alta percentuale di rilasci dei condannati a morte sembra essere prodotta dalla minaccia incombente dell’esecuzione, ma la maggior parte dei condannati a morte che escono dal braccio della morte, finiscono con l’avere una nuova sentenza di ergastolo, dopo di che cala di colpo la probabilità di un rilascio definitivo”.
I ricercatori hanno utilizzato un’analisi di sopravvivenza e hanno concluso che “ se tutti i condannati a morte potessero restare per sempre con la sentenza di morte, perlomeno il 4,1% di essi potrebbe sperare di essere rilasciato.” Quindi hanno concluso che “questa è una stima conservativa del tasso di ingiuste sentenze tra le sentenze capitali negli Stati Uniti”.
Il rapporto dice:
“Negli ultimi decenni, le centinaia di rilasci di condannati a morte ha attirato l’attenzione sul problema degli ingiusti verdetti e ha condotto ad una serie di riforme nelle procedure d’indagine e di giudizio.
Tuttavia, non viene data una risposta alla domanda principale relativa alle ingiuste sentenze: quanto sono frequenti questi errori giudiziari? Le ingiuste condanne, per loro definizione, restano inosservate quando avvengono: se noi sappiamo che un imputato è innocente, in primo luogo lui non sarà condannato. Inoltre, sono molto difficili da individuare, dopo che avvengono. Di conseguenza, la grande maggioranza dei condannati innocenti restano sconosciuti. La percentuale di tali errori viene spesso considerata un “dato oscuro”: un indicatore importante del funzionamento del sistema giudiziario resta non solo sconosciuto ma addirittura “non rilevabile”.
Tuttavia, non mancano gli avvocati e i giudici che affermano che il numero di sentenze errate è del tutto trascurabile.
I ricercatori citano a tale riguardo il Giudice Learned Hand. Nel 1923 Hand disse:
“Sui nostri procedimenti penali ha sempre pesato l’ombra dell’innocente accusato ingiustamente. E’ un pensiero irreale.”
Hanno anche citato il giudice supremo Antonin Scalia. Nel 2007, il giudice Scalia, in un parere della Corte Suprema a cui contribuì, scrisse che le sentenze penali americane hanno un “margine di errore dello 0,027% o, in altre parole, un margine di successo del 99,973%”.
Questo, spiegano i ricercatori, sarebbe confortante, se fosse vero. In realtà, si tratta di un’assurdità. Il rapporto di Scalia si basa sul numero di rilasci noti al momento, limitati a un esiguo numero di casi di omicidio e stupro, usati come unità di misura per tutte le ingiuste sentenze (conosciute e sconosciute), e divise per il numero delle condanne penali per tutti i reati possibili, dal possesso di droga e furto con scasso ai furti d’auto ed evasione fiscale.
Hanno detto:
“La percentuale di rilasci tra le condanne a morte negli Stati Uniti è di gran lunga superiore a quella per qualsiasi altra categoria di condanne penali. Le condanne a morte rappresentano meno di un decimo dell’1% delle pene detentive negli Stati Uniti, ma hanno rappresentato il 12% dei rilasci conosciuti di condannati innocenti dal 1989 al 2012, una sproporzione di 130 a 1.” Lo studio riporta che “La stragrande maggioranza delle condanne penali non sono candidate a concludersi con un rilascio poiché quasi nessuno tenta di riconsiderare la colpa dei condannati. Circa il 95% delle condanne penali negli Stati Uniti è frutto di patteggiamenti su assunzioni di colpa nell’ambito di procedimenti di routine in cui non vengono presentate delle prove. Quasi nessuno di questi procedimenti diventa oggetto di una successiva revisione. La gran parte degli imputati condannati, dopo la sentenza, raramente è rappresentata da un legale, e quei ricorsi che vengono presentati sono solo una prassi, scollegata dal concetto di colpa o innocenza.”
E aggiunge: “La percentuale di ingiuste sentenze penali non solo non e’ nota, ma è anche non rilevabile. Per creare un modello utilizziamo l’analisi della percentuale di sopravvivenza e stimiamo che, se tutti i condannati a morte restassero all’infinito con la sentenza di morte, il 4,1% di essi sarebbe rilasciato. Concludiamo che questa è una stima conservativa della percentuale di ingiuste sentenze tra le condanne a morte negli Stati Uniti.” Secondo il rapporto: “Le ingiuste sentenze hanno una maggiore probabilità di concludersi con la pena di morte che in qualsiasi altra categoria di condanne penali”.
“L’alta percentuale di rilasci dal braccio della morte indica che una buona percentuale di individui innocenti condannati a morte, praticamente la maggioranza, alla fine vengono rimossi da qui.”
“L’alto tasso di rilasci dal braccio della morte è un chiaro indicatore dell’alta percentuale di ingiuste sentenze in questo specifico ambito penale, poichè, una volta liberi dalla minaccia incombente dell’esecuzione, si tende ad abbandonare troppo presto la ricerca di possibili errori processuali.”
Sempre secondo lo studio: “Sappiamo che sono stati 7.482 gli imputati condannati a morte negli Stati Uniti dal gennaio 1973 al dicembre 2004, e sappiamo anche (se mai ce ne sono stati) quanti sono quelli usciti dal braccio della morte o per esecuzione avvenuta, o per morte dovuta ad altre cause o a seguito di azioni legali da parte dei giudici e dei funzionari esecutivi. Nel periodo considerato dallo studio, il 4% di tutti queste persone sono morte per suicidio o per cause naturali.”
Inoltre: “Se consideriamo il modello di condanne a morte dal 1973 al 1995, oltre due terzi dei prigionieri condannati sono destinati ad una nuova sentenza. La maggioranza tra loro resterà in carcere per tutta la vita.”
Come esempio, il rapporto citava il caso di Ronald Williamson, condannato alla pena capitale nel 1988, in Oklahoma. A Ronald fu concesso nel 1997 un nuovo processo, per non essere stato adeguatamente assistito dal suo legale nel processo precedente. Fu scagionato due anni dopo nel 1999 grazie al test del DNA, mentre era in attesa di un nuovo processo che avrebbe riconfermato la sentenza capitale. Fu liberato poco prima di rientrare nel braccio della morte.
Il rapporto dice anche che : “Tutti i detenuti con una sentenza capitale finiscono in ogni caso la loro vita in prigione. Iniziano nel braccio della morte, alcuni ci restano e ci muoiono con l’esecuzione. Altri vengono spostati in altri carceri generici, dove restano comunque fino alla morte”.
“La domanda più scottante è invece questa: quanti sono gli innocenti che sono stati giustiziati?”
Ed aggiunge: “In generale, i tribunali americani si mostrano piuttosto riluttanti a ribaltare o riconsiderare la colpevolezza dei condannati”.
Fonte: www.countercurrents.org
Link: http://www.countercurrents.org/cc290414A.htm
29.05.2014
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SKONCERTATA63