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La Redazione

 

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UN MILIONE DI MORTI SU STRADA OGNI ANNO? E' SOLO IL PREZZO DI FARE AFFARI

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A cura di Truman
Il 13 Giugno 2007
212 Views
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DI GEORGE MONBIOT
Common Dreams

La responsabilità sociale delle aziende somiglia spesso alle avventure de “Il buon soldato Svejk”. Nel 1914, appena prima di essere arruolato nell’esercito austro-ungarico, Svejk ha indossato un’uniforme e una spilla da volontario all’occhiello e, sventolando le grucce prese in prestito e urlando “A Belgrado! A Belgrado!”, è stato spinto dalla sua padrona di casa nell’ufficio di reclutamento su una sedia a rotelle.

La meravigliosa opera di Jaroslav Hasek è acclamata dai giornali per il suo straordinario patriottismo.

In questo modo Svejk ha cercato di convincere le autorità sul fatto che stesse facendo tutto il possibile per partire per il fronte, anche se, per suo enorme dispiacere, i suoi reumatismi gli impedirono di andare in guerra e cosi di farsi sparare in testa. Attraverso la partecipazione volontaria al fine di sottoporsi a standard più rigidi, le aziende cercano di acquisire per prelazione le regole che altrimenti sarebbero loro imposte. Si augurano così di avere la possibilità di partecipare solo quando vedono dei benefici.

Nel caso di Svejk non ha funzionato. Il suo patriottismo è stato ricompensato con clisteri e sostanze vomitevoli fino a che i suoi reumatismi sono stati miracolosamente guariti. Le aziende, d’altra parte, sembrano sempre voler convincere le autorità riguardo il loro impegno continuo nella causa sposata, cosa che garantisce loro la possibilità di entrare in affari alle loro condizioni.

Questa sembra essere le via sulla quale si sta muovendo la campagna mondiale per la sicurezza sulla strada.

Le morti e gli infortuni sulla strada sono la questione di salute pubblica più trascurata al mondo. Il numero di persone che muoiono in incidenti stradali – 1,2 milioni all’anno – è quasi pari a quello delle vittime di malaria e tubercolosi. I feriti sono circa 50 milioni. Circa l’85% di questi incidenti avviene nei paesi in via di sviluppo. I poveri restano feriti molto più spesso dei ricchi, dal momento che camminano o vanno in bicicletta o viaggiano su autobus sovraffollati. Il tasso più alto di morte è riscontrato tra i bambini che camminano sulle strade.

Il costo annuale per i paesi in via di sviluppo, solo in perdita di produttività, è di 65-100 miliardi di dollari, approssimativamente lo stesso ammontare che ricevono in aiuti dall’estero. Ho potuto vedere le perdite umane quando ero ricoverato nel nord del Kenya. Alcuni degli uomini del reparto riportavano ferite da armi da fuoco o da taglio inflitte durante le guerre tribali, altri morivano di HIV o Aids, ma più della metà erano stati massacrati in incidenti stradali. Non potevano permettersi dei buoni antidolorifici; singhiozzavano e urlavano per tutta la notte. Sembrava una scena della prima guerra mondiale.

Il problema sta diventando sempre più grave. Entro il 2020, secondo la Banca Mondiale, i morti per incidenti stradali scenderanno del 28% nei paesi ricchi ma cresceranno dell’83% in quelli poveri. Per il 2030, supereranno i morti per malaria. Tuttavia, mentre 1,9 miliardi di dollari di aiuti umanitari verrà speso per affrontare la questione della malaria nei prossimi cinque anni, il budget di aiuti globale annuo per la sicurezza sulla strada sarà meno di 10 milioni di dollari. Questa questione è stata trascurata in parte perché è qualcosa che i ricchi infliggono ai poveri, e in parte perché è ampiamente vista come un inevitabile prezzo per fare affari – come cresce l’industria dei trasporti allo stesso tempo crescono anche le perdite umane. I governi hanno appena iniziato ad aprire gli occhi sulla questione. Ma le aziende ci sono arrivate prima.

Nel 1999 su invito della Banca Mondiale, le compagnie di automobili e le compagnie petrolifere si sono unite nel cosiddetto Global Road Safety Partnership (Associazione per la sicurezza stradale mondiale, ndt). Questa avrebbe dovuto riunire “governi e agenzie governative, il settore privato e le organizzazioni della società civile”. Tuttavia il suo comitato esecutivo non contiene nessun rappresentante delle società civili e solo due rappresentanti del governo. BP, Total, DaimlerChrysler, General Motors, Michelin e Volvo, tuttavia, sono tutte rappresentate.

Il professor Ian Roberts della Scuola di Londra di Igiene e Medicina Tropicale ha paragonato la ricorrenza di alcune parole nei rapporti annuali della Partnership alla ricorrenza delle stesse parole in un rapporto simile redatto dalla Organizzazione Mondiale per la Sanità (OMS).

Nei rapporti della Partnership ha trovato un esempio di sistematica negligenza per quanto riguarda pedoni e ciclisti. Nel rapporto dell’OMS la parola “limite di velocità” appare 17 volte ogni 10.000 parole; nei rapporti della Partnership solo una volta. “Pedone” è usato 69 volte dalla OMS e 15 volte dalla Partnership; “autobus” e “ciclisti” sono menzionati rispettivamente 13 e 32 volte dalla OMS e nemmeno una volta dalla Partnership. “Rivendicare le strade per camminare e andare in bicicletta“, osserva, “non è nell’interesse dei produttori di automobili“.

Invece la Global Road Safety Partnership ha sottolineato l’importanza di un miglior addestramento per gli automobilisti e di una migliore educazione sulla sicurezza stradale per i bambini. Queste misure non interferiscono con gli interessi commerciali delle industrie di trasporto. E, secondo quanto riportato dal Prof Roberts, nemmeno funzionano.

L’industria automobilistica sembra anche dominare il principale organismo internazionale sulla sicurezza stradale. Tre settimane fa il pilota Michael Schumacher ha scritto una colonna – anche piuttosto buona – sul Guardian Unlimited per ricordare la Settimana per la Sicurezza Stradale Globale. Lui stesso si è definito membro della “Commissione indipendente per la Sicurezza Stradale Globale”. La commissione ha lanciato la campagna “Make Roads Safe” (Rendi le strade sicure), sul modello di quella Make Poverty History (Fai della povertà storia). Ma quanto è “indipendente”?

E’ dimostrato dalla Fédération Internationale de l’Automobile Foundation, gestita da associazioni automobilistiche e di sport motoristici. Degli otto commissari uno è un esecutivo della General Motors, uno dirige la Bridgestone Tyre Corporation , uno è un amministratore della Fondazione FIA, uno è presidente della Fondazione FIA e presidente del Club Automobilistico Italiano e uno è Michael Schumacher. Il segretario della commissione è il direttore generale della Fondazione FIA.

Il suo rapporto è migliore del materiale pubblicato dalla Global Road Safety Partnership. C’è più attenzione ai limiti di velocità, al disegno stradale e alla direzione del traffico. Tuttavia ci sono delle strane lacune e contraddizioni. Lamenta il fatto che “la partecipazione dei paesi a reddito medio–basso alle organizzazioni per la sicurezza stradale esistenti… è scarsa” e che c’è una “mancanza di possesso” di programmi per la sicurezza stradale da parte dei governi e della popolazione dei Paesi in via di sviluppo. Allora come mai tutti i suoi membri vengono da nazioni del G8?

La commissione prescrive un “piano d’azione” per la sicurezza stradale globale che deve essere gestito dal cosiddetto Global Road Safety Facility. Questo – attenzione, attenzione – sembra essere stato lanciato e in parte fondato dalla Fondazione FIA.

Ma ancora più importante: ciò impone alle nazioni in via di sviluppo di seguire il sentiero preso dalle nazioni più ricche nel ridurre morti e feriti. Tuttavia da nessuna parte si menziona il fatto che gran parte della riduzione è stata il risultato dell’aver costretto ciclisti e pedoni ad allontanarsi dalle strade. Questo è un problema molto più grande per i Paesi poveri – dove la maggior parte delle persone sulle strade non hanno una macchina – che per i paesi ricchi. La questione è questa: lo spazio ora utilizzato dai pedoni e dai ciclisti e dai carri trainati dai buoi e dai carretti viene ceduto agli automobilisti? Se è così, ciò potrebbe ridurre le fatalità, ma rappresenterebbe anche un classico atto di recinzione, attraverso il quale i ricchi sono in grado di rinchiudere le risorse dei poveri.

Michale Schumacher rischia di trovarsi nella stessa situazione di Bob Geldof – una celebrità che sostiene di parlare a nome di poveri e deboli ma che è informato e sostenuto dal potere. Abbiamo bisogno di una campagna sulla sicurezza stradale, ma deve appartenere alle persone direttamente interessate.

George Monbiot
Fonte: http://www.commondreams.org
Link: http://www.commondreams.org/archive/2007/05/15/1205/
15.05.2007

Traduzione per www.comedonchisiotte.org a cura di SILVIA AGOGERI

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