DI DOMENICO DE SIMONE
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Criticare un testo è un modo per approfondirlo meglio. Per farlo è necessario avere comunque stima di chi l’ha scritto, anche se si è distanti anni luce dalle sue idee. Solo così si migliora sé stessi e la propria comprensione. Se capita di leggere qualche sciocchezza bisogna cercare di capire se e in che misura abbia peso sull’impianto concettuale del libro:siamo tutti esposti a scrivere sciocchezze, soprattutto quando si tratta di argomenti complessi come l’economia e la filosofia, e io sono il primo della lista, ma questo non significa che tutto il libro sia da buttare via. C’è sempre da imparare e soprattutto è necessario avere sempre il coraggio di ammettere i propri errori, per evitare di finire come il Belmonte dell’omonima sindrome di cui parla Galbraith nel suo saggio “Money”.Per questa ragione, se leggo un libro e lo considero un cumulo di sciocchezze, evito di parlarne. Non ho molto tempo, e nemmeno tante energie da dedicare ad inutili polemiche. Sono costretto, tuttavia, a fare un’eccezione per il libello pubblicato in rete da Paolo Barnard, e intitolato “Il più grande crimine”, poiché in molti mi chiedono di scrivere cosa ne penso. Insomma, mi tirano per la giacchetta e non posso esimermi.
Dirò subito che il libro è scritto in modo presuntuoso, da un presuntuoso che presume di aver capito quello che gli ha detto il mentore che si è andato a cercare con il lanternino nel lontano Michigan, ma ci ha capito ben poco.
Per buona parte del libro la lettura è fastidiosa, a volte è proprio insopportabile. Al contrario le tesi di Wray sono tutt’altro che peregrine, ma evidentemente Randall Wray non conosce l’italiano e non si è reso conto di quali mani stiano trattando il suo pensiero. L’inizio del libro ne suggerisce immediatamente la collocazione nel filone dei complottisti, dal quale, notoriamente, sono ben distante. Sono convinto, infatti, che non ci sia un piano organizzato da un gruppo specifico di persone per distruggere il mondo, ma che si tratti piuttosto di quel “piano del capitale” di cui Raniero Panzieri e l’operaismo hanno diffusamente analizzato la natura, come peraltro, su un piano diverso ha fatto Jacques Camatte, e che è cosa ben diversa dal complotto che si evince da questa frase: “Fu letteralmente deciso a tavolino, e ci sono riusciti: nomi e cognomi, date e fatti, nelle righe che seguono“.
Se l’esordio è infelice, nella pagina successiva il mal di mare aumenta, quando il nostro riferisce della sua ricerca di “autorevolezza” per capire la questione del signoraggio poiché chi ne parla è “un gruppo assortito di avvocati, medici, traders, giuristi, internettiani non meglio qualificati e/o imprecisati affaristi, insomma, tutto meno che economisti e monetaristi” privo di qualunque credenziale. Può darsi che sia così, anche se Barnard dimentica (ma forse non lo sa) che Marx e Lenin erano avvocati entrambi e, malgrado ciò, qualcosina di nuovo in economia hanno scritto. In tempi più recenti, l’avvocato Strauss Kahn è divenuto Presidente del FMI, così come è avvocato cassazionista anche Emanuele Emanuele, Presidente della Fondazione Roma e professore di scienze delle finanze alla Sapienza. Insomma, il metro di giudizio del Barnard si traduce in un pre-giudizio da lavanderia, e mi perdonino le lavandaie che non meritano certo un simile accostamento.
Poche righe dopo, il nostro sembra riprendersi, quando dice che Willem Buiter, noto economista della London School of Economics, su sua specifica richiesta gli dichiarò, giustamente, che “Chiunque veda nel signoraggio bancario un complotto, è un orso decerebrato”, il che però, fa decisamente a cazzotti con la tesi complottista dell’esordio. Dopodiché la sua affannosa ricerca dell’autorevolezza cosciente, dopo avergli fatto scartare tutti gli italiani in base a quell’altro noto pregiudizio che sono tutti corrotti o corruttibili, trova finalmente la sponda giusta in Randall Wray, per via del fatto che lui e “il suo team hanno bastonato i banchieri senza pietà, per due decadi almeno, non sembrano facili da intimidire, né da pilotare, e di certo sono molto autorevoli”. Evviva! Noto tuttavia, che se questo era criterio poteva tranquillamente rivolgersi al Codacons o all’Adusbef che di bastonate alle banche ne danno da diversi decenni. Chissà cosa ne pensano del signoraggio.
Comunque il nostro si fidanza ufficialmente con Wray per ben otto mesi, e al nono nasce il bel bambino del libro in questione.
Randall Wray è un professore di una università del Michigan che sostiene che lo Stato può garantire la piena occupazione operando come datore di lavoro di ultima istanza. La tesi è interessante, ma non è proprio una novità: in fondo, lo Stato sovietico un lavoro lo garantiva comunque a tutti anche se la centralizzazione comportava l’oppressione delle libertà individuali e quel clima di cupa tristezza che gravava su tutto l’universo sovietico. L’altro punto interessante del modello di Wray è che lo Stato può spendere in deficit tutto quello che gli serve, ovviamente se la spesa è indirizzata verso attività produttive.
In pratica si tratta del medesimo concetto che sta alla base dell’economia dell’abbondanza, ma con alcune differenze significative. La prima è che un modello centralista incontra innumerevoli difficoltà di ordine politico e sociale. Inoltre non si capisce per quale ragione la spesa debba essere effettuata per raggiungere la piena occupazione, sembra un sistema più vicino alla servitù della gleba di Diocleziano che ad una società libera. D’altra parte se l’ottica è centralista, è difficile pensare in termini di libertà. Com’è noto, preferisco che la spesa sia indirizzata a garantire la vita dei cittadini, come diritto che è legato al montante degli investimenti da un algoritmo ben definito. E all’obiezione che molti fanno che senza la costrizione della necessità di vivere non si lavora e non si produce nulla, rispondo che preferisco un fannullone libero ad un produttore schiavo. A parte queste considerazioni, certamente non esaurienti su un argomento che merita ben altri approfondimenti, ciò che non trovo nell’analisi di Wray è una critica del debito, che anzi viene assunto in modo acritico a motore del suo sistema. Lo Stato può indebitarsi all’infinito, perché il debito, come poi riferisce Barnard è ricchezza dei cittadini. L’unico limite all’indebitamento è l’inflazione e allora lo Stato deve rallentare la creazione di denaro. In questo modo, però, si finisce lo stesso nelle mani dei ricchi che, dopo aver cumulato enormi fortune grazie agli interessi, e aver tenuto bassa la circolazione monetaria, possono accelerarla all’improvviso per creare inflazione. Questa situazione costringe lo Stato a rallentare la creazione di moneta e questo genera impoverimento nella popolazione, poiché il sistema finirebbe in stagflazione, come accadeva negli anni settanta, anche senza uno specifico piano del capitale. A quel punto chi ha i soldi in mano può egualmente compiere il grande crimine di appropriarsi di enormi ricchezze materiali a pochi soldi. Per uscire dall’economia del debito, com’è noto sostengo la necessità di introdurre il tasso negativo, in modo da scoraggiare l’accumulazione monetaria, eliminare gli interessi attivi e con essi la rendita finanziaria, ed ottenere un potente strumento contro l’inflazione indotta dalla spesa a deficit. Non sto a ripetere le mie tesi che scrivo ormai da quindici anni, e quindi vi rimando ai miei libri.
Dice Barnard, che negli Stati a moneta sovrana, il debito pubblico non è un debito ma la ricchezza dei cittadini. Ecco cosa scrive il nostro in proposito:
“I cittadini degli Stati a moneta sovrana non sono mai chiamati a ripagare alcun debito pubblico, e le tasse non sono mai servite a ciò. Gli Stati a moneta sovrana, poi, non devono mai onorare quel debito, neppure quando è detenuto dalle Banche Centrali, nulla li costringe a farlo, anzi, proprio non lo fanno, per cui s’infrange il teorema secondo cui essi sarebbero oggi schiavi delle Banche Centrali, e noi assieme ad essi“.
Infatti, i 90 e passa miliardi all’anno che lo Stato paga di interessi sul debito vengono tutti accreditati sui conti dei cittadini che si arricchiscono così. Che i titoli del debito pubblico siano moneta lo si sa da tempo immemore, ma quello che Barnard dimentica è che gli interessi su questo debito sono un modo di distribuzione che premia i ricchi e genera gravi squilibri nella società, al punto che la maggioranza dei cittadini diventa sempre più povera e una risibile minoranza sempre più ricca. O non se n’è accorto, Barnard? Ma godetevi adesso questa perla:
“Inoltre, il debito dello Stato a moneta sovrana non è mai un problema economico rilevante, infatti esso non viene mai ripagato, cioè i titoli di Stato a livello generale (aggregato) non giungono mai a maturazione. Dunque, per concludere, le banche non possono mai direttamente creare denaro nuovo, e fra l’altro la riserva frazionaria in sé non esiste. Essa fu un errore di teoria economica della fine degli anni ’60, che è rimasto per inerzia su qualche libro di testo, ma che oggi è saldamente riconosciuto come pratica bancaria inesistente”.
Signor Barnard, ma che dice? Che orribile pasticcio, che confusione! Cosa c’entrano i rapporti tra banche e Stati a moneta sovrana con la riserva frazionaria di cui peraltro afferma con decisione l’inesistenza? Perché mai lo Stato dovrebbe emettere titoli di debito e non stampare denaro direttamente? Così non si capisce nulla. E come sarebbe a dire che la riserva frazionaria non esiste? A prescindere dal fatto che la riserva è un obbligo di legge, imposto tra gli altri dall’art. 4 del Regolamento della Banca Centrale Europea, visto che Barnard ha bisogno di padri nobili e affidabili, questo è ciò che dice Maurice Allais nel suo libro “La Crise mondiale d’aujourd’hui” in merito alla riserva frazionaria: “Au total, le mécanisme du crédit aboutit à une création de monnaie ex nihilo par de simples jeux d’écriture. Reposant essentiellement sur la couverture fractionnaire des dépôts, il est fondamentalement instable”. Ricordo che Maurice Allais, recentemente scomparso, è stato insignito del premio Nobel per l’economia.
Insomma, che i signoraggisti dicano una marea di sciocchezze è un fatto accertato, ma criticarli con questi argomenti fa solo confusione. Non sono un esperto di signoraggismo, ma quando si critica qualcuno esigo che venga citata la fonte che critico. Mentre nelle critiche del signoraggio non c’è alcuna citazione nonostante siano esposte tesi molto diverse tra loro. Ma che modo è questo di scrivere un saggio?
È falso che le Banche centrali si approprino di tutta la moneta creata per nasconderla nei paradisi fiscali, poiché il meccanismo di appropriazione riguarda gli interessi. È falso pure che stampando una banconota la banca centrale si appropri della differenza tra il costo della banconota e il nominale. È anche falsa la distinzione, tra moneta “reale” e moneta “virtuale”, che ha senso forse solo per le monete metalliche, ma solo nella misura in cui queste sono rappresentative del prezzo della merce da cui sono composte. Qualche tempo fa il prezzo del rame era salito al punto che una moneta di un centesimo di euro, dato il suo peso, aveva un prezzo maggiore del nominale. Di conseguenza qualcuno pensò di farne incetta per fonderle e rivenderle come rame guadagnandoci sopra. Ma stiamo parlando di quisquilie che nell’economia moderna, in cui la quasi totalità del denaro è virtualizzata, sono del tutto irrilevanti.
Con un po’ di fatica si capisce quello che Barnard dice a proposito della creazione sul debito del denaro da parte delle banche commerciali. Tuttavia, per lui questo fatto è irrilevante, poiché quando il mutuatario ripaga il debito, questo viene cancellato, tranne gli interessi che però rappresentano “lo stipendio” della banca. Oh, oh, ma come sarebbe a dire? Le centinaia di miliardi che il debito complessivo (Stato, famiglie, imprese) è costretto a pagare ogni anno, sarebbero uno stipendiuccio? In Italia il debito complessivo ammonta a 3,15 volte il PIL e quindi a circa 4.800 miliardi. Ad un tasso del 5% gli interessi su questo debito comportano un trasferimento di ricchezza di circa 240 miliardi. E questo sarebbe irrilevante? Non è questa, forse, l’essenza della rendita finanziaria? E non è forse, la rendita il problema? Viene il dubbio che tutta la confusione che impregna lo scritto di Barnard non stia lì per caso, ma proprio per nascondere il problema.
E veniamo alla natura della moneta. A parte il linguaggio un po’ confusionario che fa parte dello stile del personaggio, ulla quaestio, se non che l’affermazione che il denaro è aria fritta è evidentemente fuorviante. Questa storia del denaro aria fritta è ripetuta più volte in tutto il testo. Serve per dire che il denaro non ha alcun “valore” in sé, ma anche che esiste un denaro “aria fritta” e un denaro “reale”, il che è davvero fuorviante. Inoltre, nel testo c’è un totale appiattimento della prospettiva storica, per cui non si capisce per quale ragione nel 1944 e nel 1971 le banche hanno vietato di convertire in oro le banconote. A parte che le due date in questione indicano cose diverse, se non si spiega come nascono le banconote è difficile capire qualcosa. E se volete togliervi un po’ di confusione dalla testa in merito a questo argomento vi consiglio di leggere “Un’altra moneta”.
Insomma, sembra che il mal di mare che ci era venuto alla lettura delle pagine precedenti stia passando, quando ci si imbatte in quest’altra perla: “Ovviamente, col meccanismo degli interessi si generano altri codici sia per la banca che per i c/c di A e del concessionario, ma questo di nuovo non è una ricchezza reale, sono solo codici astratti che possono o non possono essere un bene al netto (se la banca è in passivo anche gli interessi scompaiono)”. Come sarebbe a dire che gli interessi possono o non possono essere un bene al netto? Ma che vuol dire? Oddio, di nuovo il mal di mare, riecco che spunta fuori la distinzione tra denaro reale e denaro virtuale. E che vuol dire poi che se la banca è in passivo gli interessi scompaiono? È ovvio che se un soggetto ha un passivo, quello che incassa non produce utili ma la copertura della perdita, almeno nello stato patrimoniale. Prova a far scomparire gli interessi che si incassano dal bilancio e vedi poi cosa ne pensa la Guardia di Finanza. Dio, che confusione!
Ma le cose peggiori arrivano ora. Barnard sostiene che il monopolio dello Stato sulla moneta dipende dal fatto che con questa moneta possiamo pagare le tasse, e che se non ci fosse…. “Pensateci bene: se non ci fosse questo sistema, chi mai lavorerebbe per il settore pubblico, cioè statale? Pochissimi. Perché i privati potrebbero inventarsi altre monete in concorrenza con quelle dello Stato, e in virtù dei maggiori profitti promettere poi maggiori vantaggi ai cittadini, per cui quasi nessuno finirebbe a lavorare per il settore pubblico e lo Stato medesimo cesserebbe di esistere. Sarebbe il trionfo dei signorotti locali in stile feudale, cioè nascerebbero veri e propri Stati privati con monete private entro lo Stato. Un caos.”
Mamma che paura! Il caos! L’anarchia! Il Nuovo Medioevo! Qui ci vuole uno Stato forte che riprenda la sovranità e imponga la sua legge. Capite qual è il presupposto ideologico, peraltro pure fasullo, del nostro eroe? Lo statalismo centralista di cui era già impregnato il progetto di Randall Wray. Perfetto tutto torna. Se non fosse per il fatto che si tratterebbe di tornare indietro di una cinquantina d’anni, verso forme di aggregazione sociale che hanno già causato un paio di guerre mondiali e innumerevoli guerre locali. E che il centralismo statale non sembra facilmente applicabile in un mondo che sta imparando forme di democrazia diretta e soprattutto di comunicazione e di scambio della cultura e delle informazioni che creano coscienza. Che puzza di vecchiume!
Sono stanco e siamo solo a pagina sedici. Ma l’avete voluto voi. Nel resto del libro il nostro eroe continua con il suo linguaggio farraginoso e confusionario a raccontare cose vere e ben note, per le quali non c’era alcun bisogno di andare dall’altra parte dell’oceano per scoprirle, e nascondere il vero problema, quello degli interessi e della rendita finanziaria. Che come in tutto il libro, passa per una cosa naturale, quasi banale, come in questa frase a pagina 19: “L’unico reale profitto della FED sui titoli di Stato sono gli interessi“. Ma va? E allora che succede? E che volete che succeda se gli interessi sono irrilevanti?
E poi aggiunge: “La BC, proprio in virtù del fatto che in questo caso può inventarsi il denaro, ha facoltà di accreditare tutte le riserve bancarie che vuole, e questo di conseguenza permette al governo di spendere quanto vuole, creando ricchezza fra i cittadini e aziende“. Insomma, spiegata così sembra che è la spesa dello Stato che crea ricchezza, qualunque spesa dello Stato, e non il lavoro dei cittadini e delle imprese. Quindi anche la spesa per le Maserati al Ministero della Difesa o quelle per i sollazzi di qualche buontempone membro della casta, Sarà mica che si deve trattare di una spesa per opere pubbliche o per investimenti? La spesa crea ricchezza perché consente quel lavoro. E quindi, dato che dobbiamo essere grati ai nostri governanti che ci consentono di lavorare per pagare tutte le tasse allo Stato e per mantenerli nel lusso e nei privilegi, oltre alle tasse dobbiamo pagare gli interessi, che sono lo stipendiuccio delle banche. Capito? E zitti voi che non capite niente di economia perché siete avvocati, medici, ristoratori, infermieri, ragionieri poco ragionevoli, spazzini, ingegneri non ingegnosi e per lo più nullafacenti e buontemponi. A tenervi in riga ci pensa lui che sa tutto per definizione e sa come fare. In fondo non ha fatto una cosa diversa da Solone che lasciò Atene per andare in Egitto, l’America di allora a cercare la fonte delle leggi giuste da dare alla città. Peccato che non è Solone.
La spiegazione da pagina 26 in poi di come funziona il meccanismo di creazione di moneta delle banche è geniale. Perché non ha l’obiettivo di spiegare il meccanismo, ma solo di far vedere che gli interessi che prendono le banche non sono un problema, al punto che le banche sono povere e sostanzialmente fallite. La cosa che non si capisce leggendo la brillante e confusissima spiegazione del nostro, è per quale ragione dobbiamo avere come intermediario una banca per un lavoro che, così come è spiegato, potrebbe benissimo fare un computer praticamente a costo zero. Insomma, nel suo tentativo di far scomparire gli interessi, alla fine fa scomparire anche le banche! Arriviamo così alla spiegazione di come il debito diventi un problema nei paesi che hanno ceduto la loro sovranità monetaria come è accaduto nella UE. Tutto vero, lo sappiamo tutti e da tempo.
Il grande crimine è questo, che qualcuno aveva preparato il golpe che ha condotto i paesi dell’Unione Europea al fallimento, per l’impossibilità degli Stati e pure della BCE di stampare moneta come fa la FED, la Banca del Giappone o quella d’Inghilterra. E l’obiettivo del golpe è quello di comprare tutto quello che si può comprare a prezzi stracciati e soprattutto indurre in schiavitù milioni di lavoratori costretti a lavori da fame. Mentre se lo Stato può stampare tutto il denaro che vuole il problema non si pone e si vive tutti felici e contenti. Davvero? Non mi pare che sessanta milioni di poveri americani siano tutti felici e contenti anche se la FED stampa quattrini, e dal 2007 ne ha stampati in quantità industriali. E nemmeno in Giappone o in Inghilterra. Forse c’è qualcosa che non funziona anche in questi sistemi, o no? Perché l’Italia fino al 2002 aveva a sovranità monetaria e poteva stampare tutta la moneta che voleva però non mi sembra affatto che navigassimo nell’oro, anzi passavamo da una crisi all’altra sempre peggio, sempre più giù. Si sapeva che la struttura dell’euro aveva questa ed altre debolezze. Diversi economisti e anche qualche avvocato l’hanno scritto nei loro libri sin da quando è stato sottoscritto il trattato di Maastricht. Ma non è solo questa la fonte dei nostri guai e di quelli del mondo.
Se la finanza ha conquistato il mondo la ragione non sta nell’euro. Il vero crimine è l’economia del debito, è la redistribuzione ineguale portata dagli interessi, sta nell’arricchimento di pochi in danno della maggioranza, sta nell’avidità, nella corruzione, nella prevaricazione, nello sfruttamento in nome di profitti che non hanno mai un limite, sta nella subordinazione del vivente all’inanimato, degli uomini al capitale. Che poi a ordire questo complotto che è frutto del demone dell’avidità, sia questo o quello, non ha molta importanza. Sarebbe come fare una critica storica al Giulio Cesare di Shakespeare basandosi sulle interpretazioni degli attori sulla scena.
Che peccato. La denuncia dell’assurdità criminale delle politiche liberiste e del piano del capitale, per quanto confusa è sacrosanta. Ma tutta la confusione, gli svarioni concettuali, gli esercizi di arroganza e di presunzione di cui è impregnato il testo finiscono per renderla poco credibile. Così come la totale omissione del ruolo del debito e degli interessi, che è il problema vero, non solo nella UE ma anche negli stati a moneta sovrana, finisce per rendere il tutto di scarso valore. Un’occasione persa.
P.S.: A proposito degli argomenti trattati in questo articolo e delle idee di Wray, ripropongo qui un articolo di un paio di anni fa su blogosfere dal titolo “L’ossimoro della spesa pubblica“.
Rileggere certi concetti ogni tanto fa bene, di questi tempi soprattutto.
Domenico De Simone
Fonte: http://domenicods.wordpress.com
Link: http://domenicods.wordpress.com/2011/11/22/un-grande-crimine-e-un-codazzo-di-sciocchezze/#more-702
22.11.2011
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