DI MIGUEL MARTINEZ
kelebek.splinder.com
Da Tel Aviv, Fiamma Nait e Deborah Firenstein
Il Giornale del Berlusconi Minore, martedì 1 giugno, 2010, sezione Esteri
Mitzi oggi è una gatta felice. Fa le fusa, inarca la schiena e si lascia accarezzare da Ari, che si riposa stanco, nella sua casa di Tel Aviv.
Dalla finestra, nella calda aria della tarda primavera, Ari guarda le scintillanti file di grattacieli che i suoi nonni hanno eretto nel deserto, in una terra senza popolo che sembrava quasi invocare un popolo senza terra.
Oggi, Ari non vuole guardare verso il mare. E nemmeno verso le splendide spiagge. I bagnanti, le giovani coppie che si baciano, i bambini spensierati che giocano con le figurine del Milan (anche a Tel Aviv, c’è chi tifa per il Milan e ancora di più per il suo Presidente), non sanno che se possono continuare a godersi la vita in un mondo che li odia, è grazie ad Ari.
Perché Ari custodisce un segreto, che condivide solo con Mitzi e con noi due, e che noi confidiamo a voi.
Ieri mattina lui era in mezzo a quel mare. Non sulle calde spiagge, ma tra le onde alte. Di vedetta, Ari, Shlomo e Gilad. Tre ragazzi normali, tre eroi che si conoscono da sempre.
Non è ancora l’alba, quando vedono comparire una nave immensa, che inalbera la bandiera della Mezzaluna dell’Odio. Una sagoma paurosa come un iceberg, che vorrebbe affondare il piccolo, fragile vascello di Ari, Shlomo e Gilad.
Carica di cemento, dicono che sia la nave, e la parola suona terribile per orecchie come quelle di Ari, giovani ma che non dimenticano come Auschwitz e le Piramidi fossero state costruite proprio con il cemento.
Carica di sedie a rotelle, dicono.
Ma Ari sa bene a cosa servono: quei vigliacchi di Chamas prendono i loro stessi figli affetti dalla sindrome di Down (tra gli arabi tale sindrome è diffusa, a causa della loro sporcizia e delle loro ripugnanti abitudini), promettono loro un paradiso pieno di caramelle, se si fanno saltare per aria.
Ari è un ragazzo sensibile, che non farebbe male a una mosca. Ma ricorda bene quello che gli ha insegnato il suo istruttore: ogni volta che spari a un bambino in carrozzella, pensa a quanti bambini continueranno a camminare normalmente grazie al tuo gesto. Per fare del bene a quegli altri bambini, devi a volte avere il coraggio di fare male a te stesso imponendoti di uccidere. E’ il sacrificio più grande, che tanti israeliani fanno umilmente. Un sacrificio d’amore.
Dalla sua piccola imbarcazione, guardando attraverso il binocolo a raggi infrarossi, Ari vede i visi di decine, centinaia, migliaia di persone, che si affacciano e scrutano le acque oscure.
Hanno i nasi che fremono eccitati: anche al buio, sentono odore di ebreo. Di un piccolo ebreo, disperso e quasi solo, in mezzo alle onde. Come la terra fragile che Ari improvvisamente si trova a dover difendere, un paese che vorrebbe disperatamente vivere in pace, ma deve sempre difendersi.
Anche contro il cemento e le sedie a rotelle, anche in mezzo al mare, pieno di acqua, di squali e di antisemiti.
Ari, Shlomo e Gilad. Tre ragazzi normali. In quel momento, Ari pensa a Leah. Lei è bella, lui è timido; ma Leah non sa che Ari è anche un eroe.
Ari conosce il proprio dovere. Anche se la nave è carica di terroristi e assassini, deve dare loro una possibilità.
E’ quel senso innato di altruismo che hanno tutti gli israeliani, che lo porta a dare il preavviso, anziché affondare l’imbarcazione con un semplice colpo di siluro, come avrebbe fatto chiunque altro alla vista di una nave civile in acque internazionali.
Con voce forte e chiara, grida alla nave: “You dirty son of bitch terroristim, I Israeli man I take you prison every you you tink you do Hitler in my sea I do more bad in your ship!”
Ari sa di aver fatto tutto il possibile per salvare le persone a bordo. Anche se lo odiano, lui comunque pensa prima a loro: gli israeliani sono fatti così. Anche quando sanno che gli altri ne approfitteranno.
Lanciano la fune e si issano a bordo: Ari, Shlomo e Gilad.
Hanno il fiato corto per lo sforzo.
Vedono attorno a loro una selva di visi indemoniati. Dicono di essere pacifisti, ma i ragazzi sanno cosa sono in realtà: schiere di SS e sanguinari macellai muslumaniaci.
Lo sguardo di Ari si fissa per un momento su uno di loro.
E’ un ragazzo vestito, anzi mascherato, da cuoco. E’ della stessa età di Ari, ma quanto è diverso! Lo sguardo strabico, il labbro contorto da anni di antisemitismo, e tra le mani regge, no, ostenta una torta.
Una torta.
Ari riconosce quella torta. Morbida e cremosa. E sa cosa vuol dire.
Capisce il messaggio di odio che quel ragazzo gli sta lanciando.
Ari non dimenticherà mai la scena nel film. Il tavolo con la torta. L’ufficiale nazista, le dita ancora ricoperte di crema, che con i suoi stivali immacolati prendeva a calci una ragazza ebrea. Una ragazza che aveva le stesse lentiggini di Leah.
Fu solo allora, vedendo la torta, che Ari iniziò a sparare.
Miguel Martinez
Fonte: http://kelebek.splinder.com/
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1.06.2010