DI PAOLO BARNARD
E’ l’estate del 2000, sono a Boston per la mia prima intervista a Noam Chomsky. A chi non lo conoscesse rammento che Chomsky è il più noto intellettuale dissidente americano di sempre, definito dal New York Times “probabilmente il più importante pensatore vivente”, ed è il linguista di maggior calibro del XX e XXI secolo. Insegna al prestigioso Massachussets Institute of Technology (MIT), dove è professore ordinario.
Bene, sto per incontrare questo mostro sacro della cultura accademica nel suo ufficio all’MIT e vengo avvisato dal suo segretario che l’intervista non potrà durare più di 60 minuti, poiché “Chomsky ha un importante appuntamento alle 17 precise”. Non nascondo a costui il mio disappunto: rappresento un network televisivo nazionale (RAI), sono venuto da oltreoceano per intervistare il professore, ho preso questo appuntamento 3 mesi fa, e ora ho solo 60 minuti per montare la telecamera, i microfoni, fare le prove audio e video, poi sbrigare un tema come il Debito del Terzo Mondo, Fondo Monetario, Banca Mondiale, sperequazione della ricchezza… Niente da fare, il prof. ha un impegno. Fine della discussione.
A seguire: “Nè rossi nè neri, solo liberi pensieri”. Qualche riflessione sulla manifestazione romana contro il decreto Gelmini (Carlo Gambescia);’
L’intervista è piacevole, Chomsky è gentile, tutto fila liscio, ma dopo 59 minuti, accidenti a lui, il segretario bussa lievemente alla porta e si mostra a Chomsky attraverso il riquadro di vetro della stessa. Sessanta secondi dopo è l’intellettuale in persona che con un sorriso mi dice “time’s up, sorry..”, il tempo è finito, spiacente. Un rapido saluto, stretta di mano e fuori dallo studio con tutti i marchingegni del mio mestiere. Chomsky richiude l’uscio alle mie spalle.
Sono nell’anticamera indaffarato ad arrotolare cavi, riporre microfoni, controllare le cassette, ma non manco di guardarmi intorno in attesa dell’arrivo di questo ospite così imprescindibile. Non c’è, non arriva, nessuno ha suonato, non ci sono colleghi di altri network in coda per un’intervista. Il segretario armeggia col suo pc, un paio di tizi (presumibilmente docenti) camminano da un ufficio all’altro senza alcuna intenzione di dirigersi da Chomsky, un ragazzino meno che ventenne se ne sta seduto alla mia destra sfogliando testi e appunti. Per il resto calma piatta. Ma dov’è sto pezzo da novanta per cui mi hanno messo le braci al sedere?
Saranno passati sette minuti, quando Chomsky riapre l’uscio dello studio e con fare cortese invita il ragazzino ad entrare. I due si accomodano e iniziano la conversazione, li vedo attraverso il riquadro in vetro. Ancora la mia mente si rifiuta di arrendersi all’ovvia realizzazione, e in un residuo sforzo di capricciosa incredulità mi spinge a chiedere al segretario “ma è quel giovane l’appuntamento importante?”. “Sì, è uno del primo anno, un ordinario colloquio col prof.”, giunge serafica la risposta del mio interlocutore. Riparto per l’Italia.
Devo fare rewind e proprio spiegarvelo? No, sicuramente non serve. Cari studenti, questa scena affatto isolata nel panorama accademico statunitense appartiene a un ‘film’ che se mai verrà proiettato in Italia sarà forse fra un secolo, o probabilmente di più. Essa ci parla di un essere nell’università che dista da noi italiani come Marte dalla Terra, di una riforma vera, epocale, di un concentrato di democrazia, diritti, intelligenza, umiltà, pedagogia, libertà che nessuno qui da noi neppure si sogna di sognare. Noi, poveracci, siamo arditamente alle prese con la preistoria della riforma del sapere e dell’insegnare. Qualcuno, qui, se lo immagina un grande barone universitario italiano sbarazzarsi velocemente della CBS, di France 2 o della ZDF tedesca per onorare un colloquio con un ‘primino’ di neppure vent’anni?
E allora. Chiedo a tutti e con vero pathos: perché abbiamo rinunciato a immaginare un ‘altro mondo’? Perché ci facciamo sempre ingannare da chi ci convince che il cambiamento significa conquistare due metri quadri in più di pollaio puzzolente, e non, come dovrebbe essere, miglia e miglia di prati e colline, valli e montagne dove respirare veramente? Perché ci scanniamo per ottenere due metri quadri in più di finanziamenti o di risicate riformucole da strappare alla Gelmini e non lottiamo invece per un’istruzione nuova a cominciare dalla dignità di ogni singolo studente che deve essere il protagonista importante, il numero uno delle priorità di ogni docente, imprescindibile appuntamento senza se né ma, oggetto-soggetto di un diritto attorno a cui ruota tutto il sistema istruzione, e vi ruota con UMILTA’?
Non capite, studenti, che il gioco più perverso dell’era politica contemporanea è proprio il riformismo? E’ quella cosa che ci ha tutti convinti che lottare per i diritti del nostro futuro significhi ottenere qualche decimetro in più nella catena che ci hanno messo ai piedi. Oggi ci hanno convinti, e lo ripeto, che libertà e rivoluzione, che riforma e miglioramento significhino potersi allungare di altri 20 centimetri dal muro cui siamo incatenati nel pollaio in cui siamo rinchiusi. E ce l’hanno fatta: noi siamo proprio ridotti così, completamente dimentichi della possibilità di avere Diritti Veri e una Vita Inedita, ma del tutto inedita, in questo caso un’istruzione da secolo nuovo. Insomma, un’altra esistenza dirompente nel cambiamento, così come l’umanità ha sempre saputo fare nella sua uscita dalla barbarie verso la civiltà. No, nel XXI secolo del riformismo siamo stati ridotto a sentirci trionfanti se un Walter Veltroni riuscirà col referendum a donarci 20 centimetri di riforma dell’istruzione in più. Ed è così in ogni campo del nostro vivere.
No, no e no! Cosa avrete risolto quando e se la Gelmini avrà fatto marcia indietro? Perché non mettiamo tutta questa energia oggi esplosa nelle piazze per arrivare a una scuola che non ci devasti l’anima, che non ci faccia odiare la cultura, che sia il nostro regno del rispetto nell’età più sensibile di tutta la vita, che non ci insegni le virtù del servilismo e dell’arroganza, dove non ci si senta con le ossa svuotate di fronte alle cattedre o ad aspettare nei corridoi i favori dei baroni? Dove a neppure vent’anni si possa entrare a colloquio dal tuo professore sul tappeto rosso, mentre fuori dallo studio, in corridoio, al resto del mondo tocca di aspettare voi e la piena soddisfazione del vostro diritto.
Immaginare in grande, immaginate in grande.
Paolo Barnard
Fonte: www.paolobarnard.info
Link: http://www.paolobarnard.info/interventi_indice.php
31.10.08