DI NAOMI KLEIN
Gordon Brown ha una nuova idea su come “rendere la povertà storia” nell’occasione del summit del G8 in Scozia.
Con Washington che rifiuta di raddoppiare i suoi aiuti all’Africa dal 2015, il cancelliere dello Scacchiere (Ministro delle Finanze, ndt) ha fatto un appello ai ricchi stati produttori di petrolio del medio oriente perché coprissero la scarsità delle donazioni di fondi: “Le ricchezze del petrolio chiamate a salvare l’Africa..”. Si legge nei titoli di testa del London’s Observer.
C’è un’idea migliore: invece di usare la ricchezza petrolifera dell’Arabia Saudita per “salvare l’Africa”, perché non usare la ricchezza di petrolio, gas, diamanti, platino, cromo, ferro, carbone dell’Africa per salvare l’Africa stessa?Con tutta questa nobiltà d’animo dispensata per salvare l’Africa dalla sua miseria, questa sembra una buona occasione per ricordare qualcun’altro che ha provato a “rendere la povertà storia”: Ken Saro-Wiwa, assassinato dieci anni fa a questo novembre dal governo nigeriano, insieme con otto altri attivisti Ogoni, messi a morte per impiccagione.
Il loro crimine fu quello di aver osato insistere sul fatto che la Nigeria non era affatto povera ma ricca e che il suo stato di miseria era frutto di decisioni politiche prese nell’interesse di multinazionali occidentali, che hanno alla fine ridotto la popolazione in una condizione di estrema povertà.
Saro-Wiwa ha dato la sua vita per l’idea che lo sfruttamento dell’abbondante ricchezza di petrolio del delta del Niger dovesse lasciare dietro di sé qualcosa di più che fiumi inquinati, fattorie incendiate, aria acre, e scuole decrepite.
Lui chiedeva non carità, nè pietà o “aiuti”, ma giustizia.
Il movimento per la sopravvivenza della popolazione Ogone richiedeva che la Shell risarcisse la popolazione locale, dal momento che dalla loro terra aveva pompato dal 1950 approssimativamente 30 bilioni di dollari di petrolio.
La multinazionale, quindi, si rivolse al governo per ricevere supporto, e il governo rivolse a sua volta i fucili contro i dimostranti. Prima della sua impiccagione di stato, Saro-Wiwa dichiarò in tribunale: “Io e i miei colleghi non siamo i soli sul banco degli imputati in questo processo..la multinazionale, certamente, oggi lo ha evitato, ma il suo giorno arriverà
sicuramente..?”
10 anni dopo, il 70 % dei Nigeriani ancora vive con meno di un dollaro al giorno e la Shell continua a realizzare “super-profitti”. La Guinea Equatoriale , che ha un accordo petrolifero ancora più stringente colla Exxon Mobil, “non è riuscita ad ottenere una percentuale maggiore del 12 % sui ricavi del petrolio nel primo anno del suo contratto” secondo un inchiesta di “60 minutes” – uno scambio così basso che sarebbe stato scandaloso persino a livello di saccheggio coloniale.
Questo è quello che rende l’Africa povera: non una mancanza di volontà politica, ma gli incredibili profitti del sistema economico attuale.
L’Africa sub-sahariana, il posto più povero della terra, è invece la maggiore destinataria di investimenti: quest’area offre, secondo un rapporto dello “Sviluppo Finanziario Globale” della Banca Mondiale, il più alto tasso di guadagni di investimenti diretti all’estero rispetto a ogni altra regione del mondo.. “L’Africa è povera perchè i suoi investitori e i suoi creditori
sono indicibilmente ricchi”.
L’idea per la quale Saro-Wiwa era morto lottando – che le risorse della loro terra dovevano essere usate a beneficio della gente del posto – dimora nel cuore di ogni lotta anti-coloniale nella storia, da quella della “Banda del tè di Boston”(1) fino a quella dei contadini iraniani nella cittadina di Abadan contro la Compagnia Anglo-iraniana del petrolio(2).
Questa idea è stata dichiarata morta dalla Costituzione dell’Unione Europea, dalla strategia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, che definisce il “libero commercio” non solo come una politica economica ma anche come un “principio morale”, e da innumerevoli trattati del commercio.
E tuttavia quest’idea semplicemente “si rifiuta” di morire.
Lo si può vedere più chiaramente nelle forti proteste che hanno costretto il presidente della Bolivia, Carlos Mesa, a rassegnare le dimissioni.
Dieci anni fa la Bolivia fu spinta dal FMI a privatizzare le sue industrie del petrolio e del gas colla promessa che ciò avrebbe aumentato la crescita e aperto le porte al benessere.
Quando ciò non funzionò, i creditori richiesero che la Bolivia coprisse i buchi del bilancio aumentando le tasse a carico delle classe lavoratrici.
I Boliviani avevano un’idea migliore: riavere indietro il gas e usarlo a beneficio del paese.
Il dibattito, ora, è su quanto “richiedere indietro”. Il “movimento per il socialismo” di Evo Morales è favorevole a una tassazione del 50% dei profitti stranieri. Più radicali sono i gruppi indigeni locali, che, avendo già visto la loro terra depredata della sua ricchezza di minerali, vogliono la nazionalizzazione completa delle risorse e più partecipazione nella gestione politica, quella che loro chiamano: “nazionalizzazione del governo”
Lo si può vedere anche in Iraq.
Nel 2 giugno Laith Kubba, portavoce del primo ministro iracheno, ha dichiarato ai giornalisti che il FMI spingeva l’Iraq a incrementare il costo dell’elettricitàe dei carburanti in cambio dell’azzeramento dei debiti del passato. “L’Iraq ha 10 bilioni di dollari di debiti e io penso che noi non possiamo eluderli” ha dichiarato il portavoce.
Ma giorni prima a Bassora, in una storica riunione di sindacati indipendenti, la maggior parte dei quali inquadrati nell’Unione Generale degli Lavoratori del settore petrolifero, i delegati sindacali, alla prima conferenza irachena anti-privatizzazione, hanno insistito che il governo poteva evitare questo semplicemente rifiutandosi di pagare gli “odiosi” debiti di Saddam, e rigettato ogni tentativo dello stesso di privatizzare i beni dello stato, incluso il petrolio.
Il neoliberismo, una ideologia così potente che tenta di far passare sé stessa come “progresso”, i cui adepti fanatici si mascherano da disinteressati tecnocrati, non può riscuotere consenso ancora per molto. Esso è stato decisamente rigettato dagli elettori francesi che hanno detto “NO” alla costituzione europea e potete vedere quanto i neoliberisti hanno detestato ciò che è successo in Russia, dove, oggi, una larga maggioranza della popolazione giudica negativamente i profittatori delle disastrose privatizzazioni del
1990, e parecchio mugugnato riguardo la recente sentenza di condanna a carico dell’oligarca del petrolio Mikhail Khodorkovsky.
Per tutto questo si presenta un’occasione interessante al summit del G8.
Bob Geldof e l’organizzazione “rendi la povertà storia!” hanno invitato decine di migliaia di persone ad andare a Edimburgo e formare una gigantesca “bianca” moltitudine nel centro della città il 2 luglio – un’allusione agli onnipresenti braccialetti “rendi la povertà storia!”.
Tuttavia pare vergognoso che un milione di persone possa fare tutto quel tragitto per ridursi ad essere una gigantesca bolgia, una collettività accessoria e ornamentale al potere.
Non sarebbe meglio se tutta quella gente, unite le loro mani, non si dichiarasse attraverso un braccialetto ma con al polso una corda annodata a mo’ di cappio, un cappio attorno a quelle letali politiche economiche che hanno già spezzato tantissime vite, per la mancanza di medicine e di acque potabile, per la mancanza di giustizia?
Un cappio come quello che ha ucciso Ken.
Naomi Klein
Fonte:www.thenation.com
Link:www.thenation.com/doc.mhtml?i=20050627&s=klein
9.06.05
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MICHELE300
Note
(1) Boston Tea Party : esasperati dalla tassazione sul tè degli inglesi, i cittadini delle colonie americane, travestiti da indiani, assaltavano, il 16 dicembre 1773, tre navi britanniche all’ancora nel porto di Boston, costringendole a scaricare 45 tonnellate di tè. I primi segnali dell’indipendentismo americano.
(2) Abadan : città iraniana (302.189 abitanti) sullo Shatt El Arab, sull’omonima isola. Uno dei maggiori centri di deposito e di raffinazione del petrolio del mondo e il primo porto dell’Iran. A seguito della controversia anglo-persiana per il petrolio fu abbandonata dagli inglesi il 3 ottobre 1951.